ATENE - I primi provvedimenti del nuovo governo greco danno il segno della svolta che il governo di Alexis Tsipras vuole imporre alla Grecia: sono state bloccate le privatizzazioni dei porti del Pireo e di Salonicco, nonché della compagnia elettrica nazionale (Dea), e reintegrati 3.500 dipendenti pubblici, tra i quali gli ausiliari della scuola licenziati dal governo precedente e le pulitrici del ministero dell’Economia messe fuori e divenute un simbolo della lotta all’austerità. Il messaggio lanciato alle istituzioni europee e alle lobby imprenditoriali, non solo greche se si pensa che il porto del Pireo stava per finire interamente ai cinesi della Cosco, è chiaro: si ferma la svendita di pezzi dello Stato (voluta dalla troika Bce-Commissione europea-Fmi e accettata dal governo Samaras) e si assegna un ruolo forte al pubblico, anche come datore di lavoro.

Se si vuole indagare più a fondo sulla filosofia ispiratrice del nuovo governo greco basta consultare le ricerche svolte per il Levy Institute dalla neo viceministra, con delega specifica alla lotta alla disoccupazione, Mania Antonopolou. Docente alla New York University e al Bard College, consigliere all’Onu sui temi dell’uguaglianza di genere, Antonopoulou è definita “la signora dei 300 mila posti di lavoro”: teorizza infatti un ruolo propulsivo dello Stato, “in ultima istanza”, nel garantire la piena occupazione. L’obiettivo, ha affermato di recente la viceministra, è stimolare l’offerta, in questo momento latitante in un Paese che ha il 26 per cento di disoccupazione (il doppio dell’Italia). Un compito affidato al pubblico, laddove non arriva il mercato.

Ma il governo Tsipras non pare accontentarsi di questi primi provvedimenti. Il ministero del Lavoro, guidato da Panos Skouletis, un personaggio molto noto negli ambienti giornalistici in quanto è stato per anni responsabile della comunicazione di Syriza, ne ha infatti annunciato altre misure di grande impatto: il ripristino della contrattazione collettiva (demolita dal precedente esecutivo delle larghe intese tra il centrodestra di Nea Democratia e i socialisti del Pasok) e l’innalzamento del tetto minimo salariale, dagli attuali 450 euro lordi a 751. Perché la misura sia realmente effettiva è però necessario mettere mano alla giungla contrattuale e risolvere il problema del lavoro sommerso, che già oggi consente agli imprenditori di pagare salari inferiori al minimo, potendo contare su un imponente “esercito di riserva” di disoccupati disposti a tutto pur di lavorare.

Non si tratta di casi limitati ad alcuni settori tradizionalmente a rischio (l’agricoltura, ad esempio) o a soggetti più deboli e ricattabili degli altri (gli immigrati): i contratti a termine, oggi in Grecia, sono la normalità. Basti pensare che persino i dipendenti della tv di Stato Nerit, nata dalle macerie della vecchia Ert chiusa d’autorità dal vecchio governo, sono stati assunti in un modo che nel resto d’Europa sarebbe impensabile: a tutti sono stati fatti dei contratti di due mesi, rinnovabili, con salari più che dimezzati rispetto al passato, dai 600 euro per i tecnici ai 1.000-1.200 per i giornalisti.

Di recente la viceministra Antonopolou ha criticato anche i fondi stanziati dall’Europa per la riqualificazione professionale: sono soldi buttati, ha sostenuto, in quanto non servono a creare nemmeno un posto di lavoro. I licenziati in massa degli ultimi anni (tra i casi più importanti si ricordano, oltre ai dipendenti della tv di Stato, quelli dei portuali dei cantieri navali del Pireo, dei lavoratori della Siemens e della Coca Cola, che ha chiuso per delocalizzare in Bulgaria) hanno avuto350 euro al mese di mobilità per un anno, hanno utilizzato per qualche altro mese i circa 400 euro dei fondi Ue che avrebbero dovuto aiutarli a reinserirsi e infine sono rimasti disoccupati.

Sopravvive solo chi è riuscito a ricostruirsi un lavoro. E’ il caso dei lavoratori della Vio.Me di Salonicco: producevano prodotti chimici e materiale di costruzione per l’edilizia, quando nel 2011 i padroni hanno deciso di chiudere lasciandoli con diciannove stipendi arretrati, hanno occupato la fabbrica e l’anno riconvertita a una produzione eco-compatibile. Oggi i saponi della Vio.Me fanno bella mostra nella sede ateniese di Solidarity4all, la rete organizzata da Syriza per sostenere le 180 mense sociali, farmacie e ambulatori nati per aiutare quella fascia di popolazione finita in povertà assoluta o tagliata fuori dall’assistenza sanitaria.

Un problema che investe direttamente la questione lavoro, quest’ultima, in quanto in Grecia l’assicurazione sanitaria (obbligatoria per accedere alle cure gratis) è pagata dalle aziende e i disoccupati rimangono perciò fuori. Nella sede di via Akadimia, un gruppo di militanti si occupa specificamente del recupero del lavoro e dello sviluppo di un modello cooperativo.

In Grecia non esiste una legge analoga alla italiana Marcora, che consente il riacquisto delle fabbriche da parte degli ex lavoratori e mette a disposizione un fondo dedicato al Ministero dello sviluppo economico. Si tratta di un modello tutto da costruire, così come il governo dovrà studiare un modo per gestire le attività di mutuo soccorso. Per far questo al ministero del Lavoro è stato creato un sottosegretariato alla Solidarietà sociale. La delega è stata affidata a Teano Fotiou, una docente di Architettura del Politecnico attiva proprio in Solidarity4all. E’ proprio sui temi del lavoro e del welfare che Tsipras si gioca il successo o meno della sfida lanciata all’Europa intera.