Come ricordano due grandi giuristi americani, Holmes e Susteim, citati in uno degli articoli ospitati su queste pagine del Mese, le tasse sono tra gli elementi fondativi del moderno Stato democratico. Gli esempi sono tanti. Uno viene dalla cronaca di questi giorni: dopo le devastazioni a margine della manifestazione romana del 15 ottobre, il ministro Maroni ha proposto di concedere la possibilità di organizzare cortei solo a chi sia in grado di offrire garanzie patrimoniali a copertura di eventuali danni perché, come dicono tanti populisti, "non è giusto che a pagare siano i cittadini con le tasse".

È evidente l'assurdità di un'idea che punta sostanzialmente a privatizzate la possibilità di manifestare il proprio dissenso utilizzando gli spazi pubblici. È proprio l'Erario, invece, che è di tutti, a dover garantire questo diritto, senza ovviamente con ciò voler dire che in nome di tale libertà sia lecito mettere a ferro e fuoco una città. Senza tasse, comunque, non c'è libertà.

Se ci pensate bene, questo assunto non è altro che la traduzione di un concetto di origine liberale: e cioè che la libertà del singolo finisce quando il suo esercizio assoluto comprime quella degli altri. Se pensiamo al fisco, questo accade quando la "libertà" di disporre totalmente dei propri averi senza che una parte di essi sia dovuta allo Stato priva la collettività di beni, materiali e non, fondamentali per condurre una vita dignitosa: una scuola e una sanità efficienti, pensioni dignitose, pulizia adeguata delle strade, conservazione dell'ambiente e così via.

Eppure di questa verità molti, troppi, cittadini italiani non sembrano consapevoli. E dunque sì, gli evasori vanno colpiti con controlli e sanzioni: ma senza un vero mutamento culturale probabilmente ci sarà poco da fare.