Per riconoscere una rivoluzione industriale spesso se ne indica il paradigma tecnologico. Ma una rivoluzione impatta anche sui sistemi formali (welfare) e informali (relazioni sociali), sulla forma dei luoghi abitati (città e campagne), sugli stili di trasporto, sulle migrazioni ecc. Accanto al paradigma tecnologico va insomma considerato quello politico e sociale. Anche adesso, mentre tutto indica il fatto che la terza rivoluzione industriale, quella del computer, mostri la corda, sembra proprio che ciò accada sul versante politico e sociale, piuttosto che su quello tecnologico.

In effetti, la terza rivoluzione si è affermata grazie a Internet, ma anche con globalizzazione e finanziarizzazione, e non c’è dubbio che ciò abbia portato a una riduzione delle protezioni sociali, del reddito e della stabilità occupazionale di milioni di lavoratori, soprattutto in Occidente. Sono esplose disuguaglianze inimmaginabili per le democrazie moderne. L’idea di non governare quella rivoluzione perché il suo dispiegarsi avrebbe automaticamente generato benessere diffuso si è rivelata sbagliata e le classi dirigenti pagano una crisi di credibilità altissima, che pare minare le stesse democrazie occidentali.

È la politica quindi che non si è mostrata all’altezza della sfida tecnologica; non a caso Industria 4.0, nella volontà dei suoi proponenti, è una “Politica”. Nel caso italiano, questa proposta politica manca in larga parte di un progetto sociale, della costruzione paziente di un nuovo compromesso sociale. Il compito di colmare questo vuoto non può che essere assunto dal movimento sindacale. La Cgil in particolare deve dotarsi di una proposta che non può e non deve calare dall’alto, sia pure da una cabina di regia partecipata dalle stesse organizzazioni dei lavoratori. Questo l’impegno preso: aprire un processo di partecipazione per costruire, a partire dalla contrattazione, una proposta politica che ci emancipi non tanto dall’innovazione, dalle tecnologie, dalla conoscenza, per le quali chiediamo investimenti, ma dalle politiche sbagliate che si sono affermate nel corso della terza rivoluzione industriale.

Una proposta per un lavoro 4.0. Per far ciò anche il sindacato dovrà accettare di salvaguardare i propri valori, adeguando la propria prassi, le proprie certezze, il proprio modo di lavorare. Esiste la possibilità di usare in modo intelligente le opportunità del web e le nuove tecnologie digitali e su questo la Cgil non intende restare indietro. “Idea diffusa” è il nostro primo esperimento strutturato. È stata presentata per la prima volta ieri (7 febbraio) ad Ancona e oggi (8 febbraio) sarà a Firenze uno dei temi al centro del seminario dal titolo “Conoscenza e contrattazione nell’industria 4.0”, che sarà introdotto da Vincenzo Colla, della segreteria confederale, e concluso da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil.

Ma cos’è in concreto “Idea diffusa”? Una piattaforma digitale per facilitare l’incontro di coloro che nella nostra organizzazione, e in collaborazione con essa, si occupano di politiche industriali. Dotata di un newsfeed, costruita scegliendo fondi (commenti e opinioni) e tag in modo collettivo, che raccoglie e aggrega notizie sul web, e di una repositery per una documentazione digitale, “Idea diffusa” è un’agorà, un luogo di informazione collaborazione, partecipazione e lavoro; per farla funzionare ci vorrà impegno e formazione, cuore e metodo. Ma la posta in gioco è tanto alta che ne vale la pena.

Alessio Gramolati è il responsabile del coordinamento Politiche industriali della Cgil nazionale