Il comitato nazionale di StopOpg (http://www.stopopg.it/node/1482), accompagnato da quello regionale, è stato impegnato con una delegazione per due giorni in Sicilia, venerdì 10 e sabato 11 febbraio, per visitare e soprattutto rivendicare l’immediata chiusura dell’ultimo ospedale psichiatrico giudiziario ancora aperto, quello di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dove sono ancora internate 13 persone. Nell’occasione, StopOpg ha anche visitato le due Rems (le strutture regionali in cui si eseguono le misure di sicurezza detentive) siciliane, di Naso e di Caltagirone.

L’iniziativa, come speravamo, si è rivelata decisiva per sbloccare la situazione: il direttore del manicomio e il delegato dall’assessore alla Salute, con cui ci siamo confrontati in riunione e poi anche in un affollato dibattito pubblico a Corleone (Palermo), hanno dichiarato che, grazie a un accordo con la magistratura di sorveglianza, entro questa settimana nove persone con misura di sicurezza definitiva saranno dimesse e accolte in strutture assistenziali. Ne resteranno così solo quattro da dimettere, con misura di sicurezza provvisoria, per le quali è stata presentata, dai sanitari alla magistratura, richiesta di autorizzare l’accoglienza in comunità terapeutiche.

Siamo dunque ad un passo da un evento storico per il nostro Paese: la chiusura – ottenuta con grave ritardo – di tutti e sei gli Opg italiani. Ricordiamo che la data per la chiusura fissata dalla legge era il 31 marzo 2015, ma solo nel corso del 2016, e grazie anche al lavoro del Commissario ad acta Franco Corleone, sono stati chiusi quelli di Aversa, Napoli, Reggio Emilia. Mentre l’Opg di Castiglione delle Stiviere (Mantova) ha solo cambiato targa, diventando una enorme Rems con più di 200 persone internate. Nel 2017, nei primi giorni di febbraio, è stato chiuso l’Opg di Montelupo Fiorentino. Ora, con la chiusura di Barcellona Pozzo di Gotto, finisce la storia degli Opg italiani, l’ultimo baluardo manicomiale rimasto in funzione anche dopo la riforma Basaglia. In questi luoghi, che l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato orribili e indegni per un Paese civile, sono state internate migliaia di persone.

Ma la battaglia non è finita. Il processo di superamento degli Opg, con la loro chiusura, si trova in una nuova fase. Ora bisogna costruire concrete alternative alla logica manicomiale, per affermare il diritto alla salute mentale e alla piena e responsabile cittadinanza delle persone sofferenti. In questo senso, il pericolo principale oggi è quello di sostituire i “vecchi contenitori” manicomiali (gli Opg) con nuovi luoghi, le Rems, strutture sanitarie, ma pur sempre detentive. Sicuramente più accoglienti e decorose, ma pur sempre con una funzione custodiale tipica dell’istituzione manicomiale. Con l’aggravante di scaricare sugli operatori sanitari i compiti di custodia.

Nelle 30 Rems italiane sono attualmente internate quasi 700 persone, certo la metà di quante ve ne fossero negli Opg, ma ancora troppe. Soprattutto se si tiene conto che la riforma che chiude gli Opg (la legge n. 81 del 2014) indica come prioritaria ogni misura non detentiva, finalizzata alla cura e alla riabilitazione individuale. Secondo l’ispirazione della riforma Basaglia, la Rems deve dunque essere considerata extrema ratio. Ecco perché il comitato StopOpg sta viaggiando da mesi per visitare queste strutture. Ed ecco perché bisogna ridurne il numero e l’importanza. E in ogni caso garantire che la caratteristica delle Rems e la loro vita interna sia il meno possibile segnata da tratti custodialisti (sbarre, porte chiuse, nessuna o poche attività esterne ecc).

Visitando le Rems in tanti parti d’Italia, abbiamo visto situazione molto diverse: in alcune prevale nettamente la missione detentiva, in altre quasi non si avverte. Siamo dunque in una fase delicatissima. Con questo spirito e con questi obiettivi, nella due giorni siciliana, abbiamo incontrato le persone internate e gli operatori delle Rems a Naso e a Caltagirone. Entrambe le visite sono state emozionanti, di grande interesse e utilità. Abbiamo visto uno sforzo, per quanto possibile, per limitare il carattere detentivo e quindi custodiale delle strutture. Ci siamo confrontati con tanti operatori motivati, consapevoli che siamo in un processo difficile e che l’obiettivo non sono le Rems in sé, ma la costruzione di una rete di servizi sociali e sanitari, che permetta di fare cura e riabilitazione grazie all’inclusione sociale, lavorativa, abitativa, nella vita di tutti i giorni, affermando diritti dei cittadini.

Nelle nostre visite, abbiamo incontrato gli internati, persone sofferenti che oggi vivono condizioni decisamente migliori rispetto all’Opg, che sono quasi sempre consapevoli di aver commesso errori e che chiedono di poter riconquistare la libertà. A queste persone abbiamo detto che la piena cittadinanza, a loro negata per tanto tempo, si afferma con il rispetto dei diritti e della dignità e, insieme, dei doveri e della responsabilità verso gli altri cittadini. Anche rispondendo dei reati che si commettono. E che i “folli rei”, cioè le persone che finivano in Opg e oggi in Rems, non devono più restare in un binario parallelo, separato da quello dei “sani”.

Ma abbiamo anche detto che la pena non può mai negare diritti e dignità – come troppo sesso succede in carcere – e che la migliore speranza di cura e di riabilitazione è partecipare alla vita normale, senza rimanere chiusi in strutture che separano dalla vita sociale. C’è stato un dialogo, seppur breve, di grande intensità. E si è avvertito con chiarezza quanto sia stata (e sia) preziosa la partecipazione della società civile – in questo caso del sindacato e delle associazioni coalizzate in StopOpg – nel faticoso, ma positivo processo che sta portando al superamento dei manicomi giudiziari. A Caltagirone abbiamo partecipato anche al presidio per la campagna referendaria “Libera il lavoro con 2 sì”: un filo comune lega le battaglie per i diritti.

Stefano Cecconi è responsabile Politiche della salute Cgil nazionale