L’interazione tra competenze sindacali e giuridiche rappresenta un plus valore per l’iniziativa sindacale e si propone, in aggiunta all’analisi delle normative dei singoli paesi, di fornire alle organizzazioni nazionali e alla Confederazione europea (Ces) elementi di conoscenza e di riflessione. Sulla base di questa convinzione la Cgil ha promosso un progetto di ricerca sulla rappresentanza sindacale nei paesi membri dell’Ue avvalendosi del sostegno e del finanziamento dell’Ue, oltre che della collaborazione della Ces e di otto organizzazioni sindacali europee (Fgtb del Belgio, Podkrepa della Bulgaria; Cwc di Cipro; Tuc del Regno Unito, Cartel Alfa della Romania; Comisiones Obreras della Spagna, Lo della Svezia).

La ricerca, presentata nei giorni scorsi a Roma, studia i modelli di rappresentanza sindacale, individuando i più idonei a consentire l’attuazione delle legislazione comunitaria attraverso i contratti collettivi e verificando se l’adesione all’Unione europea abbia indotto modifiche nella struttura e nelle politiche delle organizzazioni sindacali nazionali. Un primo dato, ricavabile sia dalle relazioni scientifiche sia dagli interventi dei dirigenti sindacali, è la generale perdita di rappresentatività del sindacato. Il calo di iscritti risulta contenuto nei paesi del nord Europa e in Germania, più accentuato nel Regno Unito e nei paesi mediterranei, ad eccezione della Spagna. Nei paesi ex comunisti si sono registrati veri e propri crolli nelle iscrizioni dei lavoratori, passando da percentuali vicine alla totalità dei dipendenti a quote di poco superiori al 10 per cento. I motivi sono diversi. Nei paesi dell’area ex comunista l’alta percentuale di iscrizioni era imposta dal regime e, con la sua fine, i nascenti sindacati hanno dovuto di fatto ripartire da zero, con l’eccezione della Polonia, in cui era già presente un movimento sindacale libero.

Perché calano gli iscritti
Negli altri paesi il calo di iscritti è dovuto a molteplici e concorrenti fattori: la generale crisi della democrazia rappresentativa, particolarmente accentuata in Italia; la crisi economica e la riduzione dell’occupazione stabile, a favore di un lavoro precario nel cui contesto l’iscrizione al sindacato è un fattore di rischio; la modifica stessa della qualità della forza lavoro occupata stabilmente, dovuta al pensionamento dei lavoratori di forte tradizione sindacale. In questo scenario l’attacco al sistema contrattuale e alla concertazione ad opera delle istituzioni comunitarie, dei governi nazionali neo-liberisti – significativa al riguardo la recente esternazione del premier Monti contro la concertazione – e dei datori di lavoro – si veda il caso Fiat – ha ulteriormente indebolito la rappresentatività dei sindacati.

Conseguenza e insieme causa di tutto ciò è stato un forte indebolimento della copertura del contratto collettivo – in nessuno dei paesi osservati esiste il principio dell’“erga omnes” – e del sistema contrattuale nel suo insieme, a partire dal livello nazionale, che in alcuni paesi – in primis quelli dell’est – è stato addirittura eliminato, e in altri – si veda il caso Italia – è in profonda crisi. Fanno eccezione, ancora una volta, Germania e paesi del nord Europa, oltre alla Francia dove, nonostante la percentuale di iscrizione al sindacato tradizionalmente molto bassa, il livello di copertura del contratto rimane altissimo. La difficoltà del sindacato è accentuata dal contesto di crisi economica, in cui si contrattano sempre meno miglioramenti normativi e retributivi e sempre più riduzioni dei diritti e sacrifici, ma anche dalle politiche dell’Unione europea che, per competere con il resto del mondo, ha scelto esplicitamente di ridurre il welfare, le retribuzioni e il dialogo sociale e di comprimere la contrattazione collettiva. Tutte scelte sbagliate che hanno prodotto deflazione, oltre a incalcolabili danni alla coesione sociale e alla democrazia.

Relazioni sindacali vetuste
In tutto questo, però, pesa anche la vetustà del sistema di relazioni sindacali ereditato, senza sostanziali modifiche, dall’ottocento. Di certo non può essere una soluzione praticabile il tentativo di imitare sistemi come quelli dei paesi del nord Europa o della Germania – comprese le forme di cogestione –, sistemi che reggono meglio in questa congiuntura economica perché è migliore la tenuta di tutto il sistema democratico, a partire dal welfare e dalla rappresentanza sindacale e politica.

Soluzioni nuove e originali
Si tratta quindi di ricercare insieme soluzioni nuove e originali. Una condizione essenziale è il recupero dell’unità, o quantomeno dell’unità d’azione fra i sindacati a livello nazionale che, nei paesi in cui è esercitata, ha consentito di resistere meglio all’attacco ai diritti dei lavoratori. È considerata essenziale pure la difesa in ogni sede del diritto alla contrattazione, sia a livello sindacale sia a livello giudiziario. Il diritto è infatti protetto anche da norme sovranazionali che vincolano gli Stati stipulanti, come la Convenzione Ilo n. 98, la Carta europea (articoli 12, 13 e 14), la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articoli 4 e 11). Vanno poi individuati possibili strumenti e sedi di raccordo delle esperienze nazionali per affrontare la difficile crisi economica che ha investito le economie europee. La definizione di politiche sindacali condivise tra le parti sociali è infatti la condizione per governare il consenso dei lavoratori sulle misure anti-crisi decise dalle autorità europee.

A questo scopo una reciproca e adeguata conoscenza dei diversi sistemi sindacali nazionali può consentire alle parti sociali di individuare forme di coordinamento che garantiscano un efficace e corretto raccordo tra livello europeo e livello nazionale, pur nel rispetto del pluralismo delle esperienze nazionali. Il mercato unico e l’unione economica e monetaria, d’altronde, ripropongono il problema della partecipazione attiva delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, a livello sovranazionale, a un processo di formazione delle decisioni che non sia ristretto all’ambito dei canali istituzionali formalizzati (Comitato economico e sociale, Comitato per l’occupazione, Dialogo sociale, ecc.). La crisi economica richiede una partecipazione degli attori sociali alle decisioni relative a tutte le materie dedicate alla politica sociale che sono elencate dalle norme dei Trattati, fino agli aspetti programmatici relativi alle politiche macroeconomiche che possono produrre effetti nell’area sociale. La partecipazione delle parti sociali all’attuazione degli obiettivi dell’Unione è premessa e condizione per l’assunzione di responsabilità contrattuali coerenti con l’esigenza di promuovere “la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri” (articolo 3, comma 3 del Testo unico europeo).

Nessun paese può fare da sé
La crisi economica insegna anche che nessun paese può pensare di fare da sé e poter trovare, al solo livello interno, le risposte risolutive all’inusitata complessità dei problemi del lavoro in economie ormai integrate, soggette alla sfida di un progresso scientifico e tecnologico sempre più rapido e al potere dei grandi flussi finanziari. In questo contesto la Ces ha in programma un nuovo “patto sociale”, che rilanci il dialogo sociale e la contrattazione e preveda forme di indicizzazione delle retribuzioni e di contrattazione transnazionale. Vale la pena, in conclusione, sottolineare il fatto che la ricerca in oggetto, rispetto alle altre ricerche nell’ambito del “Dialogo Sociale”, si è caratterizzata per il metodo comparativo e per il livello di approfondimento scientifico.

Basti dire che, per ognuno degli 11 paesi oggetto della ricerca, sono intervenuti al seminario di Roma docenti di prestigiose università esperti di diritto del lavoro, diritto costituzionale e diritto privato (Université Catholique de Louvain, Bulgarian Academy of Sciences, Università di Cipro, Université Paris Ouest Nanterre La Défense, Europa-Universität Viadrina di Francoforte/Oder, Jagellonian University, Cracovia, King’s College Londra, Università Ecologica di Bucarest, Universidad de Castilla, La Mancha, Università di Stoccolma: questi gli atenei coinvolti nella ricerca), i quali hanno esaminato i sistemi di rappresentanza sindacale nel loro contesto storico-giuridico sulla base di un indice di argomenti concordato con i sindacati coinvolti nel progetto di ricerca. Buona parte dell’équipe, a partire dalla coordinatrice scientifica Carmen La Macchia (vedere articolo a pag. 8), ha già lavorato insieme in un precedente progetto sul diritto di sciopero, realizzando un libro pubblicato in inglese e italiano dalla casa editrice della Cgil.