Nel complesso, sul totale degli iscritti alle 42 camere del lavoro considerati dal sistema Omnibus Cgil, il 29% dei tesserati con meno di 25 anni risulta straniero, mentre nella fascia compresa fra i 26 e i 35 anni tale percentuale tocca il 27,5. Questi dati interessanti sono stati analizzati all’interno del VII rapporto Immigrazione e sindacato. Lavoro, cittadinanza e rappresentanza (Ediesse, a cura di Francesca Carrera ed Emanuele Galossi per l’Associazione Bruno Trentin-Ires-Isf), da Kurosh Danesh dell’Ufficio per le politiche dell’immigrazione della Cgil.

La “leva di Archimede” che favorisce il proselitismo tra i lavoratori stranieri è quasi sempre l’accesso al sistema dei servizi Cgil che nella maggior parte dei casi si dimostra essere la prima forma di relazione tra il mondo dell’immigrazione e quello del sindacato.

“La particolarità di questo contatto – sostiene Danesh – gioca un ruolo decisivo sull’eventuale decisione di aderire al sindacato da parte dell’immigrato. La rappresentazione che ha un lavoratore marocchino del sindacato, ad esempio, è assai differente rispetto a quella che può avere un lavoratore polacco, vista la difformità storica e l’operato delle organizzazioni dei lavoratori in questi due paesi”.

In generale l’immigrato assume consapevolezza del suo giudizio sul sindacato e sul sindacalismo italiano solo dopo alcuni anni di permanenza, mentre il suo approccio è molto diverso quando si rivolge al sistema di servizi per avere la risposta a una specifica domanda di tutela individuale. Nel complesso il tasso di adesione dei lavoratori immigrati è percentualmente molto più alto rispetto ai lavoratori italiani. “Diversi sono i motivi che determinano questa voglia di sindacato tra gli stranieri – spiega Danesh –, ma almeno due vanno sottolineati: in primis gli immigrati sono più ricattabili, e quindi esprimono una domanda più puntuale di tutele. In secondo luogo, la ricerca di una sede in cui esprimere la propria propensione alla partecipazione sociale non può che condurre a un sindacato plurietnico come la Cgil, ovvero a un’associazione di italiani e di immigrati”.

Il primato della Filt
I dati forniti dal sistema Omnibus per gli iscritti alla Cgil a fine 2012 permettono di avere un quadro più completo della situazione attinente alla distribuzione per categoria, genere e fascia d’età. In particolare, sono stati analizzati i dati relativi a 42 camere del lavoro (41 province), con una distribuzione territoriale concentrata nelle regioni centro-settentrionali (30 Centro-Nord e 12 Mezzogiorno), che rappresentano quasi un milione e 600.000 iscritti, di cui oltre 140.000 sono immigrati (pari a circa il 9%). Nello specifico degli attivi, invece, il peso percentuale degli iscritti stranieri supera il 16%. Oltre al dato interessante che riguarda i giovani migranti, altri elementi interessanti si possono trarre da Omnibus. A livello di categoria, l’adesione tocca punte altissime nella Filt; in questa categoria più di un iscritto su due tra i 26 e 35 anni è straniero (53,9%), ma anche in Flai (43,2) e Fillea (40,4). Sempre la federazione dei trasporti della Cgil si insedia al primo posto (28,4%) della graduatoria complessiva per fasce d’età, seguita da Fillea (27,3), Flai (27,1), Nidil (24,7) e Filcams (20,8). “Con l’insorgere della crisi – precisa il sindacalista –, sono mutati gli equilibri interni tra le categorie.

La Fillea, ad esempio, a seguito della chiusura di molti cantieri, ha subìto una pesante perdita di iscritti anche tra gli immigrati. Viceversa, Flai e Filcams hanno visto aumentare i propri tesserati: la prima, in virtù del buon risultato conseguito con la campagna nazionale di emersione dal lavoro nero in agricoltura che ha interessato una pluralità di migranti; la seconda grazie al settore domestico che proprio nel 2012 ha fatto registrare un saldo positivo di posizioni lavorative all’Inps, in maggioranza straniere. Più in generale, appare sempre più evidente come tra i giovani stranieri ci sia una domanda di sindacato molto più forte che tra i giovani italiani e come tale importante patrimonio vada assolutamente valorizzato in futuro. Se non saranno introdotte nel nostro ordinamento leggi restrittive contro l’immigrazione, ritengo non sia lontano il giorno in cui proprio gli stranieri diventeranno la prima categoria rappresentata nella Cgil”.

Meno ottimista il giudizio di Piero Soldini, responsabile dell’Ufficio per le politiche dell’immigrazione Cgil, soprattutto sull’azione sindacale dell’ultimo periodo. “Non possiamo nasconderci dietro un dito: il recente congresso della Cgil non è riuscito a riequilibrare nell’organizzazione la rappresentanza dei lavoratori immigrati. La crisi economica e occupazionale non può essere una giustificazione, perché questa riguarda tutti e ancora di più gli immigrati che pagano un prezzo aggiuntivo in termini di disoccupazione, precarietà, perdita del permesso di soggiorno, arretramento dei percorsi d’integrazione, aumento di discriminazioni e razzismi. La percentuale di iscritti immigrati si attesta al 15% sul totale dei lavoratori attivi e sale al 25 tra i giovani under 35, ma nella platea di Rimini la presenza di delegati stranieri è stata dell’1,5 %. Non parliamo poi degli eletti nel Direttivo nazionale: 2,5. Dati analoghi si riscontrano in quasi tutte le istanze territoriali e di categoria”.

“L’impegno solenne dei congressi precedenti – denuncia ancora Soldini – era di promuovere una rappresentanza di delegati e dirigenti sindacali immigrati ‘proporzionale’ agli iscritti; ci può stare che tale obiettivo sia raggiunto con gradualità e tempi lunghi non traumatici per l’organizzazione, ma non si può accettare che aumentino gli iscritti e diminuisca la rappresentanza: se ciò avviene significa che iscriviamo lavoratori immigrati ma non siamo in grado di rappresentarli. Tale carenza si riflette anche sullo stallo delle rivendicazioni che avanziamo per abrogare la ‘Bossi-Fini’, per riformare la cittadinanza e rimuovere la condizione di discriminazione nei loro confronti”.

Uomini e donne
Rispetto alla differenza di genere, tra gli immigrati si manifesta generalmente una maggiore presenza di iscritti uomini, ma nel contempo si conferma la tendenza a una forte alternanza delle presenze a seconda delle categorie di appartenenza. “In particolare – riprende Danesh –, i settori delle costruzioni e dell’industria sono appannaggio quasi totale della componente maschile, mentre di solito nei servizi il peso delle donne appare predominante”. Scendendo nel dettaglio, la Fillea risulta al vertice dei tesserati immigrati uomini (97,8%), seguita da Fiom (90,3) e Filt (86,7); di contro, sul versante femminile eccellono Flc (79,3%) e Fp (76,8). Un ulteriore elemento da prendere in considerazione riguarda la percentuale di iscritti a livello territoriale. “È un fattore di grande interesse – osserva il sindacalista –, perché permette di individuare, nell’ambito del campione delle Cdl analizzate, il peso degli iscritti immigrati sul totale dei tesserati Cgil”.

Così si evince che in alcune province del Nord-Est, in particolare Belluno, Trieste e Verona, la componente immigrata è considerevole, essendo ormai prossima al 20% del totale degli iscritti, mentre se consideriamo solo i lavoratori attivi, in testa alla classifica subentrano Bolzano, Piacenza e Forlì-Cesena, con percentuali vicine al 30. Di contro, finiscono in coda alla classifica territoriale le province meridionali, in particolare quelle di Sassari, Taranto e Brindisi, logica conseguenza della presenza di immigrati concentrata nelle regioni del Nord (con oltre il 60%). Altro elemento considerato dalla ricerca, la percentuale di iscritti stranieri in rapporto al numero dei residenti: circa il 10% dei residenti immigrati nel complesso delle 41 province prese a campione ha aderito alla Cgil. I territori con il più alto tasso di sindacalizzazione sono Trieste (27,9%, includendo anche i lavoratori transfrontalieri), Forlì-Cesena (20,1), Belluno (19,3) e Ravenna (19), mentre Ragusa (18) si conferma la provincia più sindacalizzata di tutto il Sud.

Infine, l’indagine misura le tendenze alla sindacalizzazione Cgil dal punto di vista delle nazionalità. In questo caso, la metodologia seguita ha preso in considerazione le prime 25 nazionalità per numero di residenti, confrontandole con il numero di iscritti Cgil nelle province italiane campione. “A livello complessivo – conclude Danesh –, persiste una grande difficoltà a intercettare lavoratori provenienti dalla Cina e più in generale dall’Asia, nonostante qualche buon risultato ottenuto con indiani e filippini. Vi è poi un sottodimensionamento della componente dell’Est Europa, malgrado, in numero assoluto, i rumeni siano la comunità con il maggior numero di iscritti. Inoltre, si denota una buona tenuta con i paesi africani, sia del Nord che delle regioni subsahariane, e anche ottime performance con i lavoratori provenienti dagli Stati balcanici”. Scorrendo le cifre, il tesseramento Cgil vede consolidata al primo posto la comunità rumena (con 11.756 tesserati) con, a ruota, quella marocchina (11.077) e albanese (10.682). Inoltre, vi sono 6.389 iscritti di Serbia e Montenegro, 4.770 tunisini, 3.880 svizzeri, 3.629 senegalesi, 3.593 indiani, e via di seguito tutte le altre nazionalità.