Dopo tre settimane di riunioni e negoziati, in commissioni e in plenaria, si è conclusa il 12 giugno scorso la 103ma Conferenza Internazionale del Lavoro, l'assemblea annuale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil – Ilo), che riunisce migliaia di delegati e consiglieri tecnici di governi, sindacati e associazioni datoriali dei 185 Stati membri.

Quest'anno, così come era avvenuto nel 2012, la Commissione sull'Applicazione delle Norme non è giunta a conclusioni concordate tra il gruppo dei lavoratori e quello degli imprenditori, date le condizioni, unilateralmente imposte da parte di questi ultimi, sull'esclusione del diritto di sciopero dalla valutazione sull'implementazione degli standard internazionali riguardanti la libertà di associazione.

La Commissione discute, ogni anno, inizialmente uno studio generale su un tema predefinito, stavolta rappresentato dai salari minimi, e poi il rapporto che analizza l'inosservanza o le violazioni nell'applicazione delle convenzioni ratificate dagli Stati membri, studio e rapporto elaborati dal Comitato indipendente di esperti (Ceacr). Dal rapporto analitico sulle violazioni delle convenzioni e raccomandazioni le parti sociali scelgono, concordandola, una lista di 25 paesi - ponderando le varie aree geografiche e i tipi di violazioni rilevate - che sottopongono a richieste di chiarimenti e rettifiche nel corso dei lavori della Commissione Applicazione delle Norme.

Considerato che le normative Ilo sono sprovviste di sanzioni, questo è il meccanismo di monitoraggio che finora ha consentito di richiamare gli Stati inadempienti alle loro responsabilità, almeno sul piano politico. Negli ultimi anni in maniera sempre più incalzante gli imprenditori hanno teso a mettere in discussione il ruolo, la funzione ed il mandato degli esperti, contestandone l'indipendenza e l'autorevolezza. I problemi emersi avevano sollecitato l'intervento del Consiglio di Amministrazione dell'Ilo, che lo scorso marzo aveva trovato un punto di approdo comune sul mandato indipendente del Comitato di esperti. Purtroppo, gli imprenditori, nel corso dei lavori della Commissione, non hanno tenuto fede neanche a questa formula che pure era stata concordata. Fin dalla discussione per la redazione della lista, gli stessi imprenditori hanno espresso rigidità sia in merito alla scelta dei paesi da includere, attraverso veti pregiudiziali (ad esempio sulla richiesta di discutere delle violazioni dei diritti sindacali in Turchia), sia annunciando di non ritenere più opportuno dover concordare la lista, ma di preferire invece per il futuro altre modalità per la sua definizione, come ad esempio un possibile sorteggio.

Poi, nella discussione dei singoli casi, hanno duramente attaccato la struttura e di fatto la natura tripartita della Commissione, contestandone le modalità di dialogo tra le parti che ne costituiscono le fondamenta. Introducendo una nuova prassi, il gruppo degli imprenditori in quella sede ha affidato la propria voce di rappresentanza a tre avvocati “bulldozer” provenienti da grandi studi legali del Regno Unito, degli Usa e del Canada, che si sono avvalsi di comportamenti e linguaggi a dir poco spregiudicati fin dall'inizio, sancito dal “Welcome to the new normal” indirizzato al gruppo dei lavoratori, come a voler dire “benvenuti nella nuova normalità, che vi faremo ben presto capire qual è”. Il linguaggio ed i comportamenti seguenti sono stati purtroppo coerenti con quell'esordio. Nonostante siano stati discussi tutti i singoli casi, non si è potuta raggiungere una formula conclusiva congiunta per il pesante ricatto in base al quale agli esperti del Ceacr andrebbe negata la possibilità di interpretare la convenzione 87 sulla libertà di associazione, riferendola alla praticabilità del diritto di sciopero.

E' chiaro il grave tentativo del gruppo imprenditori di continuare nella volontà di demolire l'intera struttura di monitoraggio sull'applicazione delle norme e l'equilibrio dell'Ilo, che ha un impianto di dialogo tripartito unico nel suo genere nel panorama di diritto internazionale. Con questa 103ma Conferenza si è mantenuta aperta, quindi, una profonda ferita nella tutela normativa dei diritti umani e del lavoro, a cui occorrerà dare risposta nelle sedi appropriate e con gli strumenti opportuni.
E' evidente che la posta in gioco esige il massimo impegno in tutte le sedi, a partire da quelle istituzionali: suscita quindi ragione di ulteriore allarme l'atteggiamento dei Governi, che non hanno assunto nessuna posizione al riguardo ed hanno passivamente “preso atto” della situazione, trincerandosi dietro una tanto inopportuna quanto pericolosa neutralità. La prossima riunione del Consiglio di Amministrazione (novembre) esaminerà la possibilità di un ricorso in sede internazionale, probabilmente alla Corte Internazionale di Giustizia.

Come accennato, la discussione generale in seno alla Commissione Norme ha avuto ad oggetto la Convenzione n.131 sulla determinazione del salario minimo, i cui contenuti vogliono innanzi tutto dare attuazione al principio secondo cui “il lavoro non è una merce”, sancito dalla Dichiarazione di Philadelphia del 1944, che quest'anno celebra settant'anni. Il dibattito ha richiamato l'esigenza di politiche di promozione del lavoro dignitoso e di riduzione del lavoro informale, sottolineando che occorre urgentemente assicurare un lavoro di qualità a tutti e predisporre politiche economiche e sociali a favore dell'occupazione, che includano investimenti pubblici e privati.

La Commissione per la discussione ricorrente sulle politiche dell'occupazione, che deve verificare la coerenza delle politiche occupazionali con gli obiettivi della Dichiarazione sulla Giustizia Sociale per un'Equa Globalizzazione (2008), ha introdotto (e concluso) i suoi lavori partendo dal dato drammatico dei 200 milioni di disoccupati di cui il 40% è costituito da donne e giovani. Occorre creare 600 milioni di nuovi lavori nei prossimi dieci anni per assorbire anche i 400 milioni di giovani che entreranno nel mercato del lavoro.

Si è riaffermato che ogni Stato deve promuovere una politica sull'occupazione, basata su consultazioni tripartite, sulla base di politiche macroeconomiche a favore dell'impiego, di investimenti produttivi, trasformazioni strutturali, politiche industriali anche per piccole e medie aziende, di formazione lungo tutto l'arco della vita, di politiche di mercato del lavoro su retribuzioni, contrattazione collettiva, servizi all'impiego, misure mirate per favorire l'occupazione delle donne, sussidi di disoccupazione, ecc. E' stato dato ampio rilievo alla necessità di politiche che aggrediscano la disoccupazione di lungo termine, di politiche migratorie, di processi tripartiti che promuovano la coerenza politica tra le politiche economiche, ambientali, occupazionali e sociali, di meccanismi di coordinamento inter-istituzionale, di strategie per facilitare l'occupazione giovanile e per facilitare la transizione alla formalità, alla sostenibilità ambientale, al tripartismo e al dialogo sociale.

La Commissione sul lavoro forzato ha approvato una Raccomandazione e un Protocollo che rafforzano gli impegni dei governi nell'applicazione di norme e comportamenti che elimino ogni forma di lavoro forzato e di tratta delle persone. E' uno strumento che integra la Convenzione 29, in base alla quale il termine lavoro forzato o obbligatorio indica ogni lavoro o servizio estorto a una persona sotto minaccia di una punizione o per il quale detta persona non si sia offerta spontaneamente.

L'Ilo stima che, oggi, 21 milioni di persone nel mondo siano vittime di lavoro forzato. In base al Protocollo, ogni Stato membro deve elaborare, con le parti sociali, una politica nazionale ed un piano d'azione per la soppressione effettiva e durevole del lavoro forzato, che prevedano un'azione sistematica da parte delle autorità competenti, con attenzione agli aspetti di prevenzione, protezione e risarcimento delle vittime. Tra le misure di prevenzione, si insiste sull'educazione e l'informazione, soprattutto dei soggetti vulnerabili, e sulla protezione dei migranti. Il Protocollo ribadisce la necessità di un'azione contro le cause profonde ed i fattori che accrescono il rischio di lavoro forzato od obbligatorio.

Si è svolto, inoltre, il primo anno di lavoro della Commissione sulla transizione dall'economia informale a quella formale, che dovrebbe nel 2015 concludersi con l'adozione di uno standard in materia, con ogni probabilità una Raccomandazione. L'economia informale copre tra il 40% e l'80% della forza lavoro nel mondo, secondo le zone ed i paesi. Le priorità chiave individuate includono l'esigenza che la Raccomandazione sia specificamente ancorata al concetto di transizione verso una condizione di lavoro dignitoso, a un approccio basato sulla tutela dei diritti, e affrontando anche le aree di lavoro informale presenti nell'economia formale.

La delegata dei lavoratori italiani, Silvana Cappuccio, oltre a seguire i lavori della Commissione sull'Applicazione delle Norme, è intervenuta nella sessione plenaria, che era dedicata, soprattutto, al rapporto del Direttore Generale, Guy Ryder, su “Migrazione equa: un'agenda per l'Ilo”.
All'indomani della conclusione della Conferenza si è riunito, per la prima volta, il nuovo Consiglio di Amministrazione dell'Ilo, eletto con mandato triennale il 2 giugno (per i lavoratori italiani è presente Silvana Cappuccio). Per la prima volta il governo italiano – che ha all'Ilo un seggio permanente – è stato nominato, per il biennio 2014-15 – portavoce dei governi che siedono nel CdA.