Il 19 marzo scorso, alla vigilia dell'ultimo vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea, nel salone del Residence Palace, centro della stampa estera a Bruxelles, si è svolto un singolare contro-vertice, alternativo e straordinario. I segretari generali e i presidenti delle principali organizzazioni nazionali aderenti alla Confederazione europea dei sindacati, da Susanna Camusso alla belga Anne Demelenne, dallo spagnolo Ignacio Toxo al tedesco Reiner Hoffmann, dal greco Yannis Panagopoulos alla danese Bente Sorgenfrey, con molti altri dirigenti sindacali e insieme alla segretaria generale della Ces, BernadetteSégol, si sono incontrati per lanciare un monito severo e fortissimo ai leader degli Stati e delle istituzioni europee.

Il senso di questo monito è chiaro, non equivocabile: l'Europa e il suo progetto sono in crisi, il mondo del lavoro ne sta pagando più di altri il prezzo, è giunta l’ora di un cambio di passo. È per questo che il 4 aprile centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici saranno in piazza nella capitale belga per manifestare e far valere le proprie ragioni. Le politiche di austerità e di rigore messe in atto dall’Europa e dai governi dei diversi paesi dell’Unione hanno clamorosamente fallito. Quelle politiche non hanno consentito di risolvere la crisi economica, produttiva, occupazionale.

Anzi, l’hanno aggravata,come dimostrano l’aumento del debito nei paesi in difficoltà, il tasso inaccettabile di disoccupazione (il più alto nella storia recente dell’Europa, un vero incubo se si guarda alla disoccupazione giovanile e femminile), la stagnazione nella crescita e nella produzione di reddito e ricchezza, l’allargamento della forbice di diseguaglianze e squilibri tra realtà nazionali, sistemi economici, realtà sociali e del lavoro nei differenti Stati europei.

L’ossessione ideologica e cieca per la disciplina di bilancio, la furiosa insistenza sulle scelte di riduzione dei budget pubblici e di tagli alla spesa per il welfare, l’applicazione acritica dei vincoli dei vari “compact”, insomma, tutte le principali scelte economiche adottate negli ultimi anni si sono rivelate sbagliate, inefficaci, inique. Basterebbe considerare, per fare solamente un esempio, l’andamento dei salari. Negli ultimi cinque anni i salari reali e, dunque, il loro potere d’acquisto, tenuto conto della dinamica dell’inflazione, sono diminuiti nella maggior parte degli Stati europei, per la precisione in 18 dei 28 Stati. Meno 23 per cento in Grecia, meno 12 per cento in Ungheria, meno 6 per cento in Spagna e Portogallo, meno 4 per cento in Olanda e nel Regno Unito.

Altrove, se si tiene conto del peso dell’aumento pressoché generalizzato della pressione fiscale sul lavoro dipendente, i salari reali restano invariati o crescono a un ritmo basso, troppo compresso. Ecco, non occorre aggiungere molto altro a questi dati per comprendere la necessità di un immediato, urgente, indifferibile cambio di direzione nelle scelte europee. L’Europa ha bisogno di un “nuovo corso”, questa è la definizione che la Ces ha voluto dare alla sua proposta di un piano straordinario di investimenti per la crescita e l’occupazione; un piano che sarà al centro delle rivendicazioni dell’euromanifestazione del 4 aprile.

Un nuovo corso nelle politiche economiche e industriali (vero buco nero nelle “non scelte” del presidente José Manuel Barroso, del commissario europeo per gli Affari economici e monetari Olli Rehn e del resto della Commissione europea), un piano da 250 miliardi di euro all’anno, per i prossimi dieci anni, dedicato a investimenti pubblici e privati nei settori decisivi per lo sviluppo e il futuro europeo, i settori di una rinnovata e sostenibile industria manifatturiera, di servizi e terziario avanzato di qualità, di infrastrutture tecnologiche e reti integrate e intelligenti, di una socialità attenta al trend demografico e all’invecchiamento attivo. Undici milioni di nuovi posti di lavoro – questa è la stima indipendente e neutrale che degli effetti del piano è stata effettuata – potrebbero essere creati investendo una cifra corrispondente a un quarto di ciò che l’Europa ha speso per salvare le banche a rischio, oppure di ciò che si perde ogni anno a causa delle frodi e dell’evasione fiscale.

A noi pare l’unica strada percorribile per il futuro dell’Europa. Un “nuovo corso” per tentare di invertire la tendenza al declino del sogno europeo, per la ripresa del processo di integrazione all’insegna di solidarietà e spirito democratico, per non consegnare il Parlamento europeo alle spinte dagli oscuri contorni nazionalisti, xenofobi, fascisti. Per questa speranza, per mantenere viva l’aspirazione europeista che ha sempre caratterizzato il mondo del lavoro italiano, saremo in tanti venerdì 4 aprile a Bruxelles, per il passo d’avvio di un corso davvero nuovo.

E per le stesse ragioni, sosterremo la raccolta di un milione di firme in almeno sette Stati nell’ambito di “NewDeal4Europe”, l’iniziativa lanciata dal Movimento federalista europeo e condivisa da un gran numero di soggetti e organizzazioni della società, a partire dai sindacati confederali italiani. Un’iniziativa che va nella direzione che tutti noi auspichiamo e che vivrà nei nostri appuntamenti e nel nostro comune lavoro per i prossimi dodici mesi, i mesi in cui si giocherà la partita per l’Europa dei diritti e del lavoro.

*Responsabile Segretariato Europa Cgil