“Per impedire l’intervento legislativo sugli scioperi, basterebbe che Cgil, Cisl e Uil regolassero la materia nell’accordo interconfederale con le associazioni imprenditoriali, il cui negoziato langue da mesi. Avrebbero già dovuto averlo fatto molti anni fa: non perché tirate per i capelli, ma di propria iniziativa e nel proprio prioritario interesse”. A dirlo è il giuslavorista e senatore del Pd Pietro Ichino, in una lettera inviata al Corriere della Sera. La sua analisi parte dai difetti del sistema di relazioni industriali nei trasporti pubblici: “l’attuale disciplina dello sciopero, non soltanto consente al sindacatino ultra-minoritario di proclamare l’agitazione contro il contratto collettivo validamente stipulato dai sindacati maggiori, ma consente anche - caso unico al mondo - ai lavoratori che hanno aderito a quel contratto, e ne godono i benefici, di partecipare allo sciopero proclamato contro di esso: secondo la giurisprudenza e cultura sindacale dominante, la clausola di tregua non li vincolerebbe in alcun modo. Risultato: da un quarto di secolo in qua, mediamente uno sciopero al mese in ciascun comparto dei trasporti, anche pochi giorni dopo il rinnovo del contratto, al livello nazionale come a quello locale”.

Ichino ricorda che l’Italia è, con la Francia, l’unico grande Paese europeo “dove manca il requisito del consenso maggioritario dei lavoratori per la proclamazione dello sciopero nei servizi pubblici: regole di questo genere si applicano da molti anni, per esempio, in Gran Bretagna, Spagna, Germania e Grecia”. Per il senatore Pd, l’unico argomento pregiudiziale che potrebbe essere portato contro l’iniziativa del ministro Sacconi è che “la nostra legge attuale sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali già prevede una procedura che consentirebbe ai sindacati maggiori di negoziare con gli imprenditori regole efficaci per togliere ai sindacati minoritari il potere di veto: regole che poi, una volta ratificate dalla Commissione di garanzia, diventerebbero vincolanti per tutti”. Questa soluzione – continua il giuslavorista - avrebbe il vantaggio “di non espropriare il sistema delle relazioni industriali del potere di regolare la materia, di consentirgli di modulare e aggiustare la disciplina secondo le esigenze reali. Senonché, nonostante le mille e mille umiliazioni patite nel settore dei servizi pubblici per mano del sindacalismo autonomo, Cgil, Cisl e Uil non hanno avuto fino a oggi la lucidità e la lungimiranza necessarie per utilizzare incisivamente questo strumento”.