Il tirocinio è uno strumento importante per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, ma solo se viene utilizzato in modo adeguato: in Italia è iniziato un percorso con molti problemi, ora occorre analizzare ciò che non ha funzionato e introdurre le correzioni per il prossimo futuro. È stata una giornata di riflessione e confronto, quella di oggi (martedì 20 dicembre) in Cgil, dal titolo “I tirocini in Europa e il futuro di Garanzia giovani”, coordinato da Maria Grazia Nicita, responsabile del Sol Cgil. Nella sede del sindacato in Corso d’Italia si è discusso del mondo dei tirocini con contributi di esperti, sindacalisti e politici che si sono ritrovati per fare il punto della situazione: iniziativa – tra l’altro – doppiamente importante perché arriva in vista del rinnovo del programma di Garanzia giovani nel nostro paese. Al microfono si sono alternate tante voci e molte esperienze, portate anche dall’estero, per approfondire al meglio i punti positivi e quelli da rivedere. Prima dell’inizio, però, è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare le vittime dell’attentato di ieri a Berlino.

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A introdurre l’incontro è stata Gianna Gilardi, della Cgil nazionale: “Non vogliamo unirci al coro che definisce Garanzia giovani un fallimento – ha esordito –, non ha funzionato e lo dicono i numeri. Ora che siamo alla vigilia del rinnovo del programma, sviluppiamo la nostra riflessione: è un programma di grandi potenzialità – a suo avviso –, ma che avuto una parte di inefficienza a causa della crisi di lunga durata e per il non funzionamento dei servizi all’impiego”. Nel nostro paese, inoltre, “si fanno tirocini anche a 45-50 anni, senza contare che i giovani che non trovano impiego dopo il tirocinio tornano nell’esercito dei Neet”. Insomma lo strumento va rinobilitato: “È essenziale il ruolo delle istituzioni: bisogna rinnovare Garanzia giovani pensando seriamente a cosa va rivisto. L’altro grande assente sono state le imprese, che hanno aderito in numeri molto ridotti. Rinnovare il programma allo stesso modo – invece – sarebbe un altro fallimento peraltro annunciato”. Da parte sua, il sindacato “deve rilanciare la sua azione e la sua capacità negoziale: si rischia che i giovani che arrivano nelle aziende non siano visti né seguiti da nessuno”.

Il governo Renzi non ha giovato al mondo del lavoro e ai giovani, ha detto Corrado Barachetti, responsabile Mercato del lavoro della Cgil. “Altrettanto grave è stata la disattenzione verso le donne e il Sud – ha osservato –. I dati lo dimostrano: sono precari i contratti a tempo indeterminato, visto l’aumento dei licenziamenti, così come il tempo determinato, i tirocini in continuo aumento, l’esplosione dei voucher. Aver prodotto più occupazione, per lo scorso esecutivo, significa aver prodotto più precarietà. Secondo noi ci sono una serie di obiettivi da conseguire: riconoscere il ruolo delle parti sociali come positivo e riaprire subito il confronto, mettere a disposizione per i giovani la quota ore prodotta dai voucher per i contratti nazionali dei vari settori. E poi recuperare i valori etici nelle condizioni di impiego sia dentro i luoghi di lavoro, sia nei diritti dei lavoratori. La Cgil ha già indicato la sua strada: riscrivere i diritti di tutti i lavoratori, riunificandoli nella proposta di legge di iniziativa popolare per la Carta dei Diritti universali, e con i tre quesiti referendari per cancellare le norme più ingiuste”.

Un impegno è arrivato da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera: “Il Jobs Act si può cambiare: porterò avanti la mia proposta di legge che prevede l’occasionalità del lavoro con i voucher. È diversa dalla proposta della Cgil, che ne chiede l’abolizione, ma è comunque una correzione importante”. Nella sua esperienza, ha ricordato Damiano, “il mio mantra da ministro è stato far costare di più il lavoro flessibile e meno il lavoro stabile, ho finanziato per ultimo i Centri per l’impiego”. Sul Jobs Act del governo Renzi, ha spiegato, “l’ho votato ma sono critico sul suo impianto. I referendum della Cgil ci sono e dobbiamo farci i conti, non possiamo risolvere dicendo che ci saranno le elezioni”. Nel merito dei tre quesiti referendari presentati dalla Confederazione “occorre fare distinzioni: i voucher non sono determinanti nel Jobs Act, che li ha toccati marginalmente, poi si è intervenuti nei decreti attuativi con misure come la proibizione dell’utilizzo in subappalto, anche se ancora insufficienti. Più complicata la questione dell’articolo 18: il Jobs Act non è un tabù, si può cambiare, si può correggere sulla questione dei licenziamenti disciplinari, collettivi e in caso di cambio appalti”. Su Garanzia giovani “il punto è garantire continuità di lavoro dopo la fine del programma: altrimenti è solo uno spot, con i giovani che restano delusi sia dalle istituzioni sia dal lavoro”.

La ricercatrice dell’Isfol Giovanna Linfante ha fatto il punto riassumendo i dati raccolti nel tempo dall’istituto: al 30 settembre di quest’anno il 34,8% dei giovani che ha svolto un tirocinio risulta occupato. “Ovviamente – ha raccontato – ci sono criticità: abbiamo spesso rilevato una spaccatura tra il giudizio dei giovani che svolgono il tirocinio e dopo quando lo hanno concluso. I ragazzi spesso rivedono notevolmente i propri giudizi positivi. La sensazione è che dopo la conclusione del tirocinio ci sia una fase di spaesamento: ovvero i giovani, che magari giudicano positivamente il tirocinio, quando l’esperienza si chiude si sentono lasciati soli. In generale, Garanzia giovani non può essere la soluzione al problema dell’occupazione, ma comunque fornisce un numero elevato di tirocini, anche nel Mezzogiorno: ora c’è bisogno che accada qualcosa dopo”. L’altro problema che emerge dai dati è il ritardo nei pagamenti dei tirocini: “Purtroppo non diciamo niente di nuovo, ormai è noto: nelle varie indagini, a partire dall’aprile 2015, ogni volta vediamo confermato con forza questo problema”.

“Il tirocinio ci può essere, ma non può essere il perno delle politiche attive per il lavoro”. Così Anna Teselli, ricercatrice della Fondazione Di Vittorio.  Analizzando i dati, ha spiegato, “chi sigla un secondo tirocinio con la stessa azienda del primo ha più possibilità di restare in disoccupazione. I contratti tendono a reiterarsi: per esempio, chi ha una collaborazione poi ne avrà una seconda e una terza, il mercato del lavoro tende a ripetere i contratti soprattutto nelle stesse aziende”. A tre anni dal tirocinio il 38% dei soggetti coinvolti non partecipa al mercato del lavoro dipendente, il 24,2% intraprende percorsi precari, il 37,9% percorsi con esperienza di stabilizzazione: “In alte parole c’è un 38% di ragazzi per cui il tirocinio non funziona fin dall’inizio. La stabilizzazione riguarda di più gli uomini, tra i 25 e i 30 anni e i laureati. Al contrario, i giovanissimi e coloro con basso livello di scolarizzazione sono quelli che più restano fuori, entrando così nella platea dei Neet. I percorsi precari toccano soprattutto le donne, i giovani adulti sopra i 30, i giovani con medio-bassi livelli di scolarizzazione”. Insomma, ha concluso Teselli, “il tirocinio non può funzionare per tutti, per esempio per i giovanissimi non serve. Intorno ai dati e ai risultati ci auguriamo venga ricostruita Garanzia giovani”.

“Dal 2008 al 2016, negli anni della crisi, i giovani occupati italiani sono scesi di due milioni”. Così Andrea Brunetti, responsabile Politiche giovanili della Cgil nazionale. “L’Italia ha subito un calo demografico che ha visto quella fascia di età scendere di 1,3 milioni di soggetti, i giovani sono sotto i 13 milioni: qui la questione dei cervelli in fuga si intreccia a quella della natalità. Stiamo assistendo ad una scomparsa dai giovani dalla società italiana: occorre tenerne conto quando analizziamo il tema”. Anche per Brunetti giudizio molto critico sulle misure del governo Renzi: “Il Jobs Act non ha funzionato. Le risposte di oggi di Damiano sono parzialmente positive, ma c’è un grande lavoro da fare: più volte abbiamo proposto terapie shock, come nel Piano del Lavoro della Cgil, che prevede un progetto straordinario per l’occupazione femminile e giovanile”. Sul fenomeno dei Neet “bisogna considerare che la platea è cresciuta esponenzialmente proprio a causa della disoccupazione: molti di questi giovani stanno cercando lavoro. Il 26% dei Neet è disoccupato di lungo periodo. Bisogna analizzare i possibili interventi, allora, partendo proprio dai bisogni reali delle persone che vengono prese in carico”. Su Garanzia giovani, ha osservato, “oltre un milione di giovani si sono iscritti al programma, ma per molti di loro questo non è servito a renderli lavoratori attivi”. Serve un coinvolgimento di tutto il territorio, con percorsi di orientamento di qualità: “Noi come sindacato ci siamo, in un contesto unitario in Italia, che proviamo a costruire anche in Europa”. Tra le richieste del sindacato per il futuro c’è l’adeguamento del rimborso spettante ai tirocinanti, insieme al blocco della possibilità di turn-over senza limiti dei tirocini utilizzati dalle aziende.

L’esperienza di Garanzia giovani finora è risultata inefficace, secondo Giuseppe Massafra, neo segretario confederale della Cgil. “Parole come alternanza scuola-lavoro, tirocini, orientamento – ha rilevato – rischiano di restare influenzate dalle prospettive confindustriali: a completare il quadro di enorme difficoltà c’è anche il tasso di dispersione scolastica e la diminuzione delle iscrizioni alle università. Molti abbandonano gli studi per la povertà diffusa, che impone di lasciare, e per la convinzione che studiare non sia più determinante per il futuro: tanti ritengono di poter trovare migliori opportunità all’estero. I 100mila giovani che fanno esperienza altrove, al contrario di ciò che ha detto Poletti, per la maggior parte sono stati costretti, hanno lasciato l’Italia con amarezza, spaventati dall’idea di venire pagati con voucher e non avere un domani”. Massafra ha indicato la via da seguire: “La strada giusta è il dialogo sociale, serve un confronto vero con la parte istituzionale. Dai giovani che hanno votato no arriva una forte richiesta di cambiare verso. Una direzione la stiamo indicando noi, con i tre quesiti che sottoponiamo al referendum, e realizziamo con piacere che la nostra iniziativa è tornata al centro del dibattito politico in questi giorni”, ha concluso.

Per il segretario generale del Nidil Cgil, Claudio Treves, “dai dati emerge la ‘maledizione’ del nostro paese: la disoccupazione è concentrata dove non c’è un sistema di produzione e di servizi che fanno da traino. Su Garanzia giovani, poi, serve un’operazione trasparenza che riguarda i disoccupati: bisogna stabilire quanto conta la loro competenza in relazione alle possibilità offerte dal territorio. Il tirocinio in sé è un soggetto sfuggente e ambiguo – ha riflettuto -: è un non rapporto di lavoro, che vive a fianco di rapporti di lavoro come l’apprendistato, e ora si incrocia con la scelta dell’alternanza che complica ulteriormente il quadro. Serve quindi una riflessione all’interno del sindacato su funzioni, prospettive e destino di questo strumento”. Una battuta sul referendum: “Sono molto contento del risultato: proprio perché ha vinto il No, e non è passato il disegno centralizzatore, questo ci rende un po’ più forti per dire alla Regioni che occorre un maggiore coordinamento nei confronti del sindacato, con l’obiettivo di attivare un sistema concordato con caratteristiche di maggiore unitarietà”.

“Oggi i segni del cambiamento, che non abbiamo saputo cogliere, ci presentano il conto molto salato soprattutto per i giovani”. Lo ha detto Fausto Durante, responsabile delle Politiche europee e internazionali della Cgil. “Attualmente il mondo del lavoro è una giungla, per questo bisogna tornare a guardare alle persone in carne ed ossa, non solo agli algoritmi. Gli studiosi ci dicono che nel prossimo futuro gli algoritmi potranno sostituire i capi del personale, perché saranno in grado di organizzare meglio i lavoratori: allora, come sindacati, dobbiamo formare una nuova classe di sindacalisti in grado di trattare e negoziare con il mondo di domani”. Per farlo “bisogna agire a livello continentale: occorre sfruttare il pilastro europeo dei diritti sociali, come lo chiama Juncker, ovvero l’ipotesi di regolare finalmente i diritti all’interno della Ue. Dentro questa ipotesi devono stare i diritti dei giovani: serve lavoro vero, retribuito e di qualità, e servono principi sociali. A uguale lavoro deve corrispondere uguale salario tra giovani e anziani”.

Il neo segretario confederale della Cgil, Tania Scacchetti, ha concluso la giornata. “Nostro obiettivo – ha esordito – è rilanciare un’azione sindacale che sappia interpretare le grandi trasformazioni avvenute. Per farlo è necessario riflettere su alcuni grandi temi: prima di tutto bisogna tornare alla creazione di posti di lavoro, dopo tutti i posti persi in questi anni, all’insegna dell’occupazione di qualità. Il Jobs Act, ogni giorno, ribadisce la sua inefficacia ma anche la negatività proprio culturale che ha impartito al nostro mercato del lavoro”. Sul tema dell’occupazione: “Abbiamo la proposta del Piano del Lavoro, spesso ne parliamo come progetto per creare impiego e poco lo decliniamo come riflessione su che tipo di lavoro vogliamo. In tal senso pensiamo anche a nuovi campi di lavoro, come la tutela dei beni pubblici e la riqualificazione del territorio. L’altro nostro strumento – ha proseguito Scacchetti – è la Carta dei Diritti: la proposta di nuovo Statuto non è solo uno strumento legislativo, ma è proprio un’idea, che risponde alla svalorizzazione del lavoro come unico mezzo per competere nel mercato globale. Non è così, la Carta dei Diritti è anche un cambio culturale”.

Passando ai tirocini, ha detto il segretario, “il lavoro non può essere una variabile dipendente dalle condizioni economiche dell’impresa e del mercato. L’impoverimento, la precarizzazione del lavoro senza sosta non è un effetto della crisi: è il suo fondamento. Se non rimettiamo al centro il lavoro buono e di qualità sarà impossibile uscire dalla spirale negativa”. Nei rapporti con le nuove generazioni, inoltre, “c’è bisogno di un sindacato rinnovato e capace di rispondere ai loro bisogni. L’indebolimento dell’azione sindacale ha reso più debole anche l’azione redistributiva. Il terreno del confronto col governo sul Jobs Act è molto in salita: oggi la politica si accorge che c’è il referendum della Cgil, senza interrogarsi sul perché si è arrivati a quella scelta. Da parte della politica miope c’è una mancanza di analisi vera sul tema del lavoro nel nostro paese”. In questo scenario Garanzia giovani “è stata la promessa di non lasciare soli molti ragazzi, poi invece si è lasciata dietro una lunga scia di inattivi. Da qui la nostra azione deve ripartire”. Come Cgil, ha concluso, “il nostro impegno deve ora svilupparsi sul sostegno alla Carta e ai tre quesiti referendari”.