L’ultimo romanzo di Anselmo Botte, Rosso rosso (Roma, Ediesse, pp. 160, euro 10,00), chiude un ciclo aperto con le due precedenti opere: Mannaggia la miserìa e Graziemila (pubblicati sempre da Ediesse). Costituisce l’altra faccia della medaglia delle condizioni di lavoro e di vita precedentemente narrate. Se nei primi due libri Botte raccontava le giornate dei braccianti marocchini del ghetto di San Nicola Varco, punta dell’iceberg di quel nuovo proletariato rurale e globale che oggi raccoglie pomodori e angurie, mandarini e pesche, con Rosso rosso invece racconta la vita, le ansie, i sogni e il quotidiano di una delle migliaia di lavoratrici impiegate nelle aziende conserviere della Campania.

Dove finiscono le tonnellate di pomodori che ogni giorno d’estate vengono raccolte sotto il controllo dei caporali nelle lande del Tavoliere? Dove finisce il prodotto di quell’immane sfruttamento? Dove sono diretti i camion che, carichi di pomodoro, percorrono in lungo e in largo l’autostrada che taglia il Mezzogiorno da est a ovest? Nelle aziende dell’Agro nocerino-sarnese. Ancora una volta Botte decide di raccontare un vasto e sommerso mondo sociale attraverso la storia di una singola vita, quella di Lucia, pelatrice di pomodori stagionale che ha superato i quarant’anni.

Questo è il panorama sociale in cui vive e lavora: “Eravamo nel bel mezzo del caos industriale più intricato del mondo. In quel preciso istante quasi 15.000 operaie stagionali del pomodoro, come formiche, correvano verso un nuovo giorno di lavoro in molteplici fabbriche dell’Agro Nocerino-Sarnese, sotto il Vesuvio, a due passi dal Salerno. Il più grande distretto industriale della trasformazione del pomodoro dove migliaia di donne si affollavano intorno ai cancelli, portali di ferro, autotreni, macchine, ciclomotori e qualche bicicletta”.

Questo popolo di formiche, prevalentemente femminile, non è meno sfruttato di quello che si spacca la schiena nei campi. In quell’angolo di Campania densamente urbanizzato il lavoro è strozzato da mille irregolarità e mille ingiustizie. È un mondo retto dai “pommarolari”, padroncini di piccole e medie aziende il cui unico obiettivo è quello di comprimere il costo del lavoro per stare sul mercato, mantenendo una buona fetta di guadagni. È un mondo retto da caporali e caporale (al femminile), in cui il sottosalario è la regola. È un mondo che fa ricorso alla violenza e alle intimidazioni della camorra per evitare moti di ribellione. Allo stesso tempo, quello dell’Agro nocerino-sarnese è un mondo del lavoro in cui una vastissima comunità femminile ha trovato in una specifica produzione, e nella sapienza accumulata intorno a essa, il proprio orgoglio. Ed è soprattutto questo che a Botte interessa raccontare, attraverso la vita di Lucia.

Rosso rosso segue nel dettaglio, quasi in presa diretta, una giornata nella vita della sua protagonista. Dall’inizio del turno fino alla sua fine, al ritorno a casa, alla sera prima di un nuovo giorno di lavoro. Ci sono le azioni, gli incontri, il caldo e le mansioni di una giornata intera. Ma ci sono soprattutto i pensieri di Lucia sul lavoro, su un amore ormai finito per colpa di un marito poco di buono, sulla solitudine, sui mille risvolti di una vita passata tra casa e fabbrica. E soprattutto c’è quella condizione di sospensione di ogni lavoratore stagionale, l’aspirare a un posto fisso che non c’è mai, a una piena occupazione che non c’è mai, se non sotto forma di sfruttamento più o meno dissimulato, nei mesi della raccolta e dell’inscatolamento del pomodoro.

“Scossi la testa e pensai la mia vita, a come sarebbe stata molto diversa se solo avessi avuto la possibilità di un lavoro fisso”, dice a un certo punto Lucia. “Solo nel lavoro tutto si poteva placare dentro di me, ma era così breve il suo tempo. Non mi auguravo niente di meglio che lavorare, lavorare ancora, magari per dodici mesi di fila”. La dignità del lavoro, nient’altro che la dignità del lavoro, contro il quotidiano di una vita “stagionale” fatta di sistematiche decurtazioni dello stipendio: “Si iniziava la carriera di stagionali perdendo la metà della retribuzione, si finiva perdendone un terzo, qualcuno sfiorava il quarto”.

Il mondo della stagionale Lucia e il mondo degli stagionali stranieri che raccolgono il medesimo pomodoro poi trasformato nei campi di Puglia (e non solo di Puglia) sono due facce della stessa medaglia. Metterli in relazione, evitare di leggerli come mondi a sé stanti, che non comunicano tra loro, è una di quelle sfide che dovrebbe sollecitare molti. Anselmo Botte, partendo dal racconto di alcune storie “in soggettiva”, e ancorandosi alla narrativa, ha provato a farlo nei suoi libri.