Il recente accordo del 17 aprile tra Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e le organizzazioni sindacali, con l'ormai solita esclusione del Fiom Cgil, è stato pubblicizzato da alcuni dei principali quotidiani nazionali (“Corriere della Sera”, “Repubblica”) come una svolta nella contrattazione sindacale. Probabilmente questa enfasi è stata determinata dai pronunciamenti entusiastici sia dell'amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, sia dei dirigenti dei sindacati firmatari (ricordiamo che i firmatari sindacali sono Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic, Ugl metalmeccanici e Associazione quadri), alcuni dei quali hanno presentato l'accordo come un modello di relazioni industriali per le altre imprese, come una nuova fase che apre alla partecipazione dei lavoratori. Da parte sua l'azienda ha presentato la proposta contenuta nell'accordo come una nuova politica retributiva su cui intende impegnare risorse per 600 milioni nei prossimi 4 anni.

In sostanza si cerca di accreditare l'idea che si è di fronte a una svolta, al nuovo o addirittura a una "rottamazione" (“il Foglio”) dei tradizionali sistemi di relazioni sindacali dell'industria.
Come si può notare le politiche comunicative del governo Renzi generano molti proseliti, ma la proposta contenuta nell'accordo è effettivamente così innovativa? L'enfasi data corrisponde alla sostanza? Per il momento non vi sono elementi per dare una risposta affermativa a queste domande. Dalla lettura del testo dell'accordo si evince che i protagonisti dell'intesa parlano per lo più di quello che si sono detti, o forse di quello che ha detto Marchionne, piuttosto che di quello che hanno effettivamente sottoscritto. Nei fatti prevale la fiducia dei sindacati firmatari nei confronti dell'azienda, poiché il testo dell'accordo è molto sintetico e ancora poco impegnativo: risulta evidente che le quattro pagine che compongono il testo rinviano a incontri e accordi successivi per arrivare a una intesa definitiva.

L'accordo è sostanzialmente uno schema ancora grezzo di un tradizionale premio di risultato riguardante i circa 48.000 lavoratori italiani dipendenti di Fca, che avrà una vigenza contrattuale di quattro anni (2015-2018). Un primo problema, che è evidenziato anche dagli stessi protagonisti sindacali, riguarda l'esclusione nell'accordo delle altre società del gruppo, anche se alcuni dirigenti sindacali hanno affermato che l'azienda ha dato degli affidamenti verbali per trovare soluzioni anche per queste società. Lo schema di premio di risultato proposto è un classico sistema di retribuzione variabile simile a molti altri contrattati in altre aziende. Il testo si limita a prevedere i due parametri cui sono legate delle specifiche retribuzioni crescenti. Il primo è un parametro di efficienza da rilevare a livello di stabilimento che dà diritto a un bonus nella misura indicata dalla tabella che segue.



Probabilmente è per questo che l'azienda ha avanzato questa proposta retributiva limitatamente a Fca, proposta che è stata accompagnata dalla conferma del piano di investimento di 15 miliardi: l'azienda si attende un periodo di espansione nel mercato dell'auto europeo, che in questi ultimi anni di crisi si era contratto. Dalle dichiarazioni aziendali si comprende che gli istituti retributivi indicati nell'accordo dovrebbero fornire "l'olio" alla macchina produttiva aziendale per arrivare alla piena saturazione degli impianti e alla realizzazione degli obiettivi del piano industriale quadriennale.

Un secondo problema riguarda il rapporto tra i diversi livelli contrattuali. Com'è noto il gruppo ex Fiat è uscito dal sistema contrattuale stabilito tra sindacati e Confindustria, ha denunciato tutti i contratti sindacali precedenti e ha sottoscritto con gli stessi sindacati firmatari dell'attuale accordo un contratto di lavoro di primo livello e un contratto di secondo livello. Non è chiaro come questo accordo inciderà sui due livelli contrattuali, se questi due livelli avranno ancora un significato stante il fatto che si tratta sempre di accordi aziendali. Soprattutto non è ancora chiaro quale rapporto quantitativo ci sarà tra la retribuzione stabile e quella variabile, anche se sembra che il tema sia stato posto nella trattativa, almeno nel senso di consolidare in paga base parte dei futuri bonus. Alcune dichiarazioni stampa (il segretario della Fim Cisl, Marco Bentivogli su “Avvenire” del 17-4) farebbero intendere una crescita della retribuzione variabile in rapporto a quella stabile, crescita che avverrebbe attraverso un maggiore peso degli istituti retributivi collegati alla produttività e agli utili aziendali.

Si tratterebbe, però, di un'impostazione densa di incognite e molto problematica stante la storia della Fiat. Nei fatti, l'incidenza della retribuzione variabile in Fiat è sempre stata molto limitata già nel primo premio variabile stabilito con un accordo unitario nel 1989, il cosiddetto Premio di performances di gruppo (Ppg), che era un premio formalmente totalmente variabile, collegato a una serie di parametri di produttività e di bilancio del gruppo Fiat. I parametri erano assolutamente incontrollabili dalle organizzazioni sindacali, però il premio era assolutamente rigido nella sua evoluzione annua per due motivi: il primo era dovuto al fatto che il premio prevedeva un anticipo mensile sul risultato finale, anticipo che era particolarmente sostanzioso pari a circa il 65% del premio complessivo.

Questo è un espediente ancora utilizzato in molte aziende nella contrattazione del premio di risultato: formalmente il premio è definito come totalmente variabile in rapporto ai parametri individuati, consentendo anche gli sgravi contributivi previsti dalla legge; nei fatti la parte del premio già anticipata al lavoratore difficilmente gli può essere trattenuta anche a fronte un andamento negativo dei parametri concordati, quindi l'anticipo diventa, a fortiori, una parte di retribuzione stabile. Lo stesso schema fu ripetuto con la rivalutazione del premio nel successivo accordo del 1996. Il secondo motivo riguardava l'atteggiamento dell'azienda che evitava di esercitare eccessive variazioni sul premio, come dimostrano le relative erogazioni negli anni di grave crisi aziendale (ad esempio il 1993 e il 2003), dove si verificarono forti contrazioni produttive e robuste dosi di cassa integrazione e licenziamenti. Nonostante questo la perdita per i lavoratori sul premio complessivo furono molto contenute e il premio non fu mai azzerato, anche quando, nel 2003, la Fiat fosse virtualmente fallita, riportando risultati economici e produttivi rovinosi. Lo stesso accordo unitario del 2006 stabilì circa 1.000 euro in anticipi mensili, assolutamente stabili, più un saldo annuo di circa 900 euro moderatamente variabile in funzione di parametri di produttività e redditività.

In conclusione la storia delle politiche retributive aziendali dimostra molta prudenza nelle forme di retribuzione variabile, a cui è corrisposta una certa stabilità nelle retribuzioni. Si può affermare che la parte effettivamente variabile del premio è stata mediamente inferiore al 5% della retribuzione totale. Probabilmente queste scelte sono state dettate sia da ragioni di consenso, per conquistarsi un rapporto diretto con i lavoratori, sia per evitare di concedere al sindacato spazi di controllo-contrattazione sull'organizzazione produttiva, spazi che diventerebbero sempre più legittimi a fronte una maggior corresponsabilizzazione dei lavoratori sul versante del rischio d'impresa, che è connaturato a un'elevata variabilità della retribuzione. Questa pratica contrattuale ha consolidato una tradizione e una cultura aziendale strettamente connessi a un particolare sistema sociale: si può ipotizzare che l'azienda non ha particolari interessi a uscire dalla tradizionale politica retributiva. In ogni caso sarà necessario attendere gli sviluppi futuri per comprendere il senso che assumerà la contrattazione in corso.

Del resto sono i problemi irrisolti sul versante del sistema sociale aziendale a indicare un comportamento tradizionale nelle scelte aziendali. In modo particolare l'irrisolto il problema delle relazioni sindacali. Da una parte la sistematica esclusione della Fiom Cgil dal tavolo della trattativa pone sempre un dubbio sulla legittimità dei contratti sottoscritti, proprio perché la Fiom rappresenta una parte dei lavoratori. La richiesta di Sergio Marchionne di una nuova legge sulla rappresentanza-rappresentatività dei sindacati, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, non solleva l'azienda dal problema di dare un sistema di relazioni sindacali più rappresentativo dell'insieme dei lavoratori, considerando anche che una norma legislativa in merito non ha tempi certi.

Dall'altra lo stesso sistema di relazioni sindacali disegnato negli accordi aziendali non offre per il momento molti spazi anche ai sindacati che continuano a insistere di più sul tema della partecipazione nei luoghi di lavoro. In effetti, questo recente accordo con la creazione di istituti retributivi collegati alla produttività e al Wcm potrebbe offrire un ruolo concreto di intervento ai rappresentanti sindacali dei lavoratori. In particolare il Wcm è un metodo organizzativo che richiede un forte apporto di intelligenza e responsabilità da parte dei singoli lavoratori; perciò sarebbe un terreno importante di confronto sindacale sul modo di organizzare al meglio il lavoro, proprio perché come tutti i metodi organizzativi comporta moltissimi problemi tecnici e di relazioni tra le persone. Tuttavia l'accordo non stabilisce niente al proposito e rimane sempre il dubbio sulla disponibilità aziendale a superare la logica del rapporto diretto con i lavoratori e accettare regole contrattuali che stabiliscano un ruolo dei rappresentanti sindacali dei lavoratori nell'organizzare il lavoro.