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In attesa di conoscere il destino della Grecia e quello nostro, di europei (e di italiani), soffermiamoci sul tema democrazia. Dentro e intorno alla questione greca si è fatto un gran parlare di democrazia. È uno strumento di democrazia il referendum indetto da Alexis Tsipras o si tratta di un plebiscito? E se gli strumenti della democrazia (diretta in questo caso) li attivassero i paesi creditori? Non è neppure una questione nuova. La Francia e l’Olanda, quando si è trattato di decidere sul trattato costituzionale dell’Unione europea, approvato nel 2003 dalla Conferenza intergovernativa, si sono ben guardate dal ratificarlo in Parlamento, lo hanno sottoposto a referendum popolare, con l’esito che sappiamo. Ma quale voto dovremmo dare all’Ue, quanto a democrazia?
I finanziamenti concessi alla Grecia sono stati sopportati per più di due terzi dai paesi europei, per meno di un terzo dal Fmi. Si è trattato di prestiti bilaterali, di quote nei fondi salva Stati (Efsf-Esm), di quote nel capitale della Bce. Il ruolo fondamentale è stato svolto dalla cosiddetta Troika, composta da un rappresentante per ciascun ente creditore: il Fmi, la Bce e la Commissione. Il Fmi è un soggetto istituzionale anomalo che non è né un organo dell’Unione, né un organo internazionale, e opera come una banca. La Bce è la banca europea. Ma l’interesse dei creditori, per quanto importante, non è l’unico interesse in gioco. Vi sono anche altri interessi in gioco, e quello dei creditori può essere salvaguardato con modalità diverse, in relazione alla tutela degli altri interessi, quelli dell’eurozona e dell’Unione intera, e quelli di carattere geopolitico.
Ci è stato detto e ripetuto – nella stampa – che il problema economico, per la sua modestissima incidenza nei conti dell’Unione (il 3 per cento), non è il problema principale. Ben più gravi i messaggi politici di provvisorietà e non definitività dell’euro, di rischio sfaldamento dell’intera Unione, anche a causa dei movimenti politici interni ai singoli Stati, di sottovalutazione delle conseguenze geopolitiche. Ben più grave costringere la Grecia a cercare altri padrini e altre alleanze. Questi problemi, quelli più seri, problemi nostri come Unione europea, da chi sono stati discussi e valutati? Si è molto discusso, per lo più informalmente, delle condizioni da imporre alla Grecia, non sempre avendo chiara l’idea che l’obiettivo principale in questi casi è tenere in vita il debitore. Ma sulle sedi e sulle procedure da utilizzare?
L’Unione europea ha due organismi pienamente politici: il Parlamento europeo e il Consiglio (dei ministri). Il Parlamento è come sappiamo l’organo che condivide con il Consiglio il potere legislativo ed è eletto direttamente. Fin dall’inizio (2010), le decisioni sono state prese tra il Fmi e i capi di Stato e di governo dei paesi dell’Unione, o da alcuni di essi, per lo più informalmente, non da un organismo rappresentativo dell’Unione europea. Il Consiglio, che a differenza del Consiglio europeo, costituito dall’insieme dei capi di Stato e di Governo, decide con regole precise, è stato totalmente emarginato. Il Parlamento europeo non si è espresso. La stessa Commissione, che ha il compito di promuovere l’interesse generale dell’Unione e adottare le iniziative appropriate a tal fine, non ha manifestato una posizione che identifichi il nostro interesse come Unione nella crisi greca; che non è certo un fatto improvvisamente sopravvenuto.
In una parola, l’Unione europea, attraverso i suoi organi a questo deputati, non ha definito i propri interessi e le modalità per proteggerli, con le relative priorità. Questa è manifestazione palese della debolezza europea e delle sua attuale organizzazione, del basso tasso di democrazia, se anche quella che c’è non è utilizzata. Le scelte e indicazioni politiche che Draghi dice di attendere ed eseguire (non volendo e non potendo svolgere un ruolo di supplenza politica) da chi verranno? Dalla Troika? Ammesso che questa fase sia ora in via di superamento e si passi ad altro, ci dimenticheremo bellamente del problema perché i tempi non sono maturi? Pare di sì.
Una via di uscita, difficile e stretta, ci sarebbe: la Grecia potrà uscire dalla sua situazione soltanto se corregge seriamente il suo comportamento, come Stato e come amministrazione. Così l’Unione europea potrà dire di aver fatto bene a mantenerla nell’Unione e nell’euro, e riuscirà forse a rafforzare in senso politico e di legittimità democratica la propria struttura. Due piccioni con una fava. Ma così difficili da prendere, questi piccioni.