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I numeri non lasciano dubbi, le costruzioni in Italia stanno vivendo il peggiore degli incubi: dal 2008 sono stati persi 529mila posti di lavoro, 800mila considerando anche indotto e settori collegati. 85mila imprese hanno chiuso i battenti, il numero medio di addetti è passato da 3,2 del 2008 a 2,6 del 2013. E ancora: si è triplicato il numero di ore di cig, il lavoro irregolare è cresciuto di almeno il 15%, gli investimenti si sono ridotti di quasi il 35%, mentre il mercato delle opere pubbliche del 43%. Sono le cifre contenute nel Report 2015 sul settore del Centro studi della Fillea Cgil che il sindacato ha presentato oggi, 24 settembre, a Milano.
Eppure, nonostante tutto, secondo la Fillea qualcosa si muove. Nei primi mesi del 2015 si cominciano ad intravvedere piccoli segnali di ripresa. “La lunga fase di crisi - si legge nell'introduzione al rapporto - sembra aver finito il suo ciclo”, “seppure la ripresa appaia ancora incerta, e soprattutto, molto timida”. Per uscire dal tunnel, quindi, c'è urgente bisogno di scelte decise da parte del governo e del sistema delle imprese, che deve rinovarsi superando i propri limiti strutturali.
Segnali di vita.
Dopo alcuni anni terribili, dunque, i numeri dei primi mesi del 2015 fanno sperare. Secondo il rapporto, dopo 19 trimestri consecutivi di calo, le costruzioni registrano una crescita del numero degli occupati (+2,3%) e delle imprese (+0,2%). Crescono anche gli operai iscritti nelle Casse Edili (+ 5,8%), mentre si riduce la forbice tra lavoratori dipendenti ed indipendenti. Ma a questi dati positivi fanno eco, confermando la debolezza della ripresa, quelli ancora negativi, come il numeri dei bandi di gara che - dopo il boom del 2014 - subiscono un forte ridimensionamento nel 2015, e l’indice della produzione, che da gennaio 2015 è in continuo calo.
Un mercato che cambia
I ricercatori della Fillea, però, sottolineano che in questi anni il mercato è profondamente cambiato, ed è cambiato il sistema delle imprese. Le grandi imprese sono ormai del tutto orientate verso il mercato estero, spinte dalla riduzione degli investimenti nazionali in grandi opere pubbliche. Le imprese sono sempre più piccole e frammentate. Per il 99,8% sono micro (96%) e piccole imprese. Di fatto, in questi anni è sparita la media impresa generalista, capace di operare in tutte le fasi del processo edilizio. Il mercato è crollato in tutti i comparti, ad eccezione del rinnovo edilizio (manutenzione straordinaria, sostenuta dagli incentivi), che ha dato ossigeno soprattutto alla micro e piccola impresa. L’attività edilizia si va concentrando sul rinnovo edilizio ed urbano, la realizzazione di poche grandi infrastrutture strategiche e la manutenzione di quelle esistenti. Nel frattempo, crescono nuovi mercati ad alto contenuto tecnologico: la riqualificazione energetica, l’infrastrutturazione digitale, e alcune opere idrauliche.
Fuori dal tunnel
L’industria delle costruzioni, secondo la Fillea, può quindi cogliere le nuove opportunità puntando "ad una crescita industrializzata e di qualità, che porta con sé lavoro più stabile, regolare e qualificato". Il mercato del rinnovo edilizio è attualmente costituito da piccoli lavori, svolti prevalentemente su piccolissima scala, quella del singolo alloggio. Sono le piccole e micro imprese, i lavoratori autonomi, i soggetti che realizzano queste opere per conto, principalmente, delle famiglie. "In questo contesto, il lavoro è caratterizzato da un’elevata elusione nell’applicazione del contratto nazionale dell’edilizia, da un alto tasso di irregolarità, dal mancato riconoscimento ufficiale delle professionalità acquisite dai lavoratori". Eppure, a detta del sindacato “le potenzialità di sviluppo del mercato del rinnovo edilizio ed urbano sono enormi”. In questo è indispensabile “un passaggio di scala, dal singolo alloggio all’edificio ed alla città”. Le politiche industriali devono quindi essere indirizzate alla crescita del mercato della riqualificazione edilizia ed urbana su vasta scala, “sia dal lato della domanda (incentivi, ma anche altri strumenti finanziari e programmi urbani), che dell’offerta (sostegno all’aggregazione imprenditoriale e alla crescita dimensionale delle imprese, legata a specifici mercati, qualificazione della richiesta nei lavori pubblici)”.
Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, per le nuove infrastrutture le risorse disponibili nel 2015 sono inferiori a quelle dell’anno precedente (-8,5%), ma l’aspetto ancor più grave è che quelle risorse stentato a trasformarsi in lavori effettivi. Le opere previste sono 25, con un fabbisogno finanziario di 3,5 mld ed un costo stimato di circa71 mld. La domanda che si pone il sindacato è sempre la stessa: quelle risorse, quando si tradurranno in cantieri aperti? La stessa domanda può essere fatta per quanto rigaurda le piccole opere (500 mln per interventi su dissesto, edilizia scolastica etc...). L'attuale ritardo nella disponibilità delle risorse statali frena la realizzazione dei programmi.
Le proposte della Fillea
E allora, che fare per ridare fiato e futuro al settore? Secondo la Fillea Cgil, c'è una sola strada possibile: “Liberare risorse pubbliche per rilanciare gli investimenti, rafforzare il sistema delle regole sulla qualità dell’impresa e del lavoro, spingere sull’innovazione di sistema e di prodotto come via maestra per una rivoluzione sostenibile del modello di sviluppo.”
Lo ha spiegato Walter Schiavella, segretario generale della Fillea, durante la presentazione a Milano: “Per far questo occorrono innanzitutto investimenti, e nelle varie manovre finanziarie degli ultimi anni continuano ad esserci molti annunci e poche risorse, spesso neanche tradotte in cantieri. Ripartire dalle costruzioni, rappresenta la concreta possibilità di ripresa del paese e volano per la ripresa di tutta la nostra economia.” Ma rilanciare il settore “non vuole dire aggirare le norme nascondendosi dietro al bisogno di semplificazione, non vuole dire non rinnovare i contratti di lavoro né abbassare i salari oppure ricorrere alla filiera del subappalto per sfuggire ai controlli.”
Per questo, ha aggiunto Dario Boni, segretario nazionale del sindacato edili della Cgil “occorre parlarci chiaro anche con il mondo delle imprese, che deve fare una analisi seria delle proprie contraddizioni e lacune. Penso all’incapacità del sistema impresa di riconvertirsi ed essere più competitivo - non sulla riduzione dei costi ma sull’innovazione - penso ad una filosofia d’impresa che rimane ancora troppo legata al costruire nuovo, al cementificare. Penso dunque a quel Manifesto degli Stati Generali, che indicava una strada precisa, quella della riconversione sostenibile del sistema delle imprese e del modello produttivo, basato sulla qualità a tutto tondo, dell’impresa, del lavoro, del processo e del prodotto.”
“La strada per uscire dalla crisi è ancora lunga - ha concluso Schiavella -. E per tornare ai livelli pre-crisi ci vorranno almeno sessant’anni. Vista la debolezza di quei segnali, credo che questa sia una fase di passaggio delicatissima, in cui la capacità di ripresa del settore dipende da cosa il governo sarà capace di mettere in campo per favorirla e da quanto il sistema delle imprese sarà capace di superare i propri limiti strutturali di arretratezza, frammentazione e scarsa capacità innovativa.”