LECCE - “Per le pensioni ci vogliono le risorse. Se il governo continua a dire che non ci sarà nulla, noi siamo pronti alla mobilitazione”. A rilanciare, durante un dibattito alle Giornate del lavoro della Cgil in corso a Lecce, è il segretario confederale Roberto Ghiselli, uno dei protagonisti del confronto tra governo e sindacati sulla delicata partita previdenziale. “Noi vogliamo continuare il confronto, ma questo non basta se i tavoli non producono risultati: finora nella ‘fase 2’ ci sono stati timidi passi in avanti del tutto irrilevanti”.

“Abbiamo già invitato tutte le strutture a fare assemblee – precisa Ghiselli – e a parlare con la cittadinanza, un impegno preso anche con Cisl e Uil. Se entro i primi giorni di ottobre non avremo risposte sufficienti, è evidente che dovremo pensare a una mobilitazione diretta usando tutti gli strumenti di cui possiamo disporre. Sulle pensioni abbiamo ancora una ferita aperta, non possiamo permetterci di dare l’idea che abbiamo fatto finta. Come sempre, siamo un sindacato responsabile, però su alcuni temi pretendiamo risposte chiare”.

Se la prima fase del confronto ha dato qualche risultato (vedi Ape sociale e lavoratori precoci), in questo periodo si discute di altri argomenti sui quali i sindacati non sono disposti a compromessi: speranza di vita, prospettiva per i giovani, lavoro di cura e donne, flessibilità in uscita, tutela del potere d’acquisto delle pensioni in essere. “La nostra piattaforma immagina un modello radicalmente diverso dalla riforma Fornero che, lo ricordo, fu una manovra finanziaria per fare cassa. Le cifre sono note, circa 80 miliardi nel periodo 2012-2020. Perciò siamo convinti che non sia sufficiente apportare qualche modifica. Con responsabilità ed equilibrio affrontiamo la 'fase 2' ma i tempi sono ormai strettissimi, siamo nell’ordine di qualche settimana”.

Che sia necessario rimettere mano alla riforma lo sostiene anche Angelo Pandolfo, docente di diritto del lavoro all’Università di Roma La Sapienza, intervenuto al dibattito: “La mia opinione è che questo sistema, venuto fuori in uno stato di necessità o presunta tale, richieda aggiustamenti importanti in particolare sugli ammortizzatori sociali, perché i problemi sono evidenti. In un quadro di tutela sociale servono misure compensative per chi perde il lavoro. La riforma del ‘95 con il contributivo aveva il grande vantaggio della flessibilità dai 57 ai 65 anni. Ma gli ultimi cambiamenti sono stati fortissimi, oggi siamo arrivati a 66 anni, quasi 67, fino a 70, e con le aspettative di vita si andrà anche oltre”.

Uno dei punti su cui più insiste la Cgil è l’adeguamento automatico per tutti che scatterà dal 2019. “C’è l’esigenza di valutare ciascuna vita lavorativa – precisa il segretario confederale –. Solleciteremo il governo a mettere in piedi approfondimento per misurare il fatto che non tutti hanno la stessa speranza di vita. Fissare limiti uguali per tutti, cosa peraltro decisa prima della riforma Fornero, è iniquo. Sono dinamiche che vanno riviste tenendo conto non solo dell’aspetto finanziario, ma anche di quello sociale”.

Anche per le prospettive dei giovani, al momento, la Cgil non è d’accordo con l’esecutivo: “Siamo contrari alla pensione minima garantita perché anch'essa è iniqua, dà il messaggio che la carriera non dà alcun esito e alimenta il lavoro nero. E comunque stiamo parlando di 600 euro, una miseria. Noi chiediamo un sistema che incentivi a restare nel sistema pubblico e di evitare l'uso dei fondi complementari al posto degli ammortizzatori sociali. Anche perché – conclude – chi ha carriere fragili certamente non può permettersi una pensione complementare”.

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