Ad oltre cinque anni dal primo esposto in Procura, presentato dalla Cgil, parte civile, in cui si denunciava quello che stava avvenendo - nel silenzio più generale -, nei cantieri per la costruzione  della terza corsia dell'autostrada A14, a Fano, nei giorni scorsi, è stata depositata la sentenza d'appello. In primo grado, i due imputati erano stati condannati entrambi a due anni e sei mesi. Il pubblico ministero aveva chiesto, in appello, tre anni per l'uno e quattro per l'altro imputato. Il giudice d'appello, rilevando tutte le aggravanti previste dal Codice penale, nei comportamenti dei due imputati, ha ora addirittura comminato una pena detentiva, per entrambi, di cinque anni e sei mesi, confermando sia le multe che le pene accessorie.

Allo stesso modo, il tribunale ha confermato il risarcimento danni, pari a mille euro, alla Cgil di Pesaro, che si era costituita in giudizio come parte civile, in virtù dei propri principi statutari. La condotta degli imputati, infatti, come riportato in sentenza e dalla giurisprudenza in merito: ‘È idonea a provocare un danno, sia alla persona offesa che al sindacato, per la concomitante incidenza sulla dignità lavorativa e sulla serenità del lavoratore che ne è vittima e, inoltre, perché tale condotta è in contrasto con il fine perseguito dal sindacato, costituito dalla tutela della condizione lavorativa e di vita degli iscritti sui luoghi di lavoro’.

"Doneremo i mille euro di risarcimento alla Fattoria della legalità di Isola del Piano – afferma Simona Ricci, segretaria della Cgil di Pesaro Urbino –. Valga per tutti noi, e in particolare per le imprese e le istituzioni locali, la riflessione che questa vicenda, con il suo esito, ci consegna: i due caporali agivano, pressoché indisturbati, estorcendo denaro ai lavoratori e minacciandoli, nella prima grande opera pubblica, dopo decenni, realizzata nel nostro territorio. Appalti pubblici, perché di questo parliamo, che finivano nelle mani di delinquenti che, come di nuovo si può leggere in sentenza: ‘ reclutavano persone del luogo bisognose di lavorare, facendo promesse, poi non mantenute, pur di allettarle, e provvedendo agli spostamenti. Iniziata l'attività, i malcapitati scoprivano le reali intenzioni, soggiacendo, pur di lavorare, alla riduzione della paga oraria e consentendo ai due 'effettivi' datori di lavoro d'incamerare buona parte di quanto liquidato formalmente con la busta paga dalla ditta che compariva fittiziamente, ossia Pentapoli’.

La denuncia di Cgil e Fillea ha fatto emergere “il potere esistente in capo ai due ‘subappaltatori di fatto’, che facevano stipulare alla dirigenza ‘compiacente’ di Pentapoli dei contratti ‘mensili’, proprio per avere il controllo della situazione. Una sentenza, questa, che andrebbe letta integralmente come monito, per chi organizza gare d'appalto, per chi dovrebbe controllarle, per chi le vince, per chi subappalta, per chi pensa che il sindacato sia un ferro vecchio, per chi ritiene che questo territorio sia un'isola felice”.