L’ Unhcr stima nel mondo 65 milioni e mezzo di persone ‘forzate’ a lasciare il luogo di residenza. Di queste, 22 milioni e mezzo sono rifugiati, il dato più alto della storia dell’umanità. Chi pensa che siano venuti tutti in Europa, si sbaglia di grosso. I primi paesi ospitanti sono Turchia (2,9 milioni di persone), Pakistan (1,4), Libano (1 milione) e via di seguito Iran, Uganda e Etiopia. Ecco i dati veri del fenomeno migratorio. Cifre di fronte alle quali si continuano ad agitare – soprattutto in Italia – i fantasmi dell’invasione. “Ma se la politica si basa sulla paura, allora la discriminazione diventa lo strumento dei forti contro i deboli. Cosa fare? Innanzitutto cancellare subito la legge Bossi-Fini e l’idea folle secondo cui i diritti debbano essere legati a un contratto di soggiorno temporaneo”.

A rilanciare questa battaglia è Serena Sorrentino, segretaria generale Fp Cgil, durante le Giornate nazionali dei servizi pubblici in corso a Palermo. “Si tratta di fare scelte politiche precise, sulla Bossi-Fini come sul diritto all’istruzione e all’accesso al sistema sanitario universale”. In poche parole, di “ricostruire l’idea di cittadinanza tramite il lavoro come strumento principale di libertà. Non può e non deve esistere alcuna discriminazione basata sulla cittadinanza. I lavoratori dei servizi pubblici lo sanno bene, sono loro a garanzia dei diritti universali”.

Per questi motivi la categoria dei pubblici ha voluto dedicare ampio spazio al tema dei migranti durante la kermesse palermitana. “Un sindacato come il nostro – sottolinea ancora Sorrentino –, prima ancora di affrontare la condizione di chi opera nel sistema dell’accoglienza, ha il dovere di essere una voce che indica alla politica la direzione di marcia e di chiedere a gran voce che la paura non sia usata come argomento che porta solo ulteriori discriminazioni. I lavoratori della salute, soccorso, dell’istruzione, non guardano di che colore è la pelle delle persone che hanno di fronte, ma allo stesso tempo si scontrano con l’assenza di un progetto politico, con l’idea sbagliata di una cittadinanza a geometrie variabili”.

Se questo è il discorso di fondo, oggi il tema caldo è la gestione della crisi libica, come hanno ricordato gli altri partecipanti al dibattito moderato da Massimo Franchi del Manifesto. “Quando la Libia doveva essere aiutata nel post-Gheddafi – osserva il portavoce di Emergency Agostino Miozzo –, l’Europa l’ha abbandonata per concentrarsi sulla Siria e noi abbiamo dovuto chiudere il nostro ospedale per ragioni di sicurezza. La migrazione dev’essere affrontata dalla politica che risolve i problemi; quanto è avvenuto Somalia, anch’essa abbandonata trent’anni fa, sta là a dimostrarlo: una terapia blanda rischia di essere peggiore della malattia”.

Se ne parlerà anche al G7 di Roma della settimana prossima, anticipa il sottosegretario al ministero degli Esteri Vincenzo Amendola: “Il mondo è in movimento, quello dei migranti non è solo un problema bilaterale tra Italia e Libia. Nei prossimi vent’anni l’Africa raddoppierà la popolazione, la sola Nigeria avrà più abitanti dell’Unione europea. Ma togliamo di mezzo i temi dell’emergenza e dell’invasione, basta con le forze politiche che utilizzano la paura per fare campagna elettorale. Sin dalla grande tragedia del 2013 a Lampedusa abbiamo polemizzato con l’Europa: la gestione dei flussi o un semplice accordo con la Turchia non sono sufficienti, occorrono molte altre leve”.

Una delle priorità, secondo molti, è l’approvazione dello Ius soli. “I tempi per farlo prima della legge di bilancio ci sono, è un grande obiettivo e si può raggiungere. Sarebbe un bel segnale di pacificazione nel clima di odio, violenza e intolleranza che si respira nel paese”. Così Giusi Nicolini, ex sindaco di Lampedusa e premio per la pace di Unesco. “La criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie – osserva – mi ha profondamente messo a disagio. E poi c’è il problema della percezione. Uno studio dell’Unhcr ha fatto notare che gli italiani pensano che nel nostro paese ci siano 20 milioni di rifugiati, quando in tutta Europa sono circa 1 milione. Questa enorme distanza tra la realtà e l’immaginazione è una ferita. Sicuramente il ruolo dei partiti e di tutti gli attori sociali è fondamentale per contrastare queste percezioni sbagliate”.

“La corretta informazione e diffusione dei dati possono aiutare ad avere un approccio corretto” anche secondo Rosa Pavanelli, segretaria generale della federazione sindacale globale Public services international (Psi). “Stiamo creando una generazione di persone escluse. C’è da chiedersi se la ricca Europa non possa essere più inclusiva”. L’altro aspetto è il grande business intorno a questi temi: “Non mi piace chiamarlo così – precisa –, ma il fattore economico è fortissimo: si stimano in 601 miliardi le rimesse inviate nel 2015 dai migranti ai loro paesi, una cifra molto più alta di quella investita dai progetti di cooperazione. E intanto crescono le multinazionali di dubbio rispetto dei diritti umani. Un esempio? Nel 2014 il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un emendamento che autorizza una di queste multinazionali a garantire 34 mila posti nelle carceri per gestire gli affari. Decisioni del genere – conclude – non possono passare inosservate”.

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