La Tassa sulle transazioni finanziarie, che sarebbe più corretto chiamare Ttf, ma che tutti chiamano Tobin Tax, sta per diventare realtà. Diciamo "sta per" perché per diventare effettivamente operativa bisogna attendere che la Commissione europea la approvi formalmente e che definisca le modalità concrete di attuazione. Ciò richiede due ulteriori passaggi: la presentazione del “progetto di cooperazione rafforzata” degli 11 paesi oggi aderenti, che dovrebbe avvenire con la prossima riunione del 13 novembre, e la successiva approvazione del Consiglio europeo, che richiede la maggioranza qualificata.

Non è dunque ancora giunto il momento di cantare vittoria, ma se pensiamo a quanto c’è voluto perché l’idea di tassare le transazioni finanziarie prendesse corpo e prevalesse sui potentati economici e politici che l’hanno sempre ostacolata, il fatto che siamo a questo punto è sicuramente un avvenimento di grandissimo rilievo. Lo è perché sarà difficile per i paesi che si sono espressi favorevolmente tornare indietro sui propri passi, ma soprattutto perché con la decisione di procedere da parte di un gruppo di paesi è stata sconfitta l’argomentazione più forte finora usata per non decidere. Si è infatti sempre sostenuto, e da più parti, che per evitare che i capitali si spostassero verso i paesi che non la applicano, la Tassazione sulle transazioni finanziarie poteva essere fatta solo a condizione che vi aderissero tutti i paesi del mondo, quindi mai.

Adesso un gruppo di paesi consistente, non tanto numericamente, ma per il Pil che insieme producono, ha deciso di partire e con un meccanismo, la cooperazione rafforzata, che prevede che altri paesi possano gradualmente aggregarsi e aggiungersi a questo primo nucleo. Si tratta in fondo dello stesso meccanismo adottato per altre grandi e importanti scelte fatte in passato e che prevedevano l’allargamento progressivo, come quella di dare vita all’Euro, di creare il Wto o di aderire al protocollo di Kyoto.

Ora l’attenzione dovrà essere concentrata sui prossimi passaggi e sulle modalità specifiche di attuazione che dovranno essere definite e precisate. Perché è chiaro che, essendo la prima volta che si procede a tassare operazioni finanziarie tanto complesse quanto volatili e soprattutto anto rilevanti, le modalità di applicazione dovranno essere ben ponderate e tecnicamente perfette. Anche perché, poiché gli interessi che saranno toccati sono enormi c’è da attendersi che ci saranno azioni e contromosse volte a far saltare tutto o, comunque, a far fallire o vanificare l’operazione: gli interessi in campo sono troppo potenti perché tutto possa filare liscio.

Per questo, oltre alla legittima soddisfazione per i passi avanti fatti, sarà bene restare con gli occhi aperti e vigilare perché tutto proceda nella giusta direzione. Lo sforzo che faremo nel corso di questo articolo di ricordare non solo le difficoltà incontrate e le posizioni degli avversari interessati, ma anche le voci critiche di economisti rigorosi e di orientamento progressista, serve appunto a questo. Nei due box che corredano queste pagine sono riepilogati sia la storia della Tobin Tax che i numeri che caratterizzano dimensioni e dinamiche della finanza di oggi. Emerge dal primo di essi il percorso a ostacoli che l’idea della tassazione delle transazioni finanziarie ha dovuto affrontare.

La cornice che fa da sfondo si può sintetizzare così: dopo la grande crisi del 1929, per impedire che i risparmi dei cittadini fossero usati per speculare e messi a rischio, fu introdotta la distinzione tra banche commerciali e banche d’affari; il sistema finanziario non digerì quella scelta e ha condotto una lotta senza sosta per abbattere ogni vincolo che potesse limitare le operazioni di pura finanza; purtroppo vi è riuscito pienamente sull’onda del liberismo e della globalizzazione e ha ottenuto la totale libertà di circolazione dei capitali e la totale assenza di regolamentazioni, che hanno permesso il boom dell’attività speculativa elle banche e la produzione di strumenti finanziari sempre più complessi e sempre più rischiosi. I risultati di questa vittoria sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Ma partiamo da una prima domanda: riuscirà la legge che sarà varata a “tagliare le unghie” alla finanza come sognavano i primi movimenti? Oppure la cooperazione rafforzata, ma limitata a 11 paesi, senza la City di Londra, non rischia di generare una brutta copia della Tobin Tax o addirittura di svilirla a una sorta di marca da bollo di borsa che peraltro in qualche paese – Gran Bretagna e Francia – già esiste? La critica principale avanzata da coloro che sono contrari all’introduzione oggi della Ttf riguarda il rischio “delocalizzazione”, il rischio cioè che i capitali si spostino nelle aree in cui non esiste questa tassa e che così la speculazione con i suoi movimenti venga alimentata invece che scoraggiata.

Questa preoccupazione è stata ribadita per l’assenza
di paesi europei importanti come la Gran Bretagna e non è da escludere che quest’ultimo paese speri di lucrare anche dal fatto che si trova a ridosso del continente europeo: potrà sembrare paradossale nell’era informatica, ma nella trasmissione elettronica dei dati e delle operazioni che avvengono in termini di millesimi di secondo le distanze fisiche ancora contano. Ma altre riserve e critiche sono avanzate da più parti. Pochi mesi fa sul sito lavoce.info è stato pubblicato un articolo dal titolo eloquente: “Ecco perché la Tobin Tax è una pessima idea”, nel quale si afferma che imporre la tassa unilateralmente senza un reale accordo internazionale rischia di aumentare le criticità di un sistema finanziario già molto volatile.

A sostegno di questa tesi, viene ricordata la negativa esperienza della Svezia, ma in quel caso è chiaro a tutti che i capitali scappavano perché si trattò di una scelta isolata. Su questi pericoli di fuga, il fatto che gli 11 paesi rappresentino all’incirca l’80 per cento del Pil europeo e che la legge cui si pensa tasserebbe qualunque transazione riguardante almeno un’istituzione finanziaria di un paese membro anche se effettuata fuori dall’Ue (la tassazione è basata quindi sul paese di residenza dei contraenti ), dovrebbero ridurre di molto i rischi. Un’altra osservazione rilevante è quella che le operazioni finanziarie avvengono con una velocità mostruosa di 10-15 microsecondi.

Oggi a operare non sono più esseri umani, ma algoritmi che girano a velocità supersoniche, per 24 ore su 24, e che realizzano utili giocando su variazioni infinitesimali, facendo un numero di operazioni straordinarie (alcuni titoli vengono trattati fino a 80 volte in un solo giorno), tanto che si parla giustamente di una “finanza compulsiva” e di investimenti “mordi e fuggi”. Proprio in ragione di tale analisi, si impone una legislazione che freni la compulsività, che ha carattere esclusivamente speculativo, e la risposta a questi problemi dovrà venire dalle modalità tecniche di attuazione, che dovranno prevedere meccanismi automatici che facciano scattare la tassazione nel momento della transazione.

Per quanto si prevede, a oggi, dovrebbe essere tassata ogni transazione effettuata tra istituzioni finanziarie, come banche, assicurazioni, Borse, società di investimento, hedge fund (letteralmente fondi di copertura, in realtà fondi speculativi) comuni, con un tasso dello 0,01 per cento sugli scambi di azioni e obbligazioni (ma adesso sta emergendo l’orientamento di escludere le obbligazioni di Stato) e dello 0,01 sulle operazioni su derivati. La minore aliquota per i derivati viene spiegata con il fatto che l’ammontare degli scambi di derivati è enormemente superiore a quello delle obbligazioni, tanto che si stima che nel 2008 l’ammontare nominale di derivati comprati e venduti da banche, investitori istituzionali, enti locali e privati si aggirasse sui 765 trilioni di dollari.

Su questo orientamento di tassare con un’aliquota più elevata le obbligazioni, che sono tra gli strumenti più controllati, e con un’aliquota più bassa i derivati, che sono tra gli strumenti meno controllati, sono state espresse critiche non infondate, anche perché – essendo il governo italiano orientato a non tassare le obbligazioni di Stato – una tassazione più consistente dei derivati consentirebbe di realizzare entrate significative. Certamente una Tobin Tax penalizzerebbe banche e istituti finanziari, che ricavano ampi profitti dalle operazioni di trading a breve termine, enaturalmente contro l’introduzione della Ttf si è pronunciata l’Assosim, l’associazione degli intermediari finanziari mobiliari, sostenendo che essa sarebbe distorsiva e inefficace. Per concludere: la Ttf dovrebbe essere vista come la prima tappa di un lungo e difficile processo di regolamentazione della finanza, sia nel senso che anche la finanza deve pagare la sua quota di tasse, sia nel senso che deve essere scoraggiata a fare operazioni puramente speculative. Altre tappe dovrebbero essere volte a ridimensionare e a regolamentare il “mostro finanza”.

Proprio per questo la tassazione delle transazioni finanziarie deve essere approvata e applicata e grande dovrà essere l’impegno dell’Italia, di questo e del prossimo governo. Se tutto dovesse procedere come previsto, i benefici potrebbero essere diversi: • verrebbero scoraggiate le operazioni puramente speculative di trading a breve termine, che sono quelle che determinano le oscillazioni speculative a danno degli Stati e che sono all’origine della crisi attuale; • ci sarebbero comunque nuove risorse a disposizione degli Stati, che potrebbero essere destinate a obiettivi comuni, a cominciare dal sostegno alla riconversione della struttura produttiva dell’Europa verso i settori del futuro, per essere all’altezza della sfida che si svilupperà tra le nuove grandi macroaree del mondo; • si produrrebbe un bel passo avanti dell’Europa: dall’Europa delle monete a un’Europa delle regole e dell’imposizione fiscale, primo passo verso un’Europa capace anche di fare politiche sociali. Insomma un bel passo avanti. Sarà possibile?