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Le riforme annunciate da Renzi e il verso che potrebbe prendere la democrazia italiana se i provvedimenti del nuovo governo andassero in porto così come sono. Ma anche l’Europa, con l’odierna manifestazione dei sindacati a Bruxelles contro le politiche di austerità. E poi di nuovo l’Italia, con il problema dell’occupazione, quella femminile in particolare. Questi i temi affrontati in mattinata dal segretario confederale Cgil Danilo Barbi in una intervista a Radioarticolo.
Punto di partenza, le province, dopo il via libera della Camera al disegno di legge Delrio. “Il nostro è un giudizio articolato – è stato l’esordio di Barbi –. Rispetto al testo iniziale, e al decreto Monti, che stava creando un autentico disastro, il disegno di legge è migliorato di molto. Partendo dall’Europa e arrivando ai piccoli comuni, il direttivo Cgil ha approvato da oltre un anno una organica proposta di modifiche istituzionali. In questa nostra proposta noi dicevamo che bisogna superare le province. Aggiungendo però che un ente di area vasta comunque è necessario, perché molte funzioni, a partire da quelle ambientali, non possono rispettare i confini dei comuni. Un ente che dovrà essere di secondo livello, cioè non eletto dai cittadini, e pensato come organizzazione dei sindaci di questa o quell’area vasta, più o meno come in Francia”.
“Il disegno di legge Delrio va in questa direzione. Grazie a un accordo che la Fp e gli altri sindacati del pubblico impiego hanno fatto unitariamente con il ministero sono state introdotte delle garanzie occupazionali e si tratterà sulla riorganizzazione del personale; cosa che all’inizio non c’era. Rimane aperto un problema, decisivo, che riguarda l’omogeneità delle funzioni delle aree vaste. Un punto su cui bisognerà tornare anche a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione”.
Ed è appunto il Titolo V il secondo tema dell’intervista. Stefano Rodotà, ha fatto notare Martina Toti di Radioarticolo1, ha espresso opinioni molto dure sulle riforme costituzionali, in particolare su quella del Senato – “Non ho mai letto un testo più sgrammaticato” le sue parole –. Cosa ne pensa la Cgil?
“Una cosa che dice Rodotà è vera, un’altra non mi convince – ha risposto Barbi –. È vero che la scrittura del testo è approssimativa; l’idea di fondo del superamento del Senato elettivo, del bicameralismo perfetto, però è giusta. La Cgil lo propone da tempo”. Ovviamente il rischio di qualche errore c’è: in Italia, quando si discute di istituzioni, si passa quasi sempre da un estremo all'altro. Che è quanto si vede anche nel disegno di legge, dove si “passa dal bicameralismo perfetto a un Senato che non serve a niente”.
Per la Cgil il Senato non deve essere elettivo. Sottrarlo alla elezione diretta non significa però toglierli completamente la possibilità di votare. Votare cosa, allora? Le modifiche della Costituzione, e poi tutto ciò che riguarda le funzioni, i poteri e il finanziamento di comuni e regioni. “Quando una determinata legge della Camera futura interverrà sui poteri delle Regioni e dei comuni, sulle loro finanze, o sulla loro autonomia impositiva, sulla loro organizzazione e funzione, l’intera legge o singoli articoli della stessa dovranno essere votati anche dal Senato delle Regioni e dei comuni”.
Un testo che va corretto, dunque, quello riguardante il Senato. Fermo restando che la Cgil è assolutamente contraria a tenere in piedi lo stato di cose attuale: il nostro bicameralismo è oggi, infatti, tutt’altra cosa rispetto alla difesa delle prerogative del parlamento. “Prendiamo le leggi economiche: sono diciassette anni che le principali decisioni economiche del paese vengono prese con la fiducia su un maxi emendamento del governo. E questo perché i meccanismi del bicameralismo perfetto sono fatti in modo che il parlamento, invece di fungere da organo di decisione, come vuole un’idea di repubblica parlamentare che noi difendiamo, è diventato un organo di rappresentanza delle lobbies. Con un maxi emendamento fatto di cinquecento commi i parlamentari alla fine non sanno mai su cosa votano la fiducia. È il governo che si è fatto parlamento, e questo per noi è sbagliato”.
In conclusione, la Cgil vuole “una camera che voti l’insieme delle leggi”. Questo responsabilizzerebbe il parlamento e rendebbe trasparenti le sue scelte; però il Senato deve poter votare, oltre alle leggi costituzionali, quello che riguardano ciò che esso rappresenta, cioè il sistema delle Regioni e delle autonomie locali.
Ma, mettendo insieme riforma elettorale e riforma del titolo V della Costituzione, che Italia uscirà dalla somma di questi due addendi: quale sarà il verso della democrazia? Ne avremo di più o di meno?
“L’attuale legge elettorale – è la risposta di Barbi – è ancora troppo maggioritaria rispetto alla sentenza della Corte costituzionale. La Corte ha detto una cosa chiarissima, inequivocabile: ha detto che tra i due princìpi, rappresentatività e governabilità, quello che prevale è il principio della rappresentatività. Quindi premi di maggioranza, bipolarismo e così via, tutto si può fare ma in termini ragionevoli e senza alterare in maniera sostanziale il voto dei cittadini. Nel sistema italiano non è il governo a rappresentare il popolo: il popolo è rappresentato dal parlamento. La legge elettorale, così come si configura, ha sbarramenti troppo alti, e non dà ai cittadini, con chiarezza, il potere di decidere i parlamentari. Bisogna modificarne il testo. Il meccanismo è discutibile e sbagliato ma, soprattutto, ci si espone al fatto che la Corte lo giudichi di nuovo incostituzionale. Il che creerebbe un caos quasi insostenibile dentro la crisi economica che stiamo vivendo. È necessario procedere con intelligenza: non bisogna fare le cose con il cronometro in mano. E, al posto del governo o del parlamento, francamente chiederei una sorta di parere preventivo alla Corte costituzionale.
Un pronostico politico. Reggerà, detto tra virgolette, “il patto con il diavolo”, il patto di Renzi con Forza Italia?
“Non lo so. Bisognerebbe essere esperti di patti con il diavolo – è stata la risposta scherzosa di Barbi –; e io, francamente, non credo di esserlo”. “Penso che la legge elettorale vada cambiata – ha aggiunto –; ma, ripeto, va cambiata seguendo le indicazioni della Corte costituzionale. Occorre poi un progetto che non sia ispirato dall’isteria ma da una volontà positiva di ridisegno della costituzione. Questo la Cgil lo dice da tempo. Il cambiamento non lo si fa solo contro il sistema precedente; il cambiamento si fa trovando istituzioni che abbiano un loro equilibrio e dei contrappesi. È necessario un cambiamento vero, perché c’è una domanda del paese che è evidentissima. Ma occorre una risposta senza farsi prendere né dalla fretta né dall'isteria. Le modifiche istituzionali necessitano di un pensiero positivo. Il problema non è come funzionavano male in passato; è, invece, come debbono funzionare in futuro. Dentro la crisi sono sempre più necessarie istituzioni pubbliche che funzionino, che siano autorevoli. Bisogna semplificare per rafforzarle, per ridare loro prestigio, forza, capacità di prendere in mano i processi economici-sociali”.
A proposito dei cambiamenti necessari, a Bruxelles si è manifestato oggi non solo per dire no all’austerità ma anche per chiedere che l’Europa cambi corso e torni a investire. Invece da noi torna ad aleggiare lo spettro dei tagli lineari alla spesa pubblica. Quali sono i rischi? ha chiesto Radioarticolo1. Sullo sfondo c’è fra gli altri il tema della sanità, ma un segnale viene intanto da una questione che può apparire meno importante, il Cnel.
“Sul Cnel abbiamo presentato da tempo una proposta. Sembra che si voglia difendere un privilegio delle organizzazioni sindacali, non è così. Noi pensiamo che il Cnel possa avere una funzione; ad esempio nel nuovo accordo sulla rappresentanza dovrebbe essere l’organismo che ratifica, dopo le comunicazioni Inps, la rappresentatività delle organizzazioni sindacali in tutto il paese. Se si vuole superare il fatto che sia di livello costituzionale per noi va bene, se lo si vuole trasformare in un organismo di partecipazione volontaria e gratuita, va altrettanto bene. Un organismo di rappresentanza del dialogo fra le parti sociali ci sembra però ancora un’idea interessante e utile”.
“Detto questo, e più in generale, la manifestazione di oggi a Bruxelles è anche un piccolo passo in avanti del sindacato europeo; un passo avanti a cui Cgil e Dgb hanno lavorato molto. Il sindacato europeo è una creatura difficile. Purtroppo i lavoratori d'Europa non sono uniti, sono divisi da culture, da storie, da lingue, e questo è un grande problema. Oggi però abbiamo avuto la prima manifestazione non contro l’austerità ma su una proposta alternativa all’austerità. È una grande novità. Una proposta, un piano, che pensa di stanziare 260 miliardi l’anno per dieci anni di investimenti sui servizi e sull’innovazione industriale, finanziando questi investimenti attraverso titoli pubblici comuni, cioè garantiti da tutta l’Europa e con alcune forme di prelievo sui grandi patrimoni oltre a un po’ delle risorse soldi non spese dei fondi strutturali. Speriamo si apra una pagina nuova in cui il sindacato europeo diventi una creatura sempre più significativa”.
Ancora, l’occupazione, e l’occupazione femminile in particolare. Per Cristine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, sotto questo profilo l’Italia è il paese peggiore.
“Anche su questo occorrono discorsi un po’ più complessi. Su molti temi l’Italia è un paese che ha medie finte. E l’occupazione femminile è uno di questi. In alcune regioni del Nord e del Centro Nord l’occupazione femminile è a livelli europei; il contrario in alcune regioni del Centro Sud, dove la media è bassissima. Qual è la vera differenza nel Mezzogiorno d’Italia? Nel Mezzogiorno non si è mai riusciti a costruire quella che si chiama l’economia dei servizi, a sviluppare settori di lavoro che tradizionalmente hanno anche una maggiore capacità di creare occupazione femminile. Occorre una nuova politica economica generale, ciò che noi proponiamo con il Piano del lavoro; una nuova politica economica che contempli anche un’economia dei servizi al Sud: l’area del paese meno dotata di servizi sociali e per questo motivo, ripeto, con una minore occupazione femminile”.
Sul meridione il governo Renzi è stato accusato di non aver detto praticamente o quasi nulla, ha ricordato in chiusura Radioarticolo1.
“Non ha detto quasi nulla. E questo perché, punto di fondo su cui c’è una distanza molto significativa con le idee della Cgil, l’esecutivo continua a pensare che l’occupazione la fanno le imprese. L’occupazione è invece il frutto di un complesso di cose: le imprese, il lavoro, la spesa pubblica e la programmazione della stessa. Il governo guarda a dove le imprese ci sono già. Ma il problema è di costruirle anche dove non ci sono e per fare questo ci vuole una politica economica diversa da quella che si pensa di mettere in campo. Quando l’esecutivo ridà soldi in busta paga noi siamo d'accordo: questo aumenta i consumi e può difendere occupazione e crearne forse anche di nuova. Ma quando pensa che il lavoro lo producono solo le imprese, e il problema è quindi “liberarle”, è evidente che si rivolge solo a una parte, non a tutto il paese”.