Domenica 22 ottobre i cittadini lombardi e veneti saranno chiamati a esprimersi sul tema dell'autonomia – seggi aperti dalle 7 alle 23 – nei referendum consultivi per chiedere il trasferimento di maggiori competenze dal governo nazionale alle Regioni Lombardia e Veneto, nel solco di quanto concesso dall'articolo 116 della Costituzione. Nel caso di vittoria dei sì, nell'immediato non cambia nulla. Dal 23 ottobre i due governatori potranno avviare una trattativa con il governo nazionale per negoziare maggiori competenze negli ambiti limitati dall'articolo 117 della Costituzione. Una trattativa che poteva essere avviata anche senza indire un referendum (come ha fatto per esempio l'Emilia Romagna). Ma a questa argomentazione Maroni e Zaia controbattono sostenendo che il mandato popolare li renderà più forti nel negoziato con Palazzo Chigi.

In gioco c'è l'unità dei diritti. I referendum “sono privi di efficacia esecutiva e finalizzati a strumentalizzare la partecipazione democratica. Dominati da spinte autonomiste che mettono in discussione l’unità del sistema di diritti, incrementano le disuguaglianze tra territori e rompono il vincolo di solidarietà della comunità statuale, mirando al riconoscimento di una presunta specialità fondata sulla capacità produttiva per trattenere il gettito fiscale prodotto sul territorio”. Questa la posizione espressa con una nota nei giorni scorsi dalla Cgil nazionale: “Abbiamo sempre sostenuto la necessità di un assetto istituzionale fondato su un federalismo unitario e solidale che garantisca l’uniformità dei diritti fondamentali su tutto il territorio nazionale”. Per questo, spiega la confederazione, è urgente affrontare le criticità del Titolo V, a partire dalla rivendicazione di un luogo istituzionale in cui Stato e Regioni possano cooperare, e di una legislazione nazionale che definisca il quadro unitario di diritti.

“Ovviamente – ha spiegato nei giorni scorsi ai microfoni di RadioArticolo1 Giordana Pallone, responsabile del Dipartimento riforme istituzionali Cgil – non si può essere contrari a forme di partecipazione dei cittadini. Ma, nel caso specifico, il giorno dopo il referendum non cambierà nulla. Non succederà niente che non possa succedere se non tramite l'iter previsto”. I quesiti proposti dalle regioni, tra l'altro, sono infinitamente generici e anche un po' fuorvianti (qui il podcast). “Basti considerare che il Veneto inizialmente voleva proporre cinque referendum ai cittadini e la Corte Costituzionale ne ha bocciati quattro, lasciando valido solamente quello che poi effettivamente si voterà. Gli altri erano molto più espliciti nel lasciar intendere quali sono le reali intenzioni del governatore Zaia: tenere i nove decimi dell'imposizione fiscale sul territorio. Che è poi la stessa impostazione che possiamo leggere nella delibera del Consiglio sul referendum lombardo. L'obiettivo di questi due referendum non nasconde l'impostazione leghista del Nord produttivo contro il Centro-Sud scansafatiche e parassita”.

In Emilia Romagna un progetto diverso, basato sul Patto per il Lavoro, che punta su coesione e solidarietà

Che la consultazione non fosse indispensabile lo dimostra quanto avvenuto in Emilia Romagna, dove il progetto per l'autonomia non punta a una chiusura egoistica. Per questo il comitato direttivo della Cgil regionale ha approvato un ordine del giorno a sostegno del documento unitario di Cgil Cisl Uil regionali sulla proposta della Regione “che tende a dare continuità e a consolidare le scelte di fondo contenute nel Patto per il Lavoro” e che “può rappresentare un contributo al dibattito sugli equilibri tra i vari livelli di governo proprio perché non è orientata a chiudersi egoisticamente, ma anzi vi si può leggere chiaramente l’idea di aprirsi a un contesto globale rimanendo saldamente ancorati ai principi di coesione e di solidarietà all’interno del contesto nazionale”. Il contrario di Lombardia e Veneto, i cui governatori essenzialmente puntano a un “disegno di secessione fiscale, una forma pericolosa di egoismo che mina alla base l’unità nazionale e la coesione del Paese”.

Il totale dei costi stimati è di circa 64 milioni di euro

Sul voto di domenica pesa anche la questione dei costi, stimati in circa 50 milioni per il referendum lombardo e 14 per la consultazione in Veneto. Al Pirellone hanno accantonato 22 milioni di euro solo per l'acquisto dei tablet: sarà infatti sperimentato in questa occasione, e per la prima volta in Italia, il voto elettronico. “Una consultazione inutile e costosa, immorale anche, se consideriamo che i 50 milioni circa di spesa pubblica referendaria, per la Lombardia, significano 50 milioni a carico dei cittadini, senza che peraltro abbiano come ritorno dei risultati concreti”: è il commento della segretaria generale Fp Cgil Lombardia Manuela Vanoli: “Questa – afferma – sarà la prima volta che non voterò”. Dello stesso avviso Giacomo Licata, Cgil Como: “Domenica non andrò a votare, perché quello che succederà dopo il voto, Maroni lo avrebbe potuto fare anche prima, evitando così di fare spendere ai cittadini 50 milioni di euro”. “Urne inutili” le definisce il numero uno della Cgil vicentina Giampaolo Zanni: “Una propaganda che ci costa 14 milioni e potevano essere spesi per la salute e i Pfas. Domenica prossima, fermo restando la libertà di scelta dei nostri iscritti, noi non andremo a votare”. Referendum “inutile, costoso e pericoloso”: lapidario il giudizio della Camera del lavoro di Brescia che ribadisce “la sua netta contrarietà”, pur avendo deciso “di non aprire una campagna sull'astensionismo lasciando la libertà della scelta individuale sulla partecipazione o meno al voto. Perché noi diamo valore a quello che le persone possono esprimere votando”.