La forza trascinante dell’utopia. Il sogno a occhi aperti di una società armoniosa ed equilibrata e di un’umanità migliore. Libertà, giustizia ed eguaglianza. Concetti chiari, basilari, tre parole d’ordine che hanno accompagnato il progresso e l’emancipazione. E che ora sembrano aver perso smalto e potenza evocatrice, oscurate dalla nebbia dell’egoismo, del risentimento, della paura. Ma le bandiere non possono essere ammainate. E quando il pessimismo della ragione prevale anche sull’ottimismo della volontà, a tenere acceso il faro della speranza interviene la memoria.

La solidarietà come “istinto irresistibile”: “È la voce più dolce della fratellanza, e senza che alcuno la organizzi, senza che alcuno la prescrivi, si imporrà a tutti come dolce e indeclinabile necessità, e da un capo all’altro del mondo sarà esercitata come quella virtù che nobilita e ancor più delle altre il cuore dell’uomo”. Così scriveva nel 1871 Antonino Riggio. Chi era costui? Uomo di penna e di spada, cresciuto in un glorioso clima risorgimentale e impastato, forse in maniera confusa, di idee repubblicane, socialiste, anarchiche, libertarie, massoniche, garibaldine. Quel crogiuolo teorico di fine Ottocento, da Mazzini a Proudhon passando per Bakunin, nel quale bollivano svariate teorie sul riscatto delle classi popolari, diverse e spesso contrapposte al marxismo scientifico, che hanno alimentato il dibattito politico in tutto il Novecento, nelle quali ha pescato la sinistra in ogni sua accezione e che trovano echi anche negli albori del fascismo. E che ancora oggi conservano indubbio interesse intellettuale e avvincente attualità.

Emerge persino un primo abbozzo di quella che 150 anni dopo è diventata la proposta di un reddito minimo garantito per tutti, eccetto i furbi e gli sfaccendati: chi non lavora “perché non può, ha il minimum della retribuzione ordinaria, e secondo i casi, anche di più”. Tenendo conto che il minimo “non è mai inferiore a ciò che è necessario a una vita comoda e agiata”. E che dire del rivendicato rapporto diretto con gli elettori? In un appello come candidato a Girgenti, l’attuale Agrigento, nella cui provincia era nato il 28 marzo 1842, Antonino Riggio, che peraltro non raccolse i voti necessari, prometteva: “Io non ho titoli, non ho blasoni da ostentarvi, vi mostro le mie cicatrici. Cospirai, subii il carcere e l’esilio, da Palermo a Mentana combattei tutte le battaglie della Patria. Il mio passato vi è garanzia dell’avvenire. Ma non basta. La legge vi riconosce il diritto di eleggere, non quello di revocare i deputati che abbiano demeritato di voi. Io vi riconosco il diritto alla revocabilità degli eletti. Se sortito all’onore insigne di rappresentarvi alla Camera, io mi discostassi dal mio programma o mancassi a quella franchezza, lealtà e onestà che riconosco come sacro dovere, voi non dovreste che rilevarmelo. Io, ora per allora, innanzi a voi, innanzi a tutti gli elettori del Collegio, assumo l’impegno d’onore di dimettermi”. Un antesignano della battaglia contro i voltagabbana, gli opportunisti, i venditori di false promesse. Altro che Beppe Grillo e i Cinque Stelle!

La riscoperta di questo eclettico, romantico, coraggioso personaggio si deve alla nuova fatica di Giuseppe Sircana. Storico, collaboratore della Treccani, responsabile dell’archivio della Cgil di Roma e del Lazio, studioso dotato di certosina capacità di ricerca e di una rara e inossidabile libertà di pensiero. Tanti i titoli dei suoi libri, gli ultimi dedicati alla battaglia elettorale del 1952 (con Di Vittorio consigliere comunale in Campidoglio) e al “Cuore rosso di Roma” (la casa del popolo al Celio). Ha anche scritto “Il mio viaggio fortunoso”, intervista biografica a Claudio Cianca, padre dell’autore di questa recensione. È in quell’occasione che chi scrive ha avuto modo di conoscere e apprezzare le sue doti di acribia, serietà e passione.

In questi giorni è arrivato in libreria, sempre per i tipi dell’Ediesse, Futura umanità. L’utopia di Antonino Riggio (presentazione di Michele Azzola, prefazione di Vittorio Emiliani, 110 pagine, 12 euro). Un testo che si legge quasi tutto di un fiato, affascinati dal racconto di quella che Sircana giustamente definisce una vita accelerata e dalla rivelazione del Manoscritto, finora inedito, che l’autore vergò, con calligrafia chiara e precisa, ricorrendo al metodo maieutico-socratico delle domande e delle risposte. Non è chiaro perché Riggio non pubblicò e, presumibilmente, non completò (sembrano mancare alcune parti finali) la sua opera. In lui di certo l’azione superava il pensiero e comunque in quegli anni turbolenti e infuocati, nei quali i popoli oppressi alzavano la testa issando i vessilli della libertà e del riscatto sociale, l’elaborazione teorica era un fiume in piena, alimentato da mille sorgenti. E il flusso incessante degli avvenimenti spingeva avanti nel contempo le idee e gli atti eroici di chi anelava ad attuarle. I moti risorgimentali, l’Unità d’Italia, la Comune di Parigi, la guerra di secessione americana.

Riggio, racconta Sircana, dopo aver ottenuto da Garibaldi una lettera di presentazione per Lincoln, si era messo alla testa di un gruppo di volontari per andare in aiuto dei nordisti, ma la fine delle ostilità interruppe il loro viaggio. Non potendo impugnare il fucile per la libertà degli schiavi d’America, Riggio, che aveva già combattuto con i Mille da Calatafimi al Volturno e che era stato anche arrestato insieme con l’Eroe dei due mondi in Aspromonte, indossò di nuovo la camicia rossa e partecipò alla terza Guerra d’indipendenza. “Il 21 luglio 1866 – si narra nel libro – è a Bezzecca, dove viene ferito, meritando la promozione sul campo a maggiore e la medaglia d’argento al valor militare. Garibaldi lo omaggia donandogli la propria spada”. Nel 1867 sarà ancora a Mentana nel corpo dei Cacciatori romani.

Un temperamento impavido, un ardimentoso alfiere della libertà, sempre pronto a sfidare “il cannone e la forca”. E un convinto propugnatore della causa internazionalista, tanto da arrivare in nome di questa fede alla rottura con Giuseppe Mazzini, che vedeva come il fumo agli occhi ogni iniziativa in odore di socialismo. Avvocato, polemista, agitatore, fonda e dirige prima il giornale L’Eguaglianza e poi La Giustizia. Nel 1874 viene arrestato e qui, in prigione ad Agrigento e poi a Trani, mitiga e in parte rinnega le proprie idee. In una lettera al suo difensore (riportata nel libro) nega ogni attività cospiratoria e ogni intento insurrezionale, arrivando a scrivere che lui i movimenti socialisti li aveva combattuti “apertamente, fieramente, sdegnosamente”. Assolto e scarcerato, nel 1882 si candida nelle liste dell’Estrema Sinistra, senza essere eletto, nonostante il citato appello-impegno alla coerenza parlamentare. Continuerà la professione forense, fino al giorno della morte, il 27 settembre 1901. Tenendo in un cassetto il suo Manoscritto, che ora Sircana riporta alla luce.

“Non Stato, non Nazione, non Governo, burocrazie, frontiere, dogane, eserciti, memorie funeste d’altri tempi, il mondo non ha che Confederazioni di lavoratori, e l’umanità vive tutta come una sola famiglia”, in un’organizzazione sociale e produttiva “che rendono dolce ogni dire e deliziosa la vita”. Questo l’obiettivo finale, “al giusto, al ver mirando”. E se avessimo dubbi, Riggio ci invita a salire sulla navicella del suo “globo aerostatico” per volare nelle regioni infinite dello spazio e ammirare dall’alto un nuovo mondo nel quale “le nazionalità sono cadute, le frontiere distrutte” e gli uomini sono stretti “da un patto indissolubile d’amore”. Buon viaggio e buona lettura.