Giovani e donne, soprattutto se meridionali, ai margini della società, sono inchiodate da politiche pubbliche che non se ne interessano. Anzi spesso vanno nella direzione contraria a quella necessaria.

È questo il cuore dell’intervento della editorialista di La Repubblica e La Stampa, nonché direttrice centrale dell’Istat Linda Laura Sabbadini ai congressisti della Cgil riuniti a Rimini per la propria assise. E si rivolge al sindacato perché “voi potete fare molto per correggere queste storture”. 

I giovani

Tra gli occupati i ragazzi e le ragazze fino a 34 anni sono solo il 20%, gli ultra cinquantenni sono il 37%.. Nel 2007 la situazione era rovesciata. In questi due numeri c’è lo “scandalo” che colpisce gli under  35enni e che condanna il Paese alla mancanza di proiezione nel futuro. E purtroppo non finisce qui. Ha detto Sabbadini: “Entrano meno nel mondo del lavoro, entrano tardi,  sono precari e lo rimangono al lungo”.

E la risposta della politica? Sbagliata, secondo la statistica che ha sottolineato: “Siccome, a causa della denatalità, sono pochi e questo creerà un problema per  il sistema previdenziale, non è pensabile risolverlo semplicemente con l'aumento dell’età di pensionamento. Bisogna far entrare più giovani nel mondo del lavoro e prima! Con lavori meglio retribuiti e meno precari. Questo porterebbe contribuiti più alti e salari più alti per i giovani. L’effetto sarebbe quello di creare per loro pensioni future dignitose, e oggi si avrebbero le risorse – dai loro contributi – per pagare chi è in quiescenza”.

Le donne

La cultura politica del nostro Paese non ha mai messo la condizione delle donne al centro dei propri interventi”. Un giudizio senza appello, che mette sul banco degli imputati tutti i governi che si sono succeduti nel corso degli anni.

La verità è che non solo non crea scandalo che la metà delle donne italiane non abbia occupazione, ma forse è anche una “scelta” strategica anche se magari non consapevole: le donne, infatti, svolgono una funzione di supplenza per il welfare insufficiente. E allora un investimento reale, ad esempio, su asili nido e servizi per gli anziani non si è fatto e si continua a non fare “Solo il 16% dei bimbi e delle bimbe trova posto nei nidi pubblici nonostante la Legge che li istituisce sia  di 52 anni fa e, a distanza di 23 anni dalla sua approvazione, i livelli essenziali di assistenza previsti dalla legge 328 ancora non sono stati approvati”.

E le donne italiane sono non autonome e non indipendenti anche quando lavorano. Così come per i giovani, ancor più per le lavoratrici è vero il nesso precarietà-lavoro povero. “La soluzione – ha aggiunto la direttrice dell’Istat – non sta solo nel salario minimo per legge. Il lavoro povero si determina perché, anche se vengono pagate più di 8 euro l'ora ma il lavoro è precario e intermittente, molte donne non riescono a raggiungere un reddito annuo dignitoso. Questione salariale e precarietà vanno affrontate insieme”.

Così proprio non va

Aumentare l’occupazione femminile significa crescita del Pil, miglioramento della qualità della vita per tutte e tutti. Eppure, il salto culturale necessario non si riesce a fare. Un esempio? “Nel Pnrr è stata aggiunta una clausola, prevede che ogni appalto legato al Piano debba realizzare un terzo di occupazione femminile e giovanile. Ebbene nel 70% dei contratti quella clausola è stata disattesa. Ed è stato possibile farlo per come fu scritta”. Come troppo poche sono le risorse appostate per le infrastrutture sociali e, soprattutto, se non si aggiungono quelle del bilancio ordinario si va poco lontano

Due ammonimenti

Sabbadini ha concluso il suo intervento da un lato sottolineando che senza autonomia e indipendenza economica, più difficilmente le donne riusciranno a sottrarsi alla violenza domestica. E poi, riprendendo una delle affermazioni della presidente del consiglio Meloni ha messo in guardia la platea di Rimini: “Dobbiamo essere contro il quoziente familiare evocato dal governo, ci fa tornare indietro. Disincentiva il lavoro delle donne e le svalorizza perché essendo il lavoro femminile meno retribuito verrebbe tassato di più e le donne non avrebbero più convenienza a lavorare”.