Da diversi anni ormai si parla di rivoluzione digitale. I processi di innovazione tecnologica e digitale sono ormai al centro delle grandi trasformazioni che stanno cambiando il paradigma economico e produttivo di tutto il mondo, ma anche la struttura stessa del modello sociale.La nuova competizione politica si sta consumando intorno al salto tecnologico, con una rappresentazione del mondo diviso in nuovi blocchi contrapposti: da un lato gli Stati Uniti, i primi ad aver compreso che il nuovo oro sarebbero stati i big data, dall’altro la Cina, che dalla politica delle restrizioni, attraverso un significativo investimento nella formazione dei quadri tecnici e ingegneristici, comincia a sviluppare strategie economiche ed industriali di lungo periodo tutte centrate sulla digitalizzazione.

Il terreno di scontro di questa competizione è l’Europa, che appare come un serbatoio da cui attingere, piuttosto che un soggetto capace di dotarsi di una vera politica d’investimento sul digitale. In questo nuovo contesto internazionale lo spettro del digital divide determina nuovi equilibri e nuove distanze. Il successo del digitale allontana le nazioni fra loro e le separa al loro interno, aprendo un’altra grande questione, anch’essa inedita: la sicurezza dei dati e il loro utilizzo. Esattamente come per il petrolio prima, la nuova fonte di ricchezza e di potere (i dati) determina appetiti che rispondono ad interessi particolari, spesso criminali.

Le ultime rilevazioni del dipartimento di Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno, evidenziano quanto si stia spostando anche nel nostro Paese, in termini di volume d’affari e interesse delle organizzazioni criminali, l’incidenza del peso dei reati digitali, con un rischio ancora più marcato, considerando il fenomeno globale, di un rafforzamento dei sodalizi fra le mafie di tutto il mondo.

Parliamo di ottocento reati informatici al giorno nei primi sei mesi di quest’anno, destinati a crescere in un contesto di debolezza delle norme che disciplinano l’utilizzo dello spazio cibernetico, di difficoltà investigative causate dalla smaterializzazione dell’ambiente in cui si verificano gli illeciti e dalla quasi totale irreperibilità dei soggetti che compiono le attività delittuose. Tutto ciò impone un investimento specifico in termini di cybersicurezza. Senza entrare nel merito di tutte le tipologie di reato che afferiscono la sfera digitale, basti pensare al sabotaggio dei giorni successivi all’assedio della sede nazionale della Cgil proprio in ambito informatico, o al precedente attacco hacker che la Regione Lazio ha subito sui server che gestivano gli elenchi dei vaccinati per il Covid, per rendersi conto della generale fragilità e dell’esposizione dei sistemi informatici pubblici e privati. 

Il Piano di Ripresa e Resilienza, il grande piano d’investimenti che l’Europa ha messo in campo per fronteggiare la pandemia, orienta una importante mole di risorse da investire nella transizione digitale. Con gli investimenti anche l’Italia prova a contrastare gli effetti della cybercriminalità dotandosi di un’Agenzia che ha il compito, complesso, di rafforzare le procedure investigative e di contrasto. Ma il potenziamento degli organismi ispettivi e repressivi, oltretutto slegati da una logica di coordinamento transnazionale, rischia di non essere la risposta sufficiente, seppure importante.

Come sempre, quando si parla di lotta alla criminalità, l’azione più efficace è quella di una politica di contrasto che va agita su diversi fattori. Innanzitutto quello culturale che si traduce nella diffusione di una maggiore consapevolezza dei rischi, ma anche di una maggiore conoscenza dei processi di digitalizzazione. In altre parole fornire gli strumenti conoscitivi, investire nella formazione e nelle competenze. Poi, un adeguato potenziamento delle infrastrutture digitali, che non posso essere fuori dal controllo nazionale, magari appaltate a soggetti stranieri che ne detengono la gestione esclusiva e la garanzia che tali infrastrutture non siano un motivo di amplificazione dei divari. Infine, ma non meno importante, la definizione di una strategia nazionale che sappia collegare le politiche di sviluppo ai processi di digitalizzazione. Il governo della rivoluzione digitale è il presupposto fondamentale per proteggere la società tutta da tutti i rischi ad essa connessi, ma soprattutto è il presupposto per costruire un modello di sviluppo realmente inclusivo.

Giuseppe Massafra, segretario confederale Cgil