Una seppur sintetica riflessione sul ruolo del digitale nelle società contemporanee e il suo rapporto con lo sviluppo economico, sociale e culturale, necessita di alcune argomentazioni proposte qui in forma di enunciato come base per l’apertura della discussione.

L’innovazione e anche l’innovazione digitale non possono essere indagate e affrontate solo in termini tecnologici ma vanno considerate nelle loro implicazioni socio-tecniche e vanno indagate prioritariamente dal punto di vista del comportamento umano.

L’impatto dell’innovazione sul lavoro va ben oltre la comune considerazione che l’introduzione dell’automazione nella produzione genera perdita di lavoro umano soppiantato dalle macchine.

Le nostre economie sia nella fase precedente alla pandemia sia in quella che la seguirà sono centrata sull’affermazione di un capitale legato ai dati che sopravanza il capitale industriale e il capitale finanziario.

Siamo impegnati in forme di lavoro sconosciute fino non molti anni fa, lavoriamo molte ore al giorno usando i nostri dispositivi per produrre “dati”, mentre lo facciamo non siamo remunerati e ‘togliamo’ di fatto lavoro a coloro che prima svolgevano i servizi che ora gestiamo personalmente.

Gli elementi centrali nelle società contemporanee sono i "dati" e le "donne" e gli "uomini" che li generano. Intorno ai dati ruota l’economia, sulla consapevolezza e sulle competenze delle donne e degli uomini, poggia la possibilità di governare i processi di sviluppo delle società.

La posizione dell’Italia che emerge dalle analisi del Digital Economy and Society Index (DESI 2020) è inqualificabile.

Per quanto il digitale debba esser considerato rilevante e centrale, non va concepito in un’ottica settoriale come un contesto in cui orientare le risorse senza aver adeguatamente definito il modello di sviluppo che intendiamo proporci.

Per comprendere i pericoli di un approccio settoriale possiamo riferirci al Piano Nazionale di Resilienza e di Rinascita (Pnrr) elaborato dal Governo per la gestione dei fondi del Next Generation Eu.

Nel piano italiano si adotta un’articolazione basata su 6 tematiche chiamate ‘missioni’. Dall’analisi del documento emerge un approccio settoriale e una scarsa corrispondenza al modello delle mission europee, secondo il quale vanno intese come sfide coordinate; trasversali; basate su obiettivi misurabili, monitorabili e valutabili; in grado di guidare un cambiamento sistemico, capaci di "ingaggiare" i diversi attori (dall’opinione pubblica ai players economici, sociali e culturali) rendendo evidente il valore degli investimenti.

Il governo propone di operare su settori di intervento che manifestano certamente ritardi e inadeguatezze, ma che restano ambiti di intervento "verticali" piuttosto che azioni di sistema.

Al paese non serve l’ennesima lista dei settori su cui intervenire. La lista proposta dal Pnrr non cambia la sua valenza solo per essere stata etichettata come l’elenco delle ‘missioni’ per la resilienza e la rinascita dell’Italia.

L’approccio basato sulle mission avrebbe potuto essere una grande opportunità di pensare e operare in ottica trasversale e intersettoriale superando la logica degli investimenti scoordinati. Di questa natura avrebbe potuto essere la volontà di focalizzare l’attenzione sugli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile centrata, ad esempio, sulla scelta di guardare ai territori in un’ottica di ‘rigenerazione territoriale’.

Un piano di investimenti focalizzato su una mission dedicata alla "Rigenerazione territoriale" avrebbe potuto muovere dall’analisi dello stato di fatto e individuare gli interventi necessari nei diversi settori consentendo di mantenere una visione coordinata, misurabile e governabile.

Come previsto dalla logica delle mission il piano di "Rigenerazione territoriale" avrebbe potuto essere strutturato in termini di obiettivi puntuali da raggiungere (i.e. numero di entità territoriali che hanno raggiunto un determinato risultato in un “Indice di rigenerazione territoriale” sintesi ultima di una struttura di indicatori specifici in alcune Aree. Tra queste a titolo non esclusivo possiamo individuare: qualità delle acque; gestione dei rifiuti; connettività; sviluppo continuo delle competenze; gestione del suolo; qualità della produzione (anche nell’ottica dell’economia circolare); qualità della produzione agricola; qualità del lavoro; qualità dell’istruzione; qualità della salute; qualità della mobilità, in particolare a basso impatto energetico ed ambientale.

Le aree tematiche indicate costituiscono gli ambiti in cui attivare interventi finanziati nei diversi settori riuscendo a incidere al contempo sui ritardi più rilevanti del sistema paese, sulla sostenibilità dello sviluppo e sulla qualità della vita nei territori.

E il digitale? In ciascuna delle aree di intervento il contributo del digitale esprime la sua rilevanza. A testimoniarlo possiamo sottolineare la centralità dei dati e della loro elaborazione, nell’ambito di un ampio e trasversale programma di interventi per l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (infrastrutture digitali, dati, algoritmi, competenze, ecc.) come fattore di comprensione e interpretazione dei singoli fenomeni; di guida per la scelta degli interventi; e di supporto al loro monitoraggio.

Germano Paini è sociologo dell'innovazione, docente di Culture dell'innovazione e territori all'università di Torino