La diffusione degli smartphone, la possibilità di una connessione veloce e capillare, l’uso quotidiano dei social hanno amplificato gli effetti degli atti di violenza e di persecuzione compiuti tramite la Rete, molto spesso a danno delle donne.

La Polizia Postale e delle Comunicazioni è impegnata da anni nel contrasto alle diverse forme di violenza online contro le donne. Sia quando questa si sviluppi nell’ambito di relazioni reali, spesso riconducibili a legami sentimentali – o comunque i cui autori siano conosciuti dalle vittime (ponendosi quindi come una continuazione della violenza offline) –, sia quando la minaccia provenga da autori sconosciuti o  completamente estranei alla vittima, ma che tuttavia possono colpire  gravemente la libertà di espressione, il diritto alla privacy, la reputazione e molte altre sfere della vita privata e sociale delle donne prese di mira.

Ancora più inquietanti sono i fenomeni nei quali questa violenza virtuale diventa elemento di condivisione con altri utenti della rete, sia attraverso i like, sia realizzando vere e proprie condotte criminali, come ad esempio attraverso applicazioni di messaggistica istantanea,che godono di ampia fama circa il mantenimento dell’anonimato in capo agli utenti (vedi Telegram) e i cui contesti di aggregazione virtuale raggiungono persino la portata di 200.000 utenti. 

A ciò si aggiunge l’uso eticamente e giuridicamente scorretto delle nuove tecnologie per finalità criminali, come ad esempio nel caso del fenomeno del deepfake, tecnica che sfrutta l’intelligenza artificiale, e in particolare il machine learning, partendo dai dati biometrici contenuti in un’immagine per ricostruire contenuti multimediali artefatti; nei casi di deepnude ad essere realizzato è un vero e proprio video pornografico immaginario, che tuttavia simula l’esistenza di una situazione realmente accaduta.

La tecnologia rafforza il proposito criminoso dell’autore di condotte di reato, sia in termini di maggiore percezione di anonimato in rete, rispetto all’esposizione della propria persona nella vita reale, sia nella misura di una minore percezione del disvalore delle condotte poste in essere, anche nei casi estremamente gravi di comportamenti persecutori tramite dispositivi elettronici direttamente da casa o dal luogo di lavoro. Il web, inoltre, vive l’assoluta mancanza di limiti spazio-temporali, favorendo la viralizzazione dei contenuti senza sosta, 24/7, abbattendo le distanze fisiche tra autore e vittima di reato. 

Il legislatore, negli anni, ha fornito nuovi strumenti giuridici sia tramite la previsione di nuovi reati (come lo stalking e il revenge porn), sia mediante l’introduzione di strumenti normativi volti alla difesa della vittima (ad esempio il Codice Rosso). La Polizia Postale e delle Comunicazioni è particolarmente attiva sia nell’attività di sensibilizzazione di giovani e adulti circa la sicurezza e responsabilità nella navigazione in rete, sia nell’attività di contrasto ai reati contro la persona commessi online.

Reato particolarmente odioso è il revenge porn, una delle quattro fattispecie di reato introdotto dalla l. 69/2019, che prevede e punisce la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti, prodotti consensualmente ma divulgati senza il consenso della persona rappresentata. La norma incriminatrice punisce altresì la condotta di chi successivamente “riposta” le immagini, una volta ricevute, proprio in modo da scongiurarne la diffusione in rete. Tali condotte sono, purtroppo, molto diffuse tra i giovani, in ragione della maggior propensione al sexting e vedono come vittima assolutamente maggioritaria di reato soggetti di sesso femminile (in più del 90% dei casi). Sovente il materiale ottenuto viene veicolato in chat sulle piattaforme di peer-to-peer di cui ai cenni iniziali, implementando vere e proprie reazioni a catena.

Fenomeno parallelo, molto diffuso sui social network, è quello dello “stupro virtuale”, dove la matrice dell’attività criminale non è necessariamente data da un contenuto pornografico esistente, bensì dalla pubblicazione, in gruppi chiusi, di immagini neutre, talvolta scattate per caso o estrapolate da profili social esistenti, accompagnata da commenti volgari od osceni.

Nell’attività di contrasto, obiettivo primario dell’organo di polizia, oltre all’individuazione dei responsabili, è ottenere la rimozione dei contenuti pubblicati, sforzo che, tuttavia, rischia di essere vanificato dalla ripubblicazione su altri canali dei contenuti precedentemente salvati, come ad esempio accade in particolare nel mondo del peer-to-peer. In questi casi, però, la vittima non è priva di strumenti alternativi: anzitutto, in accordo con le policy dei portali di ricerca, la vittima può fare istanza di de-indicizzazione dei contenuti offensivi pubblicati su siti web, in modo che essi non siano più “ricercabili”. Di più, molti social network adottano policy volte alla ricerca automatica di post inappropriati (come ad esempio immagini di nudo o violente), rimuovendo detti contenuti multimediali in modo da limitarne la visione e circolazione tra soggetti terzi. Le stesse piattaforme, inoltre, collaborano con le Autorità procedenti comunicando gli elementi informatici utili a seguire le tracce degli autori delle condotte delittuose.

Cosa può fare la tecnologia per contrastare la violenza sulle donne? Sarebbe più che opportuno un approccio all’intelligenza artificiale human centered, in grado cioè di applicare la stessa tecnologia usata per delinquere contro il criminale, armonizzandola con le previsioni normative a salvaguardia della privacy e riservatezza degli utenti della rete, per esempio mediante elaborazione automatizzata di responsi sulle segnalazioni del cittadino.

Anna Lisa Lillini, primo dirigente Polizia Postale e delle Comunicazioni