Se devo indicare una sola priorità nel lavoro del Forum transizione sociale, credo che essa consista nello sperimentare un metodo di lavoro che coinvolga in forme nuove lavoratori, sindacato ed esperti. Il vero problema della trasformazione, infatti, non è il rischio di distruzione di occupazione, non è neanche la forza dell’intervento privato e la debolezza dell’intervento pubblico. Tutti problemi veri e gravi, ma tutti affrontabili a condizione che si manifesti un soggetto sociale in grado di selezionare i suoi obiettivi e di contrattarli nelle aziende e con i poteri pubblici. Questo soggetto, dobbiamo dircelo, non c’è ancora e non nascerà dall’alto. Questo Forum è l’occasione preziosa per sperimentare un flusso di comunicazione che origina dai conflitti e dalle contrattazioni aziendali.

Da queste fonti, gli esperti devono imparare, aiutare a comprendere la natura della automazione proposta dall’impresa, selezionare alcune domande. La digitalizzazione dei processi crea valore? Se è così, questo valore va redistribuito con aumenti del monte salariale. Contrattare la redistribuzione dei guadagni non è facile, non sempre è possibile e non è sufficiente. Non è facile, perché la controparte sostiene di essere la sola le informazioni necessarie a decidere il meglio per l’azienda; non sempre è possibile, perché le vertenze riguardano spesso ristrutturazioni drammatiche. Ma soprattutto non può mai essere sufficiente, perché è in gioco qualcosa di più che non l’occupazione, il salario, le condizioni di lavoro. La partita decide il rapporto economico tra capitale e lavoro, ma anche e soprattutto il loro rapporto di sapere/potere. La dignità del lavoro, né più, né meno.

Nello scenario peggiore, il sapere è nelle mani di piattaforme alimentate da dati, algoritmi, predizioni che dettano ordini e ritmi a lavoratori dispersi, che non sanno neanche cosa stanno facendo. Nello scenario migliore… Non spetta a me disegnare un’idea di futuro, prima che un ciclo di vertenze, errori, sconfitte, vittorie ci abbia dato materiale per progettare. Un buon punto da cui partire è 'stressare' la parte contrattuale sui diritti d'informazione e imparare a usarli. Da lì verrà materiale prezioso per il sindacato e per gli esperti.

Verranno anche nuovi quadri e dirigenti sindacali. Oggi la discussione sulla transizione digitale coinvolge poche migliaia di persone. La partecipazione di tutti i cittadini e gli utenti è un obiettivo ideale e lontano. Ma il coinvolgimento, vertenza dopo vertenza, di decine di migliaia di lavoratori è un obiettivo alla nostra portata, che cambia i rapporti di forza. I numeri smentiscono l’ideologia T.I.N.A. Non è vero che 'There Is No Alternative'. Secondo una legge empirica del digitale, quello che avverrà nel prossimo decennio è mille volte più grande di quello che avvenuto nello scorso decennio. Grande non significa solo dati, velocità, potenza di calcolo; signifìca anche possibilità alternative.

Finisco con un solo esempio, scelto tra le tante vertenze in corso. In tutta Europa l’industria delle telecomunicazioni europee perde valore e occupazione. I campioni nazionali non funzionano più, quelli privati peggio di quelli pubblici. Sul lato dell’offerta, pare evidente che solo una politica industriale europea (perché no? Un campione europeo) può ribilanciare lo strapotere delle imprese internet americane e cinesi. Ma sul lato della domanda, l’intervento pubblico nazionale può indicare nuove direzioni di sviluppo, adatte allo specifico contesto territoriale.

In Italia si sta progettando un ritorno all’intervento pubblico per acquisire la rete di Tim. Si susseguono piani e contropiani finanziari, nessuno dei quali finalizzato a incrementare la quantità e la qualità del lavoro. Incrociando transizione digitale ed ecologica, è invece possibile progettare una società pubblica per una rete intelligente che non fornisca solo connessioni tra persone, ma sia partner decisivo per la messa in sicurezza del nostro patrimonio idro-geologico, diffondendo milioni di sensori e sviluppando sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Anche qui non abbiamo ancora visto niente; una rete pubblica negoziata con i territori che connette e rielabora l’internet delle cose è molto meglio dei modellini di Smart City offerti da Microsoft o Google.

Per lo sviluppo di questo progetto, l’Italia è il laboratorio ideale, può puntare a generare decine di migliaia di nuovi lavori di qualità e ritagliarsi un ruolo di leader in una segmento della filiera verde e digitale. Pensare in grande non è una prerogativa esclusiva di pochi imprenditori che vogliono ridisegnare il mondo. La stessa ambizione si può applicare a obiettivi quali la quantità e la qualità del lavoro.

Piero De Chiara, Forum Disugualianze Diversità, ex consigliere Agcom