L’OSPEDALE DI MARIUPOL È STATO DAVVERO BOMBARDATO? SÌ
Mercoledì 9 marzo è stato bombardato il reparto di maternità e ginecologia di un ospedale pediatrico di Mariupol, in Ucraina: le vittime, per le fonti ucraine, sono almeno tre e i feriti 17. Nel corso della giornata del 10 marzo alcuni account su Twitter hanno messo in dubbio la veridicità della notizia. Non si tratta di account qualsiasi ma di quelli ufficiali delle ambasciate russe, anche quella in Italia.

Per le istituzioni e i media russi si tratterebbe di una grande messinscena architettata dal governo ucraino a uso dei media occidentali. I punti a sostegno di questa tesi sono fondamentalmente due:
1. L’ospedale di Mariupol era sotto il controllo di militari ucraini, ma non gente in divisa qualsiasi. Il Battaglione Azov controllava la struttura: si tratta di un reparto composto da una forte componente neonazista, che avrebbe fatto evacuare pazienti e personale medico. Altre versioni russe riportano che hanno tenuto le persone per usarle come scudi umani. 
2. Di conseguenza, i soggetti che compaiono nelle immagini sono attori. 

Il giorno dopo l’attacco le ambasciate russe hanno gridato alla fake news. Twitter ha poi cancellato diversi post

La foto pubblicata dalle ambasciate russe non mostra l’ospedale pediatrico di Mariupol, ma un edificio lontano oltre dieci chilometri dal luogo dei bombardamenti. Non possiamo quindi confermare, ma neanche smentire, che l’ospedale di Mariupol fosse utilizzato come base dal Battaglione Azov. 
Sappiamo però con certezza che l’ospedale era attivo: lo dimostrano le fotografie, i video e i messaggi postati sui social da molti utenti e account ufficiali d'istituzioni. Lo stesso ospedale di Mariupol nei giorni prima dell’attacco chiedeva aiuti per far fronte all’emergenza e soccorrere molteplici feriti dai bombardamenti.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha confermato almeno 18 attacchi contro ospedali o centri medici da quando l'invasione russa è iniziata, due settimane fa. Inoltre Amnesty international ha documentato un crescendo di violazioni del diritto internazionale umanitario, affermando che si sono già realizzati 13 crimini di guerra

Veniamo al punto due. Una delle donne che ha rischiato la vita nell’attacco all’ospedale è effettivamente l’nfluencer Marianna Podgurskaya, che però vive nella città di Mariupol e si trova davvero in uno stadio di gravidanza avanzato (per la cronaca: ha partorito e sta bene).
La foto, pubblicata da molti media internazionali, è stata scattata da Evgeniy Maloletka per la Associated press, una delle più autorevoli agenzie di stampa al mondo. Maloletka è un fotografo freelance, pluripremiato, che lavora da anni per la Ap; i suoi lavori sono stati pubblicati da Bbc, Nbc e altri media internazionali. Maloletka ha firmato anche le immagini delle fosse comuni a Mariupol e, nei giorni scorsi, quelle relative alla morte del piccolo Kirill.

LA GUERRA DIGITALE È FORTE, ANZI FORTISSIMA 
Il conflitto in Ucraina non si combatte solo con carri armati e bombardamenti, con civili in fuga e città distrutte. C’è una guerra parallela che valica il teatro di guerra e coinvolge tutto il mondo. La guerra mediatica, fatta a suon di propaganda e di fake news, di notizie senza fonti, d'immagini “riciclate” da altre città o addirittura da altre guerre.

Andrea Muratore, bresciano, 28 anni, è analista geopolitico del Centro italiano di strategia e intelligence, oltre che coordinatore di redazione dell'Osservatorio Globalizzazione diretto dal professor Aldo Giannuli.   

Quanto è social questa guerra? Sembra che ci sia una competizione senza precedenti.
Molto, e non solo per motivi d’immagine. Molte delle immagini che noi analisti ci troviamo a commentare circolano sui social. Twitter, soprattutto, ma anche Telegram, in una guerra dove i reporter sul campo sono pochi, anche visti i rischi altissimi che si corrono in una guerra tra eserciti regolari. E questo crea spazi per la propaganda bellica. Siamo in piena infowar, guerra informativa, e lo si è visto appieno nel caso Mariupol. Dove Ucraina e Russia hanno presentato versioni estreme difficilmente verificabili, in entrambi i casi, con i dati di intelligence su fonti aperte che permettono corrette verifiche.

Chi è in vantaggio? La situazione sembrerebbe vedere una Russia che gioca d’attacco senza grandi risultati sia sul campo sia sui social.
Mi sembra che su questo fronte ogni nazione giochi con le proprie armi. Certamente l’Ucraina ha ottenuto una grande ondata di solidarietà in campo occidentale, ma non bisogna dimenticare che la Russia ha un sistema più chiuso e autoreferenziale, dunque le oscillazioni dell’opinione pubblica nostrana la toccano meno. E bisogna capire buona parte del mondo, cioè quello afferente alle nazioni non occidentali, cosa pensa. India e Cina, in primis, con la loro neutralità all’Onu rispecchiano sentimenti legittimamente diversi da quelli occidentali di condanna unanime alla Russia che riguardano le rispettive opinioni pubbliche.

Ci ricordiamo però la grande offensiva digitale russa dei primi due giorni di guerra. Sui social l’Ucraina sembrava già sconfitta e questo stava condizionando la posizione di diversi Paesi.
Questo perché nei primi giorni la strategia russa non era quella dell’invasione su larga scala, ma piuttosto di un attacco di decapitazione della leadership ucraina. Fallita questa mossa e protrattasi la linea difensiva del governo ucraino, è fallita anche la strategia di forte rafforzamento dell’offensiva digitale russa.

Che forze digitali hanno in campo i due schieramenti?
Per il digitale certamente gli account ufficiali, cui aggiungere i rispettivi apparati di propaganda e infowar. Non dimentichiamo che due nazioni in guerra dedicano alla propaganda il massimo delle forze: dirò una cosa forte, ma Sputnik e Russia Today vanno letti con la stessa cautela del canale bielorusso filoucraino Nexta, del Kiev Independent e di altri media necessariamente schierati. Perché così va in guerra.

Pochi giorni fa Twitter ha cancellato post all’account ufficiale dell’ambasciata russa nel Regno Unito. C’è una responsabilità sempre crescente dei gestori di queste piattaforme non solo nell’indirizzare la comunicazione, ma anche nel compiere scelte che diventano casi politici.
Pensiamo al fatto che un ex presidente Usa come Donald Trump è bannato su Twitter, mentre i Talebani sono liberi di pubblicarvi contenuti, per capire quanto il big tech non sia neutrale. Questo crea problematiche politiche e di gestione. Nella guerra tecnologica e cyber ritengo che sia comprensibile il fatto che si colpiscano gli account di un Paese ritenuto rivale e questo risponda simmetricamente: il vero problema, in quest’ottica, si pone quando la censura colpisce i dibattiti politici e sociali interni alle nostre democrazie. Questo è il vero punto di caduta. L’offensiva mediatica contro chi non si è adeguato completamente all’unica versione dei fatti “accettata” sull’Ucraina nei nostri Paesi, come i professori Cardini e Orsini o Sergio Romano, lo testimonia. E potremmo vederne una versione paragonabile nella gestione dei contenuti nei social nei mesi a venire, se l’andazzo continuerà.

Quali sono i gruppi e siti in Italia che più rilanciano la propaganda di Mosca?
Ce ne sono molti e di diversificati, bisogna capire in che misura siano espliciti propagandisti e in che misura, invece, agenti di influenza. Tenderei più per la seconda ipotesi. Il profilo medio è quello di gruppi afferenti all’estrema destra o all’estrema sinistra o a movimenti contestatari e testate online/canali Telegram complottisti, uniti dalla volontà di attaccare il sistema vigente da noi senza contrapporre alcuna pars construens. Consiglierei di seguire le riflessioni di uno studioso come il professor Andrea Molle, massimo esperto mondiale del complotto di QAnon, per capire come si sia creato un filo rosso tra i movimenti complottisti, quelli antivaccinisti dello scorso anno e i maggiori propagandisti pro-Putin oggi più esposti. La sintesi perfetta di movimenti del genere è il blog “La cruna dell’ago”, vera e propria Tortuga del complottismo nazionale.

Secondo il sondaggio Swg con Parole Ostili, il 50% degli intervistati crede che questa sia una guerra nuova nella comunicazione fatta dai media

Mosca sembra dettare la linea ai media russi e censurare anche la stampa nazionale. Come è il clima interno alla Russia ora?
I sondaggi Levada, i più attendibili, parlano chiaro: la guerra è approvata molto di più dagli anziani che dai giovani. Nel Paese il clima non sembra lasciar presagire grandi proteste o manifestazioni. Certamente c’è perplessità sul combattere un popolo ritenuto fratello.

A livello mediatico la figura del presidente russo è in forte difficoltà. Quali sono ora le scelte comunicative di Putin? È cambiata la strategia rispetto a qualche settimana fa quando dominava l’informazione.
Non comprendo la mossa offensiva di Putin, che stava vincendo sul piano diplomatico grazie all’ottimo lavoro di Sergej Lavrov. Ma credo che l’errore peggiore per la Russia sia stato quello di pensare a una vittoria-lampo. Il riscontro mediatico è però relativamente poco importante per Putin, che ha obiettivi strategici ben più complessi.

Invece il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra in forte ascesa anche grazie all’uso massiccio che fa dei social. Tutti noi ci ricordiamo i suoi video su Facebook mentre incitava la resistenza. Che personaggio è Zelensky e come valuti la sua comunicazione?
Zelensky è indubbiamente uomo di coraggio. E non si può non dimostrare solidarietà umana per un leader democraticamente eletto assediato nella sua capitale. Da attore, del resto, sa bene quanto possa essere problematico uscire di scena. Diciamo che la sua popolarità è molto più elevata, oggigiorno, all’estero che in patria. Nel Paese si percepisce un’ostilità alla Russia, ma Zelensky si trova schiacciato tra le critiche dei moderati e quelle dei nazionalisti per non aver previsto l’invasione russa fino alle ultime ore. C’è un fenomeno di rallying around the flag che Zelensky alimenta con la sua attenta e efficace strategia di comunicazione e c’è sicuramente empatia. Ma bisogna capire quanto a lungo ciò saprà valorizzare la volontà di resistenza del popolo ucraino.

Quanto ancora durerà questa guerra?
Entriamo in una terra incognita. Diverse settimane, credo, visto lo stallo. Ma la resistenza ucraina, ora come ora, non è detto duri per sempre. La guerra di posizione e di assedio nelle città può causare danni gravissimi e protrarsi per mesi.

Quali scenari si aprono ora per la futura Ucraina? Sembra che l’obiettivo del Cremlino sia di annettere o creare uno stato fantoccio in tutta l’Ucraina del Sud.
Ragionando con nudo realismo, le opzioni sul campo sono chiare. Opzione uno: vittoria militare russa con occupazione delle aree a Est del Dnepr e divisione dell’Ucraina in un Est annesso alla Russia, un centro neutrale e un Ovest filo-atlantico. Opzione due: Repubbliche installate a Kherson e Kharkiv, forse anche a Odessa, per creare con Transnistria, Donetsk e Lugansk dei cuscinetti filorussi di Stati fantoccio. Opzione tre: conclusione delle operazioni con consolidamento russo nel Donbass. Mi pare di capire che gli scenari sul campo restino questi, a patto di una pronta trattativa che preservi il più possibile l’integrità territoriale ucraina.

Quali consigli senti di dare quando ci troviamo di fronte a immagini, video o articoli di guerra?
Cercate sempre riscontri. Cercate elementi che possano geolocalizzare i fatti, di capire se lo stesso fatto è ripreso da più fonti contemporaneamente, di fare dunque intelligence su fonti aperte. Ci sono diversi analisti, tra cui l’americano Rob Lee e il blog Oryx, che sui loro profili Twitter aiutano a capire questi dati e io ne faccio uso molto spesso nel mio lavoro. Siamo in piena guerra informativa e questo va tenuto attentamente in osservazione.

Come valuti i media italiani? Stanno seguendo i consigli che ci hai dato sopra o stanno rincorrendo il click facile?
Sono orgoglioso di poter lavorare con una realtà (Inside Over) i cui analisti, amici personali di provata competenza, sono le prime fonti che io stesso seguo e cui mi rivolgo per un’informazione non gridata e attenta a pesare i fatti e la necessità di capire gli interessi e gli obiettivi di tutte le parti in causa. L’emotività è inevitabile in una guerra, ma se si è analisti bisogna tenere il sangue freddo, capire la realtà sul campo, leggere la complessità e gli effetti di lungo termine di certe dinamiche. I media italiani, oggigiorno, stanno nuovamente abbattendo ogni necessità di gestire la complessità di questa fase di acuta incertezza. La caccia al filorusso di giornalisti come Gianni Riotta e Iacopo Jacoboni, cui si sono uniti anche grandi professionisti come Guido Olimpio, l’invito a equiparare pacifisti e fan di Putin come complici dell’aggressore (a che categoria iscriveremmo Papa Francesco?), il faziosismo mediatico contro professionisti di grande competenza come Cardini e Romano mostra una cosa: la totale mancanza di pensiero critico e di profondità di analisi di buona parte dei commentatori e degli opinionisti che oggi dominano i salotti televisivi e le colonne di apertura dei giornali. Mi ha particolarmente preoccupato la categoria dei giornalisti con l’elmetto che ragionavano di guerra aperta con la Russia, no-fly zone, trasformazione dell’Ucraina nell’Afghanistan d’Europa con un cinismo e una mancanza di tatto che mi hanno colpito. Tutto questo mentre, al contempo, generali e alti comandanti militari (Fabio Mini, Carlo Jean, Marco Bertolini), da settimane invitano al buon senso e al sangue freddo. Chi conosce il mestiere delle armi, in fin dei conti, le rispetta e le teme prima ancora di esibirle con isteria.

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