Come spesso accade agli accordi interconfederali, solo il tempo ne darà un giudizio equo e, considerando la complessità di alcune questioni che si devono affrontare, non ne servirà poco per capire se l’accordo sarà stato davvero efficace”. Pierangelo Albini, direttore dell’area lavoro e welfare di Confindustria, commenta così a Rassegna l’accordo sui “Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva”, raggiunto a fine febbraio dall’associazione degli imprenditori e da Cgil, Cisl e Uil, e poi siglato in via definitiva il 9 marzo. “Del resto – continua Albini –, ci si prefigge di conseguire diversi obiettivi e alcuni, particolarmente sfidanti, non sono neppure nella nostra piena disponibilità”.

Rassegna A quali obiettivi si riferisce in particolare?

Albini Mi riferisco soprattutto alla seconda parte del documento, dove indichiamo alcune questioni su cui lavorare insieme, ma anche la prima parte, quella relativa alla rappresentanza e alla contrattazione collettiva, pone sfide impegnative i cui esiti non dipendono soltanto da noi. Detto tutto ciò, l’accordo può essere già per alcuni aspetti giudicato positivamente. Innanzitutto, esso assolve un compito importante: individua le criticità, fissa le priorità e indica le possibili soluzioni. In questo senso, si compie un altro passo nel percorso intrapreso anni fa per dare al Paese un sistema di relazioni sindacali ordinato, moderno e capace di accompagnare le trasformazioni in atto.

Rassegna Una sfida notevole, quella di dare un assetto stabile alle relazioni contrattuali, considerando soprattutto le difficoltà di una stagione in cui a prevalere è la carenza di un denominatore comune.

Albini Non c’è dubbio. Il fatto è che continuiamo a condividere l’idea, un po’ illuminista, di riuscire a dare una governance alle relazioni industriali anche in una fase di grande complessità come quella attuale, avendo l’obiettivo di evitare che la frammentazione degli interessi, l’assenza di regole e la mancanza di un sistema adeguato di controlli alimentino le situazioni di illegalità. Il successo di questo progetto non è tutto nelle nostre mani, ma prendere coscienza di questo fatto e lavorare insieme per superare le criticità e le contraddizioni del sistema mi sembra già un buon inizio. Per questo si deve dire con chiarezza che l’accordo non rappresenta un punto di arrivo, ma piuttosto un punto di partenza per tutti.

Rassegna È importante che le parti sociali si siano compattate. In pochi avrebbero scommesso su questa soluzione all’inizio del confronto, nel luglio del 2016, quando sul versante della politica sembrava prevalere la “dottrina Renzi” (intervento per legge sulla contrattazione) e in viale dell’Astronomia le posizioni non erano tutte orientate a condividere il confronto sulle posizioni espresse unitariamente da Cgil, Cisl e Uil. Ora, grazie all’accordo, il ccnl torna a essere centrale nel nostro sistema di relazioni industriali. Cosa ha determinato un cambiamento così deciso della vostra posizione?

Albini Non sono del tutto d’accordo sul passato e non sarei così ottimista sul futuro. Confindustria non ha affatto cambiato la propria linea di pensiero e questo accordo interconfederale ne dà, ancora una volta, una chiara testimonianza. Ancor prima del Testo Unico sulla rappresentanza, la nostra linea di azione è sempre stata diretta ad affermare l’autonomia delle relazioni sindacali, che si difende però solo nella misura in cui si è in grado di dare certezza ed esigibilità alla contrattazione collettiva. Sul rapporto fra legge e contratto, sugli assetti della contrattazione collettiva, sul decentramento virtuoso e sul legame fra salari e produttività, la coerenza delle posizioni di Confindustria mi pare del tutto evidente e, come detto, viene confermata anche in questa intesa.

Rassegna E per quanto attiene alle prospettive future?

Albini Non bisogna cadere nell’errore di credere che l’accordo abbia, per il solo fatto di essere stato raggiunto, risolto tutti i problemi. Anzi, è adesso che bisogna mettersi al lavoro per creare proprio quelle condizioni in grado di permettere alla contrattazione collettiva di assolvere il compito tradizionale che l’ordinamento le ha sempre assegnato e, nel contempo, prepararsi a dare seguito, quanto più rapidamente possibile, alle indicazioni che, ora, il nuovo accordo interconfederale delinea. Raggiungere questo risultato in tempi ragionevoli potrà evitare un intervento della legge sui temi della contrattazione e dei salari o, nella peggiore delle ipotesi, potrà essere utile, quantomeno, per offrire al legislatore un punto di riferimento condiviso.

Rassegna Per la prima volta la misurazione della rappresentanza viene definita anche per la parte datoriale. Che cosa ha impedito di raggiungere prima questa importante novità, che avrebbe potuto evitare nel corso degli anni il proliferare di accordi al ribasso (il cosiddetto dumping contrattuale), con i conseguenti danni in particolare al mondo del lavoro, e cosa fare adesso per evitare che l’obiettivo rimanga lettera morta?

Albini La misura della rappresentanza, l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi e il dumping contrattuale sono tre questioni differenti, anche se intrecciate fra loro. Per portarle a sintesi, in coerenza con i principi della Costituzione, servirebbe un’intesa fra tutti gli attori, per poi chiedere e, sperabilmente, ottenere una legge di sostegno che ne recepisca i contenuti. Per molti anni il sistema della contrattazione collettiva è stato in grado di dare un governo a questa situazione, assolvendo il proprio compito e garantendo la sua tradizionale funzione di regolatore dei rapporti di lavoro e della competizione fra le imprese. Ora, invece, fenomeni di dumping contrattuale, sempre più diffusi e sempre più debolmente contrastati, mettono in discussione non tanto l’esistenza di un sistema di contrattazione collettiva, quanto piuttosto l’efficacia della sua funzione, che da sempre è affidata, in particolare, ai contratti collettivi nazionali di lavoro. La moneta cattiva, in altri termini, rischia di scacciare quella buona ed è quindi necessario porvi rimedio. Il problema del dumping contrattuale, però, non si risolve affatto con la semplice misurazione della rappresentanza. Se anche conoscessimo il grado di rappresentatività di ogni singolo soggetto stipulante un contratto, non si otterrebbe nulla contro un fenomeno di tale portata.

Rassegna Cosa si dovrebbe fare in concreto?

Albini Si dovrebbe piuttosto affrontare l’annosa questione dell’efficacia generalizzata dei contratti collettivi, che passa certamente per la misura della rappresentanza, ma a cui deve fare riscontro una legge, meglio se “contrattata”, che riconosca la qualifica di contratto di riferimento solo a quel contratto collettivo nazionale di categoria stipulato fra chi è espressione della maggioranza delle imprese e dei lavoratori del settore. Per questo motivo non penso sia corretto sostenere che la mancata misurazione della rappresentanza abbia favorito un fenomeno come quello del dumping contrattuale. Ottenere la misura della rappresentanza delle parti stipulanti un contratto collettivo consente, semplicemente, di determinare “chi rappresenta chi” in un dato perimetro. L’efficacia dei contratti e, quindi, il contrasto ai contratti in dumping sono una seconda e ben più delicata questione. Purtroppo, conseguire il primo risultato, cioè disporre della misura della rappresentanza delle parti stipulanti un accordo, non è sufficiente per ottenere anche il secondo obiettivo, che inevitabilmente può essere garantito o dall’univoca e unanime decisione di tutte le parti in causa di rispettare gli accordi condivisi, oppure attraverso una specifica norma di legge.

Rassegna Un’altra importante novità dell’accordo è rappresentata dalla decisione di adottare un modello contrattuale “flessibile”, affidato all’autonomia delle categorie. Che giudizio ne dà?

Albini L’accordo propone un modello più flessibile rispetto a quello che abbiamo condiviso in passato, semplicemente perché le situazioni di contesto sono cambiate e, quel che più conta, cambieranno ancora. A ciò si aggiunga che la contrattazione collettiva si trova ad affrontare situazioni molto differenti nei diversi settori e la strumentazione, quindi, deve essere più duttile e adattabile. L’accordo, quindi, non porta a sintesi una soluzione di compromesso fra posizioni diverse, ma piuttosto indica una nuova direzione alla contrattazione collettiva, con nuovi spazi di manovra, perché ogni settore possa trovare il proprio equilibrio. Questa mi pare una prima significativa novità: l’accordo traccia linee di indirizzo entro le quali le categorie avranno maggiore libertà, ma anche più responsabilità nel declinarle. Un secondo elemento di novità è, senza dubbio, rappresentato dalla maggiore flessibilità che l’accordo offre alla definizione delle politiche di settore.

Rassegna Allude all’introduzione dell’istituto del Tec, il Trattamento economico complessivo?

Albini Sì, il Tec consente una flessibilità su misura per ogni settore. Ogni contratto – nel fissare il trattamento economico comune a tutti i lavoratori – potrà valorizzare gli elementi salariali piuttosto che il welfare contrattuale e bilanciare al meglio i pesi della contrattazione nazionale con quelli del secondo livello. In questo modo ogni settore potrà favorire a modo suo il decentramento della contrattazione e incentivare la crescita dei salari – che è un obiettivo dell’accordo – attraverso il collegamento con la produttività e la redditività aziendale. Una terza importante novità viene infine dal Tem, il Trattamento economico minimo. I contratti nazionali di categoria, a partire dal protocollo del 1993, hanno operato principalmente, se non esclusivamente, facendo crescere i minimi tabellari in ragione di un indice di inflazione. Questo accordo, invece, sposta l’enfasi dal Tem al Tec e – pur prevedendo la possibilità che, nell’arco di vigenza del ccnl, vi possa essere una dinamica ancora riferita all’Ipca – invita a considerare il Tem soprattutto per le opportunità che potrebbe offrire nella dialettica con un eventuale salario minimo legale, ovvero nella prospettiva, non del tutto peregrina, che il dumping contrattuale lo si debba contrastare anche in futuro solo con la contrattazione collettiva. In quest’ottica, se il legislatore vorrà continuare ad affidare ai ccnl la regolazione dei salari e della concorrenza fra imprese, non potrà fare altro che combattere i contratti in dumping subordinando alla rigorosa applicazione del contratto di riferimento la partecipazione agli appalti pubblici e ogni forma di agevolazione, fiscale o contributiva, rivolta alle imprese.