“Siamo qui per festeggiare una legge che abbiamo ottenuto: lo abbiamo fatto attraverso un lungo viaggio per l'Italia, parlando con lavoratori e pensionati per raccogliere le firme. Abbiamo detto loro che non bisogna essere rassegnati e tornare a determinare il proprio futuro”. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nel suo intervento che ha concluso la manifestazione nazionale a Roma in piazza San Giovanni Bosco. “Abbiamo vinto – ha aggiunto - perché c'è stato il lavoro di tutti gli attivisti, iscritti e militanti: grazie a coloro che hanno firmato, sono stati nelle piazze e ci hanno creduto. Oggi diciamo che si può cambiare questo paese, riscrivere le leggi che non vanno bene e ridare dignità al lavoro. Questo risultato straordinario lo dobbiamo anche all'unità della nostra organizzazione. Abbiamo tenuto la barra dritta, è una grande vittoria collettiva”.

Nel viaggio per le strade dell'Italia, ha spiegato il segretario, “abbiamo capito che si vuole uscire dalla rassegnazione. Abbiamo ridotto le distanze con le persone che si ritrovano sole nel mercato del lavoro, poveri e precari, siamo stati nei territori tra la gente, uscendo dai luoghi tradizionali: siamo andati fuori dai palazzi e non ci vogliamo tornare, continuiamo a stare nelle periferie e nei luoghi di lavoro”.

LEGGI ANCHE Cgil in piazza, la voce dei lavoratori
FotoS.Caleo, M.Merlini
Scacchetti: la nostra sfida continua
La lettera: perché scendo in piazza

Il 6 maggio è una festa che segna la tappa di un percorso: “È iniziato un cammino che ci porterà alla Carta dei diritti universali del lavoro – così Camusso -: abbiamo cancellato una legge che portava precarietà, favorendo l'irresponsabilità delle imprese sugli appalti. Oggi si riparla di lavoro: quello vero, di cui le persone vivono, che non è nei risultati del Jobs Act ma nella realtà quotidiana di tutti”. Oltre alla legge che traduce i quesiti referendari, “due mesi fa abbiamo ottenuto la legge sul caporalato. Ora i voucher sono aboliti, ma la priorità continua ad essere la cancellazione della precarietà. C'è tanto precariato di lunghissimo periodo, anche nel settore pubblico che è l'ossatura dello Stato”.

La situazione del paese non sta migliorando. “I dati sulla disoccupazione dicono che siamo agli ultimi posti dell'Unione europea, soprattutto per i giovani senza lavoro. Al governo chiediamo: quanti posti si potevano creare con i 18 miliardi spesi in decontribuzione? Anche i pensionati, dopo una vita di lavoro, non possono riposarsi ma sono costretti a garantire la sussistenza di figli e nipoti”. In questo scenario, per Camusso, “il Jobs Act ha portato la moltiplicazione dei licenziamenti individuali e collettivi. La dignità dei lavoratori deve essere dignità di tutti, non solo di una parte, e allora al lavoro povero, incerto e frantumato dedichiamo l'articolo 1 della Carta dei diritti. Partiamo da loro per cancellare la marginalità nel mercato del lavoro”.

Camusso ha poi ribadito che la battaglia sull’articolo 18 non è finita: “Non crediate che ci abbiamo rinunciato, continueremo andando in Europa, a partire dalla Carta dei diritti sociali, e ci impegneremo nella contrattazione per mantenere aperta la questione”. Qualcuno, ha detto, “pensava che vinti i referendum ci saremmo fermati. Non è così, non è una parentesi, ma l’inizio di un percorso che ci deve portare alla Carta”. Finalmente, la Carta è stata incardinata alla Camera: “Ebbene da questa piazza chiediamo di nuovo: la discussione deve cominciare davvero”.

Il segretario della Cgil si è poi soffermato sul tema della rappresentanza, attaccando anche le idee del M5S: “Uno non vale uno, il datore è quello che ti dà il lavoro, non è sullo stesso piano del lavoratore. Avevano detto che volevano cambiare tutto, ma in questo sono ben poco originali”. Invece, occorre misurarla davvero la rappresentanza, “applicando finalmente la Costituzione e anche per le controparti”. Il leader della Cgil ha poi abbracciato metaforicamente tutti i lavoratori “in lotta per il rinnovo del contratto, a partire dal terziario e dai settori pubblici. Poi bisogna cambiare la norma sugli 80 euro: “se rimane così diventa una tassa contro la contrattazione, non degna di un paese democratico”.

Insomma, bisogna cambiare segno e direzione alle politiche di questo governo e se qualcuno sostiene che non ci sono risorse, ha detto la sindacalista, “vorrei ricordare i 50 miliardi di corruzione, l’evasione. E poi bisogna tassare le grandi ricchezze per finanziare un piano straordinario per l’occupazione giovanile, magari anche con una dignitosa tassa sulle successioni: in tutta Europa queste cose ci sono e funzionano”. Così come occorre ripartire sulle pensioni: “Il governo non solo non riesce a fare i decreti ma non ha idee. Ribadiamo: bisogna avere una pensione di garanzia per i giovani e dare una prospettiva da chi lavora da tanti anni e non ce la fa più”.

Poi un passaggio sul ddl sulla legittima difesa. “La moltiplicazione di armi non porterà certo alla diminuzione dei femminicidi, anzi rischia di aumentarli. Il progresso della civiltà non è mai segnato dall'uso di armi, ma dal cambiamento dei costumi e delle condizioni delle persone”. A proposito di armi, “dobbiamo rialzare le nostre bandiere della pace: torniamo in piazza per dire stop alle guerre, non ci piace un mondo che fa la gara alla bomba più bella”.

Camusso ha quindi concluso: “La nostra oggi è una festa, per un grande risultato raggiunto, ma è anche un programma di mobilitazione: una festa che ci carica di energia e forza per andare avanti e dire che non smobilitiamo”.

A cura di Emanuele Di Nicola e Stefano Iucci

LEGGI ANCHE:
Cgil in piazza, la voce dei lavoratori
FotoS.Caleo, M.Merlini
Scacchetti: la nostra sfida continua
La lettera: perché scendo in piazza