Nuovo appuntamento di ‘Quadrato rosso. La formazione va in rete’, la trasmissione di RadioArticolo1, e di ‘Conoscenza&organizzazione’, la rubrica di Rassegna sindacale. it. Stavolta, al centro dell’attenzione c’è il programma formativo del patronato Inca Cgil.

 

“Per noi, la formazione è sempre più essenziale. Per questo, abbiamo organizzato un fittissimo piano di formazione sia di base che su temi particolari – spiega Claudio Di Berardino, dell’Inca nazionale –. Abbiamo bisogno di far valere i cosiddetti diritti inespressi di tutta quella moltitudine di lavoratori precari che ne sono privi. Che rappresentano ormai la maggioranza del mondo del lavoro. Dobbiamo trovare il modo di far venire fuori i diritti e che i nostri operatori diano le risposte adeguate. In una fase in cui cambiano esigenze e problematiche, dobbiamo essere pronti, perchè le persone hanno bisogno di risposte precise e la formazione continua ad essere basilare per una strutture centrale di servizi individuali come l’Inca. Diritti conosciuti, diritti nascosti, nuovi diritti. Abbiamo una società che cambia nei ruoli, nei comportamenti e quindi cambia anche la necessità di acquisire diritti. Ad esempio, quando si parla di maternità, si parla del coinvolgimento non solo della donna, ma dell’intera famiglia. Dobbiamo far uscire il diritto che non si conosce; così avviene anche con il diritto del lavoro, sempre più isolato, soprattutto con la crisi. Dobbiamo ricercare la motivazione, da parte dei nostri operatori, perché bisogna unire le tante individualità dentro un progetto di tutela più complessivo”.

Sostiene Giancarlo Pelucchi, responsabile formazione Cgil nazionale. “Siccome cambiano i tempi, molte persone non sanno neanche di averli certi diritti. Ci sono diritti nascosti e inespressi. E in questo, gli operatori Inca cercano di far conoscere tutti i diritti. In passato c’era una distinzione netta, ma oggi il patronato fa un’azione sindacale molto più decisa. Per molti di quei lavoratori questa è l’unica azione sindacale che incontrano, ma che non è l’unica a disposizione. L’obiettivo degli operatori resta l’iscrizione al sindacato, m anche far sapere alle persone che i loro diritti sono più ampi”.

Da circa tre anni, Giordana Ruzzolini, è un’operatrice dell’Inca di Vicenza. “Ho partecipato a un processo di formazione. Ricopro un ruolo delicato, dal lato sociale e normativo. Ho seguito il corso base della durata di un anno ed è stata un’esperienza straordinaria. Al di là delle nozioni tecniche, ho appreso la capacità dove cercare e mettere assieme più elementi di materie diverse. Spesso, chi viene da noi, non conosce i propri diritti e tutele. Noi mettiamo assieme più pezzi di tutela per dare ai nostri interlocutori un’assistenza completa. Dal punto di vista umano, c’è la capacità di fare rete con gli altri, e quindi una possibilità di crescita continua e questo è essenziale per la riuscita del nostro lavoro. Spesso le richieste ai nostri sportelli sono di persone in grande difficoltà. Io opero da sola in ufficio, ma la realtà del corso base ti fa capire che non sei più solo, e questo ti dà la forza di confrontarti con gli altri e di vedere le cose in modo diverso. Tutta una serie di operatori Inca si muovono in un’unica direzione per fare tutela e questo ci dà una forza molto diversa”.

Invece, Luca Proietti fa parte dell’Inca di Spoleto. “In Umbria, la situazione non è delle migliori dopo il terremoto. Sul nostro lavoro l’impatto c’è, così come c’è preoccupazione, ma si cerca di andare avanti, dando una priorità agli sportelli alle persone colpite dal sisma. Sto partecipando a un percorso per la tutela del lavoro agricolo in materia di previdenza, e poi faccio un percorso di tutoraggio. Per il nostro lavoro, la formazione è basilare, e se non è adeguata, non è possibile svolgere al meglio la nostra attività. Dopo il corso base, che è stato lungo, sono passato a una specializzazione. Le competenze adeguate sono fondamentali e questa esperienza mi ha dato modo di vedere l’altra faccia della formazione, ovvero come si prepara un corso e la mole di lavoro che c’è, a livello generale, delle singole strutture e dei singoli operatori”. 

“Abbiamo articolato il nostro progetto formativo su più livelli – precisa Di Berardino –. Oltre al corso base, c’è quello intermedio, la formazione specialistica e poi il percorso per diventare tutor. Questo, per ampliare le conoscenze e fornire strumenti per andare incontro ai bisogni inespressi, e nel contempo rafforzare le motivazioni dei nostri operatori in un lavoro di gruppo e interscambio, tra ufficio vertenze, caf e un lavoro nel territorio con lo spi e con le categorie degli attivi. Una formazione che deve sviluppare degli elementi di gruppo, Abbiamo bisogno di rafforzare il lavoro del noi e non solo dell’io. Nel contempo, abbiamo bisogno di una formazione a grappolo, capace di estendersi per realizzare un programma sempre più diffuso. Formazione significa quantità e qualità di servizio, vuol dire realizzare un vero e proprio investimento per il futuro. Da tale punto di vista, c’è bisogno anche di una formazione e di una diffusione degli operatori”.

“Quello dell’Inca è un percorso circolare, fatto di corsi di formazione per delegati, ma anche per gli stessi operatori. il patronato si occupa di materie che cambiano in continuazione, con provvedimenti legislativi messi a punto direttamente contro gli stessi patronati. Cambia la domanda di tutele sindacali, che s’intreccia sempre più con i bisogni individuali. L’Inca ha una scuola formativa molto potente e ci mette un po’ di militanza. Sollecita i propri operatori, dicendo loro: non devi fare bene solo il proprio lavoro, perchè chi si rivolge a voi non sa nulla, spesso non sa neanche parlare, ma devi provare a costruire un circuito di crescita professionale, per creare un filo rosso di relazione e conoscenza importante. La tutela individuale da patronato e la tutela del lavoratore, dove il lavoro è precario e magari non ci sono più neanche colleghi di lavoro. L’Inca ha un approccio diffuso e più approfondito e riesce a dialogare con le altre categorie. A noi Cgil c’interessa la contrattazione tradizionale, con una controparte datoriale, ma c’interessa anche rispondere e intercettare i bisogni di tutte quelle persone che non incontrano più la struttura della fabbrica, che sono diventate addirittura invisibili, che lavorano magari negli appalti, avendo a che fare con imprese sempre più piccole e frammentate, che hanno sempre meno diritti, e che proprio per questo si rivolgono sempre più spesso a noi, in quanto non tutelate”, conclude Pelucchi.