Eurofound, l’organismo dell'Unione europea istituito nel 1975 per contribuire alla pianificazione e all'instaurazione di “migliori condizioni di vita e di lavoro”, ha pubblicato i risultati di una ricerca sui programmi di pensionamento parziali in Europa (in altre parole, l’accesso flessibile e graduale alla pensione ai fini del cosiddetto invecchiamento attivo) e, in particolare, su come questi possono contribuire a rendere i sistemi previdenziali nazionali “sostenibili e adeguati, incitando e motivando le persone a estendere la loro vita lavorativa”.

Si tratta in pratica di una mappatura dei sistemi pensionistici nazionali in vigore nell’Ue e in Norvegia, e soprattutto di un’analisi del loro impatto sul prolungamento della vita lavorativa, condotta sulla base di una revisione della letteratura esistente e di studi di casi ed esperienze pratiche in alcuni Paesi con regimi di pensionamento parziale (Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia).

Principali risultati
Secondo Eurofound, in molti Stati membri dell'Ue le riforme hanno già migliorato la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici, ma le misure di congelamento e di riduzione delle prestazioni pensionistiche ne hanno ridotto l’adeguatezza, così come l’aumento dei contributi previdenziali ha generato una pressione negativa sui redditi e soprattutto sui salari. Eurofound fa notare anche che gli aumenti dell’età pensionabile non raggiungono quasi mai l’effetto desiderato di scoraggiare il pensionamento anticipato e di aumentare l’età effettiva della pensione. Molte persone non sono infatti in grado di lavorare fino all’età pensionabile obbligatoria, o comunque non desiderano farlo. Secondo Eurofound, sarebbero più efficaci a questo fine altre misure di incoraggiamento, come la promozione della salute, l'apprendimento permanente, il miglioramento della qualità del lavoro e, soprattutto, la riduzione dell'orario di lavoro.

Nell’Ue, quasi la metà (45%) dei lavoratori cinquantenni e oltre preferirebbe “lavorare meno ore”, tenendo conto delle loro esigenze di reddito. Questa percentuale varia da paese a paese: 27% in Slovenia, 28% in Romania e 30% a Malta, fino ad arrivare al 50% in Svezia, Italia e Spagna, e al 53% nella Repubblica Ceca. In tutti i Paesi, la percentuale di persone che preferiscono invece “lavorare più ore” è sempre più bassa (11% globale nell'Ue). In media, il 44% dei lavoratori ritiene che l’attuale regime orario di lavoro soddisfi già a sufficienza le loro preferenze (44%).

Dal punto di vista dei lavoratori, la principale barriera alla riduzione delle ore è la conseguente perdita di reddito. Dei sistemi di pensionamento parziale potrebbero, secondo Eurofound, ridurre questa barriera, sostituendo almeno una parte della perdita di reddito con una prestazione previdenziale parziale. Dall’analisi comparativa condotta da Eurofound, risulta che oltre la metà degli Stati membri dell'Ue, Norvegia compresa, ha un qualche sistema di pensionamento parziale. E già nel 2011 un’altra ricerca aveva dimostrato che quasi due terzi dei cittadini dell’Unione (65%) preferiscono “combinare un lavoro part time con una pensione parziale piuttosto che un pensionamento completo” (Eurobarometro, 2012).

Tuttavia, nessun regime pensionistico è stato identificato in modo univoco come idoneo a estendere la vita lavorativa in modo generalizzato. In questo senso, il pensionamento parziale risulta efficace soprattutto per alcuni gruppi specifici, in particolare le persone con problemi di salute o disabilità, oppure quelle con responsabilità di cura o ancora coloro che svolgono lavori pesanti fisicamente o mentalmente. Va però detto che, a livello aggregato, la riduzione delle ore lavorative facilitata dal pensionamento parziale supera in genere l'aumento delle ore derivanti dall’allungamento della vita lavorativa.

Le scelte individuali di riduzione o meno dell’orario di lavoro dipendono soprattutto dai regimi in vigore, e variano quindi considerevolmente da un Paese all’altro. Alcuni dati di Eurofound sulle persone di età compresa tra 55 e 69 anni mostrano che la percentuale di coloro che hanno ridotto il proprio orario di lavoro all’avvicinarsi dell’età della piena pensione è molto più alta nei Paesi Bassi (21%), Finlandia (18%), Belgio e Svezia (entrambi 17%), mentre è inferiore al 3% in altri Paesi, come Italia, Germania, Spagna e Ungheria (vedi grafico).

Orientamenti e raccomandazioni
I tassi di adesione ai regimi di pensionamento parziale, in sé, dicono poco circa l'efficacia di una simile misura. Un alto tasso può significare che il sistema sta funzionando bene, ma anche che il regime è eccessivamente attraente, così come un tasso troppo basso può voler dire che il sistema non è ben mirato. Il ritiro parziale dal lavoro dovrebbe essere più attraente rispetto al pieno pensionamento anticipato, ma ciò non toglie – sempre secondo Eurofound – che il lavoro a tempo pieno dovrebbe essere ancora incoraggiato e sostenuto.

Il pensionamento parziale può prolungare la vita lavorativa per alcuni gruppi, ma è probabile che accorci la vita lavorativa per altri. In particolare, i lavoratori a basso salario hanno maggior bisogno di una riduzione dell'orario di lavoro, ma non possono permettersi ulteriori diminuzioni del loro reddito, anche se la perdita di salario è in parte compensata. Molti sistemi di pensionamento sono quindi usati più dai gruppi socio-economicamente più avvantaggiati, il che solleva preoccupazioni circa l'equità di tali regimi, in particolare quando questi sono finanziati con soldi pubblici.

È ingiusto che alcuni regimi non siano accessibili alle persone anziane che già lavorano a orario ridotto (molti dei quali sono donne) o alle persone disoccupate o inattive che iniziano a lavorare part time. Il pensionamento parziale può impedire o limitare la disoccupazione, e questo non soltanto quando i datori di lavoro utilizzano il pensionamento parziale involontario per ristrutturare la loro forza lavoro.

Questa ricerca – conclude Eurofound – dimostra che si può imparare molto dall'esperienza passata, ma è importante essere consapevoli dei cambiamenti e dei diversi contesti. I decisori politici dovrebbero anche prendere in considerazione l'impatto che il pensionamento parziale può avere sulla qualità della vita e della società: una flessibilità ragionata consente infatti maggiore allineamento delle scelte individuali in materia di pensione con le preferenze dei lavoratori, e facilita la partecipazione delle persone alla vita della società, alle attività di volontariato e agli impegni di cura.

Gli innalzamenti dell’età pensionistica fanno nascere nuovi bisogni, e spingono le persone a usare misure che consentano loro di continuare a lavorare fino all'età di pensione obbligatoria. I datori di lavoro e i responsabili politici devono rendere questo passaggio più facile. Non solo: il lavoro a tempo parziale è sempre più diffuso in tutta l'Ue, il pensionamento parziale può quindi diventare uno strumento utile e facile da implementare.

Anche quando il pensionamento parziale non estende la vita lavorativa, esso resta una valida pista per evitare, al contrario, che la durata della vita di lavoro si riduca, mentre la speranza di vita si allunga sempre più. Il pensionamento parziale può anche consentire alle aziende di mantenere in esercizio la conoscenza e l’esperienza dei lavoratori più anziani, anche se part time. Mentre anche la produttività del lavoro può crescere riducendo il numero di ore lavorative.

Per saperne di più:
Testo integrale del rapporto Eurofound Extending working lives through flexible retirement schemes: Partial retirement (disponibile soltanto in inglese)

Carlo Caldarini è direttore dell’Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa