Tagli, risparmi e dismissioni, tutti riversati sul lavoro. È questo il tratto del piano industriale triennale varato ieri da Unicredit, tutto incentrato su di una progressiva e costante riduzione dei costi operativi, scaricati ancora una volta sui lavoratori. Il documento strategico del gruppo di piazza Cordusio prevede infatti una fuoriuscita nel triennio di 18.200 esuberi, tra Italia ed estero, portando così l’organico complessivo a 111 mila dipendenti, insieme alla cessione di asset ritenuti non “core”, per generare risparmi pari a 1,6 miliardi di euro e utili (in prospettiva a fine piano) di 5,3 miliardi.

Dopo il rincorrersi di voci e indiscrezioni abbiamo quindi l’ufficialità di un piano che, nelle parole dell’ad Federico Ghizzoni, viene ritenuto essere “ambizioso, ma soprattutto realistico”. Abbiamo chiesto al segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale, se è dello stesso parere.

Rassegna Come definiresti in estrema sintesi il nuovo piano industriale di Unicredit?

Megale Un piano che non consente ancora di individuare la giusta prospettiva e rischia di agire solo sul lavoro.

Rassegna Cosa contesti nello specifico della strategia di Ghizzoni?

Megale L’idea, che riteniamo inaccettabile, di pensare di scaricare i costi del risanamento sui lavoratori, attraverso il taglio dell’occupazione. A maggior ragione non si può ipotizzare un ulteriore percorso di esternalizzazione, senza che ci sia un negoziato alla base.

Rassegna Quale dovrebbe essere il centro di questo negoziato?

Megale Bisognerà valutare l’impatto dell’intero piano industriale sull’occupazione e, allo stesso tempo, confermare il carattere assolutamente volontario delle uscite, verso il fondo di tutela e sostegno del reddito e dell’occupazione. Ma allo stesso tempo vogliamo che il gruppo abbia una prospettiva, per questo bisognerà porsi l’obiettivo di prevedere, sempre nel triennio, un piano di ingresso di giovani.

Rassegna Nel dettaglio, cosa prevede il piano Unicredit sul fronte del lavoro?

Megale Si aggiungono ulteriori esuberi a quelli già annunciati precedentemente. Per stare solo al panorama italiano, visto che il piano prevede fuoriuscite anche nelle ramificazioni estere della banca, le nuove uscite saranno 540, che si aggiungono ai 5.100 esuberi annunciati lo scorso anno. Di questi 2.400 sono già usciti, ora andranno gestiti i nuovi 3.200. Il tutto, come ti dicevo, rispetto a un panorama europeo del gruppo in cui gli elementi di difficoltà e drammaticità, penso a Germania e Austria, vedono impegnati i sindacati di quei paesi, con un sostegno pieno e attivo dello stesso Comitato aziendale europeo.

Rassegna Oggi, in un’intervista a La Repubblica, Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, dice a proposito del piano di piazza Cordusio che “i sindacati italiani per lo più non sono attrezzati a gestire esuberi e piani industriali”. Come rispondi?

Megale Che sbaglia ancora una volta. È unanimemente riconosciuto che il sindacato e il sistema di relazioni industriali nel credito sono tra i più forti al mondo. Abbiamo riconquistato il contratto nazionale e gestito in questi sette anni di crisi circa 48 mila esodi volontari tramite il fondo di sostegno al reddito e all’occupazione, oltre ad aver costruito il fondo per l’occupazione giovanile, che ha permesso l’ingresso ad oltre 10 mila giovani negli ultimi sei anni. Per questo, non volendo pensar male, credo che il mio amico Pietro non conosca il settore e quindi farebbe bene a documentarsi.