In Spagna sono giorni di passione per la formazione delle maggioranze nelle assemblee amministrative e per l’investitura di presidenti e sindaci e dei governi regionali e municipali, in uno scenario di costruzione di alleanze tra pari, inedito per la democrazia di quel paese.

Partiamo dal successo di Podemos, il movimento nato nel maggio del 2011 che un anno fa si è fatto partito con il programma di cambiare la politica spagnola. Le sue liste, spesso in coalizione con partiti e associazioni di base locali, ottengono grandi successi in città come Barcellona, Madrid, Saragozza, Valencia, Cadice e Santiago. In coalizione con il Psoe potrà governare città e regioni.

In Italia si descrive Podemos come un’incognita, una lista populista, chavista e grillina che non ha ceto in grado di governare. Non è così. Il populismo si esaurisce nella retorica della casta, inventata in Italia e di grande successo anche in Spagna, ma alla crisi dei partiti e della democrazia rappresentativa Podemos reagisce non chiedendo semplificazioni del processo democratico, ma apertura del sistema politico e maggiore partecipazione, fine della cooptazione, anziché leaderismo rottamatore.

Il movimento di Pablo Iglesias si è fatto partito aperto per cambiare la politica e i partiti, non movimento padronale e verticistico come i 5 Stelle. Il passaggio da denuncia e rivendicazione alla gestione dei conflitti e dell’amministrazione è un compito irto di incognite, peraltro già iniziato, anche a prezzo di tensioni e abbandoni, ma che si poggia sull’ossatura di quella estesa rete civica di associazioni di vicinato e movimenti locali che costituiscono da sempre, anche durante il franchismo, la spina dorsale della società civile spagnola, ben più delle organizzazioni dei partiti e dei sindacati.

Il volto simbolo della nuova politica è Ada Colau. Fondatrice della Piattaforma vittime dell’ipoteca (Pah), che si è opposta alle espropriazioni da parte delle banche delle case acquistate coi mutui, possibili dopo pochi ritardi nei pagamenti, aiutando soprattutto quella piccola borghesia proprietaria in affanno per la crisi economica e la perdita di lavoro. Ora, i responsabili della sicurezza catalana che organizzavano gli sgomberi e le requisizioni e che più volte l’hanno fatta manganellare se la ritrovano come senyora alcaldesa di Barcellona.

Manuela Carmena, a Madrid, rappresenta invece la continuità con la storia della sinistra spagnola e le istituzioni democratiche. Fondatrice dello studio di avvocati del lavoro scenario della strage di calle Atocha, nella quale nel 1977 vennero uccisi a colpi di mitragliatrice cinque giuslavoristi del sindacato e del Partito comunista, evento chiave di volta della legalizzazione del Pce e della costruzione della Transizione spagnola, è stata giudice costituzionale in quota Iu ed è riuscita a mobilitare gli elettori di sinistra in una città da anni bastione del Pp.

L’altro partito nuovo, Ciudadanos, ha ottenuto buoni risultati, ma al di sotto delle aspettative. Solo nella Comunità di Madrid, può essere determinante per permettere ai popolari di restare al potere tramite un’alleanza, mentre in molti municipi è la terza forza. Quasi certamente ha pagato il fatto di essere destinato ad allearsi con i popolari, ricoprendo il ruolo di predestinata stampella del potere del centrodestra, malgrado gli slogan su rinnovamento e la lotta alla corruzione.

Il partito del presidente del governo, Mariano Rajoy, è il grande sconfitto di questa tornata di elezioni amministrative. Il fatto di essere ancora il primo per numero di voti non nasconde la realtà di una perdita di potere reale che pareva inimmaginabile. In Estremadura, Castilla-La Mancha e nella Comunità Valenziana, Ciudadanos non ha i voti per aiutare nella formazione di governi di centrodestra. Al Pp restano Castilla y León, La Rioja, Murcia e Cantabria.

Sconfitte anche le figure forti del partito. Esperanza Aguirre a Madrid e Rita Barberá a Valencia, malgrado guidino le liste più votate, rischiano di perdere la poltrona di sindaco. Mentre la segretaria generale del partito María Dolores de Cospedal non ha abbastanza seggi in Castilla-La Mancha; lo stesso dicasi per Alberto Fabra, nell’ex roccaforte della Generalitat valenciana.

L’impegno personale di Rajoy in campagna elettorale non è bastato, come la rivendicazione del miglioramento delle condizioni dell’economia propagandata in ogni modo dal governo. In più, la corruzione che travolge da anni il partito ha presentato il conto. A questo proposito, sbagliano i giornali italiani a mettere sullo stesso piano Pp e Psoe, perché confondono gli episodi di corruzione locale che hanno coinvolto i socialisti con lo spaventoso sistema di accumulazione di fondi neri che per 30 anni ha finanziato correnti e stipendi per tutti i maggiori dirigenti nazionali dei popolari, scandali che le inchieste giudiziarie stanno portando alla luce. Per il Pp si apre ora un periodo di grande incertezza e i mesi che ci separano dalle elezioni generali di novembre rischiano di essere all’insegna di feroci lotte intestine.

Veniamo dunque al Psoe, che perde voti, ma non troppi, torna primo partito nel voto municipale, e può rivendicare una tenuta che fa bene al morale. Un paio di punti in meno e la mantenuta leadership nella sinistra fanno tirare un sospiro di sollievo, ma non possono nascondere il fatto che a Barcelona, Madrid, La Coruña, Santiago e Cadice è finito dietro a Podemos con la metà dei suffragi. I socialisti sono la prima forza nelle Asturie e in Estremadura, e possono recuperare dopo decenni, con accordi a sinistra, i governi di Valencia, Castilla-La Mancha, Aragona e delle Baleari.

Il risultato dei partiti nuovi condanna alla marginalità e quasi alla scomparsa Izquierda unida (Iu), assorbita da Podemos, mentre la Unión Progreso y Democracia ha sofferto la concorrenza di Ciudadanos. Ma se Iu resiste in alcuni municipi, la UPyD, fondata dalla ex socialista Rosa Díez in polemica con le politiche di decentramento del Psoe, è sull’orlo della scomparsa.

Lo sfondamento di Podemos e delle sue liste riporta al centro della politica spagnola le tematiche legate all’economia e al lavoro, ricreando una dialettica destra-sinistra che marginalizza di fatto i nazionalisti. Se i baschi del Pnv reggono bene, recuperando anzi posizioni rispetto alla sinistra radicale nazionalista di Bildu (che perde verso le liste locali affini a Podemos), in Catalogna le cose vanno molto diversamente. Non solo Convergencia i Uniò perde voti e potere, ma anche la Esquerra republicana (Erc) esce ridimensionata dal voto di domenica, pesantemente sconfitta da Podemos, ma anche dai socialisti catalani.

Facendo le somme, possiamo dire che si apre un periodo fecondo e incerto per la politica spagnola. Senza maggioranze assolute, i partiti saranno costretti a costruire alleanze di governo. Non sarà facile, ma il segnale che viene dalle urne e il mandato ai partiti di sinistra è un forte richiamo alla responsabilità. Il fatto poi che a novembre si voterà per il Parlamento nazionale rende il momento ancora più delicato. Socialisti e Podemos dovranno affrontare a breve un voto che dovrà decidere della supremazia a sinistra.

I popolari, invece, arriveranno al voto senza quell’apparato di potere locale in buona parte smantellato dagli scandali. Hanno perso molti voti non solo a beneficio di Ciudadanos, ma anche penalizzati dall’astensione. Se le sinistre sono riuscite a mobilitare vecchi e nuovi elettori, il Pp ha perso entrambi. La tentazione di trovare un sostituto di Mariano Rajoy per le prossime politiche potrebbe aprire una fase difficile per il Pp, che si aggiungerà alle inchieste dei magistrati sulla corruzione.

È presto per dire se il voto del 24 maggio sancisce per sempre la fine del bipartitismo spagnolo e delle maggioranze assolute, certamente è così per questa fase. Una fase in cui, sotto la spinta di una forte domanda di tutta la cittadinanza, da destra a sinistra, la politica deve rinnovarsi. Lo scenario rappresenta la reazione degli spagnoli alla crisi della “Spagna delle autonomie”, nata dalla Transizione dal franchismo alla democrazia, ma mette in luce anche le risorse civili e politiche di un paese che può sperimentare un rinnovamento peculiare e importante, un esempio da studiare, davanti alla crisi che travolge le democrazie rappresentative in tutta Europa.