"C’è chi dice che alla crisi economica si risponde con meno “pubblico”. E’ la risposta di austerity delle istituzioni monetarie, ed è la risposta del Governo italiano che prima di ogni altra cosa ha fatto cassa bloccando il turn over nella pubblica amministrazione, tagliando risorse per il lavoro a termine e tagliando fondi a sanità, enti locali, scuola e università. Così si decide di non scommettere sulle giovani generazioni e, insieme, di non scommettere sul lavoro pubblico: sulle tante e i tanti che hanno retto i servizi pubblici nel nostro paese. E lo hanno fatto da precari". E' quanto si legge in appello lanciato dai precari pubblici sul sito www.nonpiu.it.

"Noi diciamo altro – si legge ancora - Contro la crisi e il modello economico che l’ha prodotta ci vuole più intervento pubblico, più welfare, più scuola e più università. Ci vuole un Paese che non lasci sole le persone, un Paese capace di scommettere sulla conoscenza, sui suoi talenti e sulla sua dimensione comune e solidale. Il Governo ha scelto la prima strada, quella che disinveste sul pubblico, riduce i servizi, combatte la conoscenza. Che taglia infermieri agli ospedali, chiude asili pubblici, umilia i ricercatori e si arma della retorica dei fannulloni per far macerare nel brodo della precarietà migliaia di suoi lavoratori, mentre nello stesso tempo blocca i contratti di lavoro e nega diritti a tutti. E’ questo il prodotto dei tagli lineari, di concepire la politica del personale come una politica di tagli, dell’aumento dell’età pensionabile delle lavoratrici, di una riduzione degli organici che squalifica i servizi e toglie opportunità di lavoro".

Secondo i precari, quindi: "Di quel mondo che ha prodotto la crisi economica, di quell’ideologia che comprime la dimensione sociale a favore del privato, la precarietà è emblema. E qui risiede l’inaccettabile contraddizione del nostro Stato. Uno Stato che fabbrica precari. Che li spreme e li spreca contemporaneamente. Che chiede dedizione, extralavoro, sacrificio e poi li butta via. Siamo ricercatrici e ricercatori precari, siamo insegnanti non di ruolo, educatrici dell’asilo, infermieri, siamo quelli che supportano le aziende all’estero, siamo animatori dei centri per l’impiego, ispettori del lavoro, medici, siamo quelli che compilano le pratiche per le pensioni, assistenti sociali e operatori cooperative sociali, tutti con contratti a termine: a progetto o a tempo determinato. Siamo vincitori di concorso non assunti".

Siamo quelli che negli ultimi decenni hanno contribuito a tenere in piedi le scuole, le università e i servizi pubblici e siamo quelli che vogliono continuare a farlo con il massimo della passione e della competenza. Senza di noi chiuderebbero uffici, non si attiverebbero corsi di laurea, i bambini non avrebbero educatrici e i malati meno infermieri. Per questo non possiamo essere espulsi: togliendoci il lavoro si tagliano i servizi. Nè possiamo continuare a lavorare così: senza diritti, con contratti discontinui, senza riconoscimento, né protezione sociale in caso di licenziamento.

"Ci vuole un lavoro stabile e valorizzato per servizi stabili e di valore – conclude il testo - Per questo partecipiamo alla manifestazione dell’8 ottobre, al grido di "l’Ètat c’èst moi". Perchè non c’è bisogno della grandiosità del Re Sole per essere Stato. Il Pubblico siamo anche noi. Ci saremo per il nostro lavoro che è la scommessa di tutti. Un paese migliore". Per adesioni scrivere a: precari8ottobre@gmail.com