“Il testimone, omicidio di un sindacalista” è il titolo del libro di Paolo Andruccioli sulla storia di Guido Rossa, ucciso trent’anni fa a Genova per mano delle Brigate rosse. L’assassinio di Rossa, ricorda in una nota la casa editrice del libro (Ediesse), “è stata uno spartiacque nel percorso di sangue del terrorismo «rosso»: per la prima volta le pallottole brigatiste uccidevano un operaio, delegato del Consiglio di fabbrica, iscritto al Pci, accusato di essere una «spia berlingueriana». Ma la decisione di Guido Rossa di denunciare Berardi (Cesare), il «postino» delle Br all’Italsider, ha rappresentato anche uno spartiacque nella storia della militanza politica. Pubblichiamo l'estratto di un capitolo.

Chi lo ha lasciato solo?


La frase di Lama durante i funerali di Rossa (lo abbiamo lasciato solo) rimbalzò per anni in tutte le discussioni sindacali del Consiglio di fabbrica dell’Italsider. Lo stesso segretario generale della Cgil tornò più volte sul concetto espresso, durante le celebrazioni degli anni successivi. Si chiarì in seguito che Lama non si voleva riferire nello specifico ai delegati del Consiglione Italsider. Non era un atto d’accusa mirato contro qualcuno in particolare. Si trattava piuttosto di un’accusa politica. Un modo per rimettere al centro dell’attività sindacale l’impegno contro la violenza e contro la lotta armata propagandata dalle Br e dai tanti gruppi che erano nel frattempo nati intorno al “partito armato”. Probabilmente, si è detto con il senno del poi, Luciano Lama venne anche trascinato dal dolore e dalla rabbia per la fine barbara di un uomo che aveva dedicato tutta la sua vita al sindacato. È anche probabile che Lama abbia pronunciato quelle parole essendo stato informato dai sindacalisti locali della dinamica dei fatti. Tutti sapevano – e quindi anche Lama sapeva – che il Consiglio di fabbrica dell’Italsider si era diviso sul “che fare” a proposito dei tentativi entristi delle Brigate rosse a Cornigliano. Lama aveva forse presente anche quel giorno drammatico della denuncia di Rossa nei confronti di Berardi. Il giorno in cui altri delegati avevano espresso dubbi sulla necessità di rilasciare una vera e propria denuncia alla magistratura.

Ma i delegati del Consiglio, soprattutto quelli che furono più vicini a Rossa, hanno sempre smentito la tesi dell’isolamento del delegato ucciso dalle Br. Molti ex delegati che abbiamo intervistato a trenta anni di distanza dai fatti ci hanno ribadito la tesi dell’unità di azione. Guido Rossa non è mai stato abbandonato a se stesso – dicono – e caso mai si tratta di riflettere sulle trappole a cui è stato sottoposto da parte delle istituzioni. I delegati del Consiglio, dopo la denuncia, organizzarono infatti una scorta informale. A turno accompagnavano a casa il delegato Rossa. Il sindacato aveva chiesto anche di potersi presentare come parte civile al processo, richiesta che venne respinta. Altri delegati si erano detti pronti a rilasciare le loro testimonianze di fronte ai magistrati, ma il giudice che conduceva le indagini ha sempre respinto le proposte. Bastava la dichiarazione di Guido Rossa e la sua testimonianza in tribunale. Nessuno si è preoccupato poi di attivare un qualche meccanismo di protezione. Sì, forse Guido Rossa è stato lasciato solo. Ma non certo dal sindacato o dal suo partito. Non sono scattati in quell’occasione i meccanismi di protezione istituzionale. D’altra parte – si sono difesi gli inquirenti  - c’erano commissari di polizia che andavano in giro all’epoca senza scorta.
 
Renato Penzo, ex segretario della sezione Cabral del Pci di Cornigliano, ha spiegato più volte che il partito e prima ancora il sindacato fecero varie pressioni su Rossa affinché – dopo la denuncia di Berardi – prendesse delle precauzioni. “Era un tipo molto testardo – ci ha confermato in un’intervista Penzo – lo avvicinai con discrezione due o tre volte per proporgli soluzioni in sicurezza (trasferimento in un altro stabilimento, trasferimento all’estero, o altre forme di prevenzione di possibili atti di violenza nei suoi confronti). Non accettò mai. Mi disse sempre che la decisione l’aveva presa e che non aveva paura delle conseguenze. Come in montagna. Anche in solitudine”.

“Guido era una persona molto coraggiosa e altruista – racconta Rita Corsi, un’amica di famiglia che lo aveva conosciuto anche nelle escursioni in montagna – non delegava mai a nessuno le sue responsabilità. Quando si andava in montagna e c’era da fare qualcosa di pericoloso era sempre il primo. Preferiva mettere a rischio se stesso piuttosto che mettere a rischio altre persone. Io quel giorno di ottobre, il giorno della denuncia, era fuori Genova. Non mi avrebbe sicuramente interpellato per chiedermi un parere. Ma io gli avrei detto di rifletterci meglio, di pensare bene alle conseguenze del suo gesto. Poi con altri amici gli proponemmo anche di cambiare casa per un po’, cambiare automobile per non farsi seguire. Ma lui tendeva sempre a sdrammatizzare. Cosa possono farmi? – diceva – al massimo mi possono bruciare la macchina”.

In occasione della celebrazione del trentennale della morte di Rossa si è riparlato di quei giorni. Delle accuse al sindacato, della dinamica tragica di quegli avvenimenti. In molti hanno voluto di nuovo dire la loro. Piero Parodi, ex delegato, amico di Guido ed ex militante del Pci, ha preso carta e penna e ha scritto una lettere al quotidiano Il Secolo XIX.  Si dice che Rossa è stato lasciato solo e che è morto proprio perché rimase isolato. Non è vero – dice Parodi – che il Consiglio di fabbrica si lavò le mani e non è vero che i compagni di Rossa fecero finta di non vedere lasciando la patata bollente al delegato. “Ricordo – ha scritto Parodi al quotidiano genovese il 28 gennaio 2009 – che io stesso, d’accordo con alcuni dirigenti del Pci, cambiai posto e turnazioni di lavoro per vigilare e “spiare il postino (Berardi, ndr) che si aggirava liberamente tra i reparti con la sua bicicletta”. Parodi racconta che Berardi girava per tutto lo stabilimento Italsider e che molti delegati (e quindi non solo Guido Rossa) avevano perciò cominciato a sospettare sui suoi legami con le Br. Parodi conferma anche che nel mirino della colonna genovese c’erano ormai molti delegati e militanti del Pci, chiamati con disprezzo “berlingueriani”. Sui muri dello stabilimento di Cornigliano, prima ancora che comparisse il nome di Guido Rossa dopo la denuncia, erano comparsi tanti altri nomi di altri delegati che stavano nel mirino del partito armato. Né con lo Stato, né con le Br, dice ancora Parodi, era lo slogan di una infima minoranza. La stragrande maggioranza della classe operaia era convinta che il partito armato dovesse essere combattuto con ogni mezzo. “Guido Rossa – scrive Parodi – è stato un eroe e come tale va ricordato, ma non un eroe solitario, isolato e circondato da codardi o indifferenti. Non fu mandato allo sbaraglio e non fu mai lasciato solo né dai suoi compagni, né tantomeno dal Pci e dalla Cgil. Affermare il contrario, come si è fatto per l’ennesima volta nelle recenti commemorazioni, significa far torto a quanti si sono esposti in prima persona nella lotta al terrorismo”.

“È morto un delatore”

Strano destino hanno gli eroi. Soprattutto se si tratta di eroi antieroi come è stato Guido Rossa. Da una parte infatti si discusse subito sul presunto isolamento, sulla sua scelta “solitaria” come certe scalate o certe traversate in mare aperto. Dall’altra parte una porzione della sinistra radicale di allora e in particolare di quella sinistra che girava tra Lotta Continua e l’area di Autonomia Operaia lanciò un dibattito che a distanza di tempo potrebbe sembrare perfino surreale. Era da difendere il delegato Rossa che aveva deciso di denunciare e quindi mandare in carcere un suo compagno di lavoro? Quella di Rossa è stata una scelta “civile”, un atto politico da rispettare, o una vera e propria delazione, una “spiata”, che poi era la tesi sostenuta dalle Brigate rosse nel volantino di rivendicazione dell’omicidio. Sul quotidiano Lotta Continua il dibattito prese corpo. Intervennero in molti a dire che in fondo, se Rossa era stato ucciso, una sua responsabilità esisteva ed era palese. Il giorno stesso dei funerali a Genova, il quotidiano decise però di pubblicare una riflessione molto impegnata di Andrea Marcenaro, con il titolo nientaffatto ambiguo “ora che un delatore è morto”. “È da quando siamo bambini – scrisse Marcenaro – che sappiamo che chi fa la spia non è figlio di Maria, che rompere la solidarietà tra uguali e tra oppressi è il peggiore dei delitti”.

Ma subito dopo Marcenaro, che nella prima parte dell’articolo aveva provato ad analizzare il rapporto tra i movimenti della sinistra e il terrorismo, si chiese che tipo di vantaggi e di benefici abbia potuto avere Guido Rossa per la sua scelta. “Che chi fa la spia lo fa perché ne ha un tornaconto, un privilegio. Guido Rossa non pare ne abbia avuto un tornaconto: continuava ad alzarsi alle 6 del mattino (o alle 5) e tornava a casa quando il sole stava tramontando”. Non una questione di soldi, dunque, né di carriera. E neppure una scelta emotiva: “Il povero Berardi non aveva ucciso un suo amico, né messo una bomba nel reparto. Una scelta morale e di principio”. Guido Rossa era dunque, anche per Marcenaro, un uomo coraggioso che aveva deciso di essere coerente con le sue idee, come altri comunisti e altri militanti di altri partiti che hanno creduto nei propri valori. La paura – ammise Marcenaro – non è in grado di fermare uomini così convinti. È troppo facile parlare di spia, ma neppure si può facilmente buttarla in politica. Non è possibile una semplificazione – concluse Marcenaro – il caso di Rossa e Berardi non si può archiviare nella casella dell’antifascismo o dell’antiterrorismo militante.

Anche quello che una volta era definito “antifascismo militante”, per Andrea Marcenaro non avrebbe più avuto senso. Ma se non si vuole delegare allo Stato la lotta al terrorismo rosso, quali sono gli strumenti che si possono utilizzare? Ha senso parlare ancora di una giustizia proletaria? Domande forse troppo larghe, perfino sconclusionate, ma che portarono Marcenaro a respingere la tesi della delazione. Quella di Guido Rossa era stata una denuncia, un atto da leggere all’interno di una battaglia politica. Un atto, potremmo aggiungere che ha portato al sacrificio di una vita sull’altare della ideologia degli uomini del partito armato. Un epilogo tragico che l’opinione pubblica si apprestava a digerire e rimuovere. “Il Corriere della Sera – conclude il suo articolo Marcenaro – oggi non parla quasi più di Guido Rossa, non versa lacrime. C’è la crisi di governo, forse le elezioni anticipate, nessuna propaganda al Pci, al ‘suo’ morto. Questo non è ridurre le persone a simboli e comportarsi da iene?”.