Pubblichiamo un estratto da Valerio Strinati, La Costituzione e il lavoro, supplemento a «Rassegna Sindacale», novembre 2009 (qui il PDF della guida integrale)

L’art. 37, 1° comma, nello stabilire il principio della parità di retribuzione tra i sessi a parità di lavoro, segna una netta cesura con la legislazione sociale precedente: sia con quella del periodo liberale, ancorata a una concezione “protettiva” del lavoro delle donne e dei minori, estranea al concetto di eguaglianza di genere, sia con quella fascista, per la quale le protezioni accordate alle donne in relazione soprattutto alla politica demografica del regime costituirono la contropartita per il mantenimento di una condizione di sottoccupazione e di sottoretribuzione.

La disposizione costituzionale pone invece un limite all’autonomia privata e, al tempo stesso, costituisce una specificazione del principio di eguaglianza tra i sessi, affermato al 1° comma dell’art. 3 – e rafforzato dalle riforme costituzionali più recenti (l. cost. n. 1/2003 e n. 3/2003), con la sanzione del criterio delle pari opportunità –, nonché del principio di uguaglianza sostanziale, poiché mira a eliminare una condizione di subalternità della donna sul lavoro, che ne aggrava la posizione di marginalità sociale e politica. Al tempo stesso, all’affermazione della parità retributiva si affianca e in una certa misura si contrappone il richiamo alla specificità della condizione femminile, in relazione all’adempimento “della essenziale funzione familiare” della donna e all’esigenza di assicurare “una speciale ed adeguata protezione alla madre e al bambino”.

Tra le due disposizioni vi è una obiettiva tensione: a fronte del contenuto emancipatorio della prima, infatti, la seconda, oltre a riflettere l’intenzione dei cattolici di inserire nella Costituzione norme a tutela dell’unità familiare, lascia ambiguamente trasparire la sanzione di un primato dell’impegno domestico rispetto al lavoro, e di una sostanziale intangibilità della divisione dei ruoli tra i sessi, che fu messa criticamente in luce delle sinistre nel corso della discussione all’Assemblea Costituente (si veda l’intervento di Lina Merlin, nella seduta dell’Assemblea del 10 maggio 1947). In realtà, l’insieme dei princìpi affermati nel primo comma dell’art. 37 ha dato prova di una notevole capacità di espandersi e di adattarsi ai mutati contesti socio-economici. 

L’evoluzione della legislazione attuativa è passata, infatti, dall’accentuazione del profilo protettivo, finalizzato a rimuovere le più evidenti storture del sistema (si pensi alla l. 7/1963 sul divieto di licenziamento delle lavoratrici per matrimonio e alla l. 1204/1971 di tutela delle lavoratrici madri) al riconoscimento della parità sul lavoro (l. 903/1977), fino all’adozione del principio di pari opportunità (l. 125/1991), che presuppone la repressione dei comportamenti discriminatori diretti e indiretti e anche, laddove necessario, il perseguimento della parità di genere attraverso un diritto “diseguale” fondato su azioni positive. Attività e disposizioni normative, queste, con le quali si mira ad assicurare posizioni di vantaggio a soggetti tradizionalmente destinatari di trattamenti deteriori, secondo il criterio, costante nella giurisprudenza costituzionale, per cui, in applicazione del principio di eguaglianza, i trattamenti normativi differenziati sono giustificati laddove risultino funzionali a colmare squilibri penalizzanti per determinati gruppi o categorie.

Per il lavoro minorile, l’art. 37, 2° e 3° comma, stabilisce una riserva di legge per la determinazione dell’età minima per l’accesso al lavoro e la garanzia di parità retributiva. Già i dlgs 345/1999 e 262/2000, nell’adeguare alla disciplina comunitaria la legge 977/1967, hanno fissato l’età minima per l’ammissione al lavoro al compimento dell’obbligo scolastico e comunque non prima dei quindici anni, elevati a sedici con la legge finanziaria 2007. Fermo restando il generale divieto di lavoro per i bambini, con alcune eccezioni, tra cui le attività di tipo culturale e artistico, salvo l’adempimento dell’obbligo scolastico, il citato dlgs 354, oltre a inibire i lavori nocivi e a obbligare il datore di lavoro ad una specifica valutazione dei rischi nel caso di impiego di un minore, recepisce il principio costituzionale della parità di trattamento retributivo del lavoro minorile rispetto a quello dei maggiorenni.

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  • ARTICOLO 37
    La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.