L’innovazione è da sempre il principale motore per garantire il continuo miglioramento del nostro livello di benessere. Avviene con il continuo inserimento delle nuove conoscenze non solo all’interno del mondo produttivo, ma anche all’interno delle azioni della vita quotidiana. Lo sviluppo della conoscenza modifica continuamente le nostre esigenze e cambia i modi di soddisfarle: infatti, pur in un rapporto di continuità col passato, ciò che oggi desideriamo è diverso da quello che desideravamo ieri; allo stesso tempo ciò che sappiamo fare oggi è diverso da quello che sapevamo fare ieri. 
Tutto questo può talvolta porre problemi perché non è detto che alle nuove esigenze (o ai nuovi modi per soddisfarle) si accompagni anche un analogo sviluppo della nostra capacità di farvi fronte. Ciò può riguardare un intero paese o singole comunità; ma vale anche nelle diverse fasi della nostra vita: con l’avanzare dell’età, infatti, la capacità di acquisire nuove conoscenze per soddisfare i propri bisogni si riduce e può creare non pochi problemi se il progresso corre più velocemente della nostra capacità di incorporarlo.

Non vi è dubbio che oggi, con la transizione digitale, si sia di fronte ad un’accelerazione dei processi innovativi che cambierà -e sta già cambiando- anche il nostro modo di consumare beni e, soprattutto, servizi. In molti casi non si avrà più bisogno dell’interfaccia fisica tra produttore e utente; oggi vi sono già molti esempi che vanno in tale direzione: si pensi all’estensione che ha avuto la ricetta medica elettronica o gli acquisti online; già ora si possono scaricare da casa certificati anagrafici che finora richiedevano noiosi spostamenti e lunghe code; la telemedicina non è più una rappresentazione fantascientifica, ma può essere già praticata per alcune malattie; non è più necessario andare tutti i giorni nel posto di lavoro potendo svolgere alcune mansioni in smart working; si può giocare con i propri amici connettendosi con un tablet o col cellulare. 

È evidente che questo processo -che ha avuto un impulso non indifferente col Covid- si intensificherà ulteriormente nel prossimo futuro e in taluni casi potrebbe addirittura diventare l’unico modo per accedere ai servizi. 

Col Next Generation Europe l’Ue considera la transizione digitale una delle strategie su cui puntare, tanto da immettervi una notevole massa di risorse nella consapevolezza della assoluta necessità di sostenerla, ma anche ben sapendo che se non si supportano le categorie più fragili si corre il rischio di creare nuove disuguaglianze.
Non vi è infatti dubbio che con la diffusione dei processi di digitalizzazione la nostra vita potrà migliorare sensibilmente rendendo accessibili servizi oggi lontani; allo stesso tempo però potrebbe isolare ancor più l’utente se non dispone delle conoscenze necessarie per interfacciarsi da casa. In questi mesi di pandemia, costretti all’isolamento, abbiamo appreso l’uso di nuovi strumenti per ottenere ciò che prima ci procuravamo di persona, ma abbiamo anche constatato i problemi per coloro meno dotati delle conoscenze e degli strumenti necessari per farlo.
Nel futuro prossimo venturo anche alcune prestazioni socio-sanitarie -dalla cura, alla prevenzione, al monitoraggio continuo dello stato di salute- potrebbero essere usufruibili da remoto, consentendo un significativo miglioramento delle condizioni di vita, in particolare di quelle degli anziani, che più degli altri sono bisognosi di cura ed assistenza. Si potrà avere accesso a molti servizi da casa -in un ambiente quindi amichevole- ma per far questo occorre anche essere in grado di usare le nuove tecnologie: se il “divario digitale” (il cosiddetto “digital divide”) è eccessivo il rischio è quello di essere ancora più isolati e privati di ciò che ora, magari con qualche difficoltà, riusciamo comunque ad ottenere.

“Il mondo è un bel libro, ma solo se lo si sa leggere” diceva don Milani; oggi saper leggere significa sapere usare le nuove tecnologie. È quindi necessaria una nuova formazione se non si vogliono ulteriormente accentuare le disuguaglianze; una formazione però che non riguardi solo l’utente finale, ma anche il produttore, per metterlo in condizione di adattare le tecnologie alle reali capacità di un loro utilizzo; una formazione, inoltre, che punti anche alla costruzione di figure intermedie, di facilitatori, in questo rapporto tra tecnologia e utenza. Sarebbe un errore ipotizzare che il divario digitale possa essere completamente azzerato ponendolo interamente a carico dell’utente finale.

Per questo motivo è necessario, intanto, conoscere quale sia il reale divario digitale degli anziani; se il problema è di natura infrastrutturale o culturale; se specie in questi mesi di distanziamento sociale qualcosa è accaduto; se si è avviata una maggiore familiarità con le connessioni a distanza e infine se, soprattutto in ambito sanitario, gli anziani siano disposti a sperimentare vie nuove per affrontare antichi bisogni.

Il progetto Sociotechlab avviato dallo Spi nazionale prevede, in questa prima fase, la realizzazione di un’indagine attraverso un questionario che verrà diffuso presso le leghe dello SPI nel tentativo di conoscere qual è il divario digitale degli anziani concentrandosi innanzitutto sulle aree interne, quelle cioè in cui la distanza da alcuni servizi fondamentali è causa oggi di maggiori disagi; disagi che, appunto, potrebbero essere in parte risolti proprio tramite un maggior ricorso alla digitalizzazione. 
L’indagine permetterà al sindacato dei pensionati e delle pensionate della Cgil di capire meglio dove indirizzare gli sforzi per tutelare i diritti delle persone anziane e favorire il loro benessere, per fare in modo che la tecnologia non faccia più paura, ma sia l’ausilio che permetterà di migliorare la qualità della vita ed avere a disposizione l’assistenza di cui il nostro Sistema Sanitario Nazionale dispone nei suoi centri di eccellenza.

Per invecchiare sempre meglio, indirizzando la ricerca scientifica, spingendo l’economia sempre più silver, favorendo così la creazione di lavoro per le nuove generazioni.