“Dopo vent’anni di interventi più o meno improvvisati, estemporanei e regressivi – legati unicamente dall’obiettivo di fare cassa ai danni del sistema e delle persone – è indispensabile mettere mano ad una riforma strutturale della previdenza che corregga le tante storture e iniquità che si sono accumulate, e che restituisca certezza, stabilità e sostenibilità sia dal punto di vista degli equilibri della finanza pubblica, sia dal punto di vista sociale”. Così il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, in un’intervista apparsa su pensionipertutti.it, dove si può leggere la versione integrale.

Per Ferrari, basta promesse o misure tampone: “Nelle ultime elezioni fu quota 100, e poi abbiamo visto come è andata a finire; ora si rischia la stessa cosa con quota 41. Sia chiaro: noi siamo stati i primi – molti anni fa, in tempi non sospetti – a rivendicare questa misura, e continuiamo a considerarla una risposta urgente, equa e necessaria. Ma il punto è che non basta: perché lascerebbe inalterata la condizione previdenziale della maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori; perché non si rivolgerebbe proprio a coloro che si trovano nelle condizioni più deboli ed esposte come le donne, i giovani e le tante e diverse forme di working poor; perché, inoltre, escluderebbe a priori interi settori produttivi dove – per ragioni oggettive, non certo imputabili a chi vi opera – questi livelli di anzianità contributiva non si riescono a scorgere nemmeno con il binocolo”.

La proposta che dunque la Cgil fa al prossimo governo è la stessa della piattaforma unitaria avanzata ai precedente esecutivi: “Una flessibilità in uscita a partire da 62 anni o con quota 41; una pensione contributiva di garanzia per i lavori poveri, discontinui, precari; il riconoscimento del lavoro di cura; una significativa valorizzazione previdenziale del lavoro delle donne che più di tutti hanno pagato il prezzo delle ultime riforme”. 

Serve, anche, “il pieno riconoscimento dei lavori gravosi” – sia abbassando il requisito contributivo (a cominciare da Ape sociale e precoci) sia intervenendo sulla misura dell’assegno – perché non tutti i lavori e le aspettative di vita sono uguali; il superamento della rigidità dei requisiti che non ha alcun senso in una logica sempre più contributiva; la piena tutela del potere di acquisto dei redditi da pensione”.

Prima però di una riforma strutturale della Fornero servono interventi urgenti, da mettere in campo subito. Il prossimo 31 dicembre, infatti, scadono l’Ape sociale e Opzione donna. Per il segretario confederale della Cgil questi istituti vanno non solo confermati ma allargati: “L’Ape sociale in primis, a cui va fatto un vero tagliando per rafforzare questa misura – a partire dai gravosi – e per renderla strutturale e definitiva”.

Anche Opzione donna “va riconfermata e resa anch’essa strutturale considerato, oltretutto, che non ha alcun impatto sulla spesa previdenziale”. Da ultimo, bisogna porre fine a quota 102, “che si è rivelata una misura assolutamente inutile (come avevamo previsto) e che ripropone la necessità di definire una maggiore, e più efficace, flessibilità in uscita”, osserva Ferrari.