Le differenze di prestazioni nel sistema contributivo sono determinate da vari parametri. Tra questi la continuità della carriera, i livelli salariali e la differenza di aliquota di computo. Per questo è necessario introdurre una misura di garanzia che dovrebbe riuscire a compensare almeno in parte queste criticità, con misure “ex ante” o “ex post”, intendendo per misure “ex ante” quelle che correggono le criticità durante la fase di versamento dei contributi e per misure “ex post” quelle che correggono le criticità durante la fase di erogazione della pensione.

Il tema è delicato e complesso. Si ritiene infatti che le misure “ex ante” possano essere un errore, visto che ci sarebbe il rischio concreto di destinare risorse in favore di soggetti che in futuro potrebbero avere carriere lavorative in evoluzione e quindi potrebbero non trovarsi più nella necessità di avere bisogno di un’integrazione di garanzia, perché autonomamente in grado di raggiungere un assegno pensionistico dignitoso.

Il caso più emblematico potrebbe essere quello di riconoscere a tutti la copertura dei buchi contributivi. Si può fare l’esempio di un neo laureato che inizia il suo percorso di lavoro dove i primi anni ha contratti di lavoro precari e con salari bassi, ma dopo qualche anno trova un’occupazione stabile e con una retribuzione crescente (come dimostrano i dati Istat nel parametrare retribuzioni alte a titoli di studio avanzati).

Un altro errore, molto presente nel dibattito su questi temi, è quello d'ipotizzare il riconoscimento a tutti del riscatto di laurea gratuito: significherebbe distribuire risorse su tutti,  anche per soggetti che in termini generali avranno un’occupazione e redditi da lavoro maggiori di altri lavoratori più fragili, riuscendo a costruire montanti contributivi che gli permetteranno di raggiungere autonomamente pensioni superiori alla media.

Ovviamente questo non significa che non bisogna intervenire in favore dei neo laureati o di tutte le categorie sulla quale si vuole puntare, ma se si vuole incentivare lo studio e il numero dei laureati nel nostro paese, bisogna farlo attraverso un sostegno economico concreto per permettere a queste persone e alle loro famiglie, di avere le condizioni economiche - anche a soggetti di un ceto sociale “basso” – necessarie per poter proseguire gli studi, altrimenti, si rischia ancora una volta, di “aiutare” persone che per profilo e status economico non avrebbero la necessità di ricevere garanzie pubbliche pagate dalla collettività.

Un’altra ipotesi, anche questa poco condivisibile, è quella d'istituire una pensione universale, uno zoccolo uguale per tutti, sulla quale i lavoratori costruiscano la loro pensione in aggiunta di quella che sarebbe garantita a tutti. Sarebbe nuovamente un errore a mio avviso, perché si utilizzerebbero risorse ricavate dalla fiscalità generale per distribuirle fra tutti i pensionati, senza alcuna distinzione, senza ovviamente determinare un reale vantaggio per i più deboli, a meno che si voglia ipotizzare una pensione universale d'importo consistente alla quale aggiungere la propria pensione, fortemente decrescente con il reddito individuale. 

Vi sono anche ulteriori proposte di legge che prevedono un assegno sociale uguale per tutti coloro che abbiano una minima anzianità contributiva e una pensione in aggiunta, calcolata con le regole del contributivo, ma finanziata con un’aliquota standard pari al 26% per tutti. In questo caso, è ovvio evidenziare che per rispondere all’esigenza di garantire una pensione d'importo dignitosa agli anziani, si genererebbe un risparmio sul versante contributivo e quindi un effetto immediato per il costo del lavoro, che sarebbe per il nostro paese insostenibile. Infatti, si determinerebbe inevitabilmente un aggravio per il bilancio pubblico considerando che ogni punto percentuale di riduzione avrebbe un impatto pari a due miliardi (7 punti il 14 miliardi).

Di altra portata e in linea con la proposta della Cgil, invece, è quella di garantire una pensione contributiva di garanzia, per tutti i soggetti assicurati dopo il primo gennaio 1996, da inserire all’interno delle logiche dell’attuale schema contributivo, nel mix tra anzianità ed età di uscita , garantendo un trattamento di pensione di garanzia.
Ossia, più cresce la contribuzione e l’età più l’assegno di garanzia cresce. In questo modo, si incentiva il versamento e il posticipo al pensionamento. Alla contribuzione effettivamente versata, sarà necessario sommare quella che chiamiamo “valorizzata” - ovviamente entro certi limiti - di tutti quei periodi di non versamento contributivo, come, la formazione, le politiche attive, stage, tirocini, buchi contributivi, lavoro di cura, potremmo dire tutti quei periodi che si ritiene abbiano la necessità di essere “presi in carico”.

Quindi, la somma della contribuzione versata e quella valorizzata, legata a una certa età di uscita, determinerà un importo di pensione, che con il crescere degli anni di età, o dei contributi versati, potrebbe aumentare. Di fatto questa misura destinerebbe la risorse unicamente a quei soggetti che effettivamente hanno problemi d'inadeguatezza della pensione e incentiverebbe a stare nel mercato del lavoro versando contribuzione, dato che la garanzia cresce con l’aumento della contribuzione o dell’età di ritiro. Questa misura non necessiterebbe un impegno economico nell’immediato e comunque una parte rilevante delle risorse che saranno necessarie, potranno essere ricavate dalla spesa per assegni sociali che dovranno servire per integrare le pensioni contributive d'importo basso (la legge 335/95 aveva previsto che 1/3 della pensione contributiva non venga computata nel reddito da verificare per l’eventuale concessione) e altre dall’integrazione dovute comunque dalla pensione di cittadinanza.

(a cura di Ezio Cigna, responsabile previdenza Cgil nazionale