In dieci anni, dal 2008 al 2019, la povertà infantile è passata dal 3,7 all’11,4%. E se le percentuali sono algide, i numeri assoluti raccontano di più. Sono oltre un milione i bambini e le bambine in povertà, e certo questo anno e mezzo di pandemia ha aggravato una situazione già drammatica. Povertà economica che quasi sempre va a braccetto con quella educativa e con la marginalità sociale. È facile comprendere, quindi, come gli interventi da mettere in campo per arginare questa emergenza debbano essere molteplici e diversificati. E non tutti debbono essere di natura economica. Anzi, affinché quelli economici contribuiscano all’emersione dalla povertà, è indispensabile siano inseriti in una presa in carico complessiva e coordinati in una rete di servizi, da quelli educativi a quelli di protezione sociale.

Occorre però, e questa forse è la priorità, che finalmente bambini e adolescenti vengano riconosciuti titolari in sé di diritti, e come tali vengano trattati. Proprio in queste ore il Parlamento ha approvato il Piano nazionale di rinascita e resilienza, il testo è in viaggio per Bruxelles: se un appunto si può fare, è che le risorse destinate alle infrastrutture sociali potrebbero essere più consistenti, ce ne sarebbe davvero bisogno. Soprattutto andrebbero aumentate nel Documento di economia e finanza, quello che delinea il bilancio dello Stato per i prossimi tre anni, quindi anche le risorse ordinarie destinate al funzionamento dei servizi sociali, del sistema educativo e di istruzione, e del welfare tutto. I nidi, se non si prevedono le risorse per pagare i salari degli operatori e delle operatrici, se pur costruiti non funzioneranno. Se nel definire il bilancio non si prevedono le risorse per pagare più insegnanti e assistenti, il tempo pieno nelle scuole, soprattutto quelle del Sud dove la dispersione scolastica e la povertà infantile sono più alte, non verrà esteso.

“Se inserito all’interno di un ragionamento complessivo di potenziamento del welfare - sostiene la segretaria confederale della Cgil Rossana Dettori - guardiamo con favore e interesse alla possibilità di introdurre un assegno unico e universale, capace di ridurre la frammentazione delle diverse misure attualmente vigenti. Uno strumento universale, appunto, rivolto a tutti i minori al fine di sostenerne i bisogni di crescita e sviluppo”.

Il Parlamento nelle scorse settimane ha approvato una legge delega al governo per l’assegno unico: in teoria dovrebbe entrare in vigore dal prossimo 1° luglio, ma sono indispensabili i decreti attuativi che l’esecutivo, però, non ha ancora presentato. Probabile, dunque, che la scadenza possa non essere rispettata. In ogni caso la norma prevede che a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al compimento del 18 anno di età (può arrivare fino a 21 se fiscalmente a carico dei genitori) ogni minore sarà titolare di un assegno universale, ovviamente versato ai genitori, che sarà modulato in base alla condizione economica della famiglia. Per i bimbi o le bimbe con disabilità l’importo sarà più alto. Al momento, le risorse destinate a questo strumento sono circa 20 miliardi, tra quelle previste nella legge di bilancio 2021 e quelle derivanti dal superamento delle misure vigenti che saranno, appunto, inglobate nell’assegno unico.

La Cgil ha chiesto al governo un confronto per sottoporgli una serie di questioni che ritiene indispensabili per definire al meglio questo nuovo strumento. Innanzitutto deve essere realmente universale, rivolto cioè a tutti i nuclei familiari con figli minori o maggiorenni fiscalmente a carico. E deve essere equo, cioè commisurato in base alla “condizione economica” familiare e all’ampiezza della famiglia, con importi più elevati per redditi più bassi, e con maggiorazioni in presenza di componenti con disabilità e non autosufficienza. Ovviamente, ma è sempre bene ribadirlo, deve essere erogato anche agli incapienti e a prescindere dalla tipologia e dalla situazione occupazionale dei componenti del nucleo familiare.

Nello scrivere i decreti attuativi, ricordano dalla Cgil, è necessario salvaguardare i diritti acquisiti di chi oggi fruisce delle misure vigenti (come Anf e detrazioni), prevedendo che l’importo della nuova misura loro spettante non sia inferiore a quanto ricevono. Proprio il graduale superamento delle misure oggi in vigore rende evidente come sia necessario agganciare questo strumento a una riforma fiscale complessiva, marcatamente progressiva e da applicarsi a una base imponibile maggiore di quella dell’attuale Irpef per evitare squilibri nel sistema.

Come ogni riforma, sottolinea la Cgil, è importante capire se funziona e se risponde positivamente agli obiettivi. Occorre quindi prevedere una valutazione di impatto e il monitoraggio della misura a opera degli organismi esistenti (Osservatorio infanzia e adolescenza). Infine, è opportuno che la domanda per ottenere l’assegno sia semplice, e che soprattutto sia facile attestare la condizione familiare cui corrisponderà l’importo del sostegno economico.

“Perché sia un efficace strumento di sostegno ai bisogni di sviluppo e crescita dei minori è indispensabile sia adeguatamente finanziato", conclude la segretaria confederale della Cgil Rossana Dettori: "Parimenti andrebbero aumentate le risorse per rafforzare l’infrastruttura sociale dei territori, visti i bisogni crescenti anche a causa della pandemia. Il contrasto alla povertà infantile deve diventare una priorità delle politiche del governo, a cominciare dal potenziamento dei servizi sociali dei comuni e dalla loro capacità di presa in carico delle famiglie più fragili”.