Dopo trentacinque e più anni di lavoro precario, gli operai agricoli dell'Università degli Studi di Palermo dicono: “Basta”. A protestare sono operai che svolgono un ruolo fondamentale nella cura del verde di Unipa e nelle attività didattico-sperimentali che riguardano sia il campus universitario che i laboratori del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e forestali, dove svolgono un ruolo di supporto alla ricerca.

Si tratta di circa 90 tra lavoratrici e lavoratori, l’80 per cento si occupa di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e del decoro di giardini, terreni, aiuole della cittadella universitaria. Tra questi ci sono anche gli operai in forza all'Orto Botanico di Palermo, che si estende su una superficie di 10 ettari di terreno, e racchiude al suo interno centinaia di collezioni scientifiche tra le più importanti d'Europa.

Una vertenza iniziata ormai nel 2015

Una vertenza che dura da anni: già nel 2015 la richiesta al ministero per la stabilizzazione del personale, per il quale ogni anno vengono stanziate risorse per 101 giornate l’anno. Il percorso di stabilizzazione degli operai agricoli, intrapreso con la legge Madia, e l’istituzione di un tavolo tecnico da due anni, sembrava aver creato possibili chance per le assunzioni. In altre università italiane, Napoli, Messina, Pisa, l’obiettivo è stato centrato. A Palermo no.

È urgente individuare una strategia che porti all'individuazione di un percorso di stabilizzazione e che si ponga fine a una lunga stagione di precariato. “Anche quest’anno sono stati avviati con incertezza sul numero di giornate da effettuare”.

E intanto l'Università ricorre a concorsi pubblici per giardinieri

Negli ultimi due anni, l'Università ha predisposto una ricognizione interna per superare e contenere il numero di lavoratori precari del proprio organico. Pur manifestando il proprio interesse, questi lavoratori sono stati esclusi dal percorso, ma non è tutto: paradossalmente, l'Università ricorre anche a concorsi pubblici per giardinieri, con lo scopo di reclutare profili professionali di cui già dispone – gli operai agricoli, appunto – che da decenni sopportano questa situazione.

Flai Cgil Palermo: “Manca la volontà politica di superare il problema

Secondo la Flai Cgil a Palermo, negli anni non sono mancati gli strumenti per cercare di superare gli ostacoli del precariato, ma, di certo, “è mancata la volontà politica delle varie amministrazioni di affrontare il problema”. Basti pensare, che un tempo i lavoratori godevano di un budget utile allo svolgimento di 179 giornate lavorative pro capite.

“Nel tempo, scelleratamente – ha detto Enza Pisa della Flai – purtroppo il budget stanziato ha subito tagli drastici, e nonostante i vari pensionamenti, ha portato i lavoratori ad una garanzia occupazionale di 101 giornate, che svolgono dilazionate in tutto l'anno, con un calendario mensile che varia da 15 a 5 giornate, come lo stesso cronoprogramma allegato al contratto individuale può testimoniare. Basterebbe storicizzare la spesa, che in corso d'opera, raramente, consente agli operai di raggiungere un numero di giornate maggiori. Oggi i lavoratori in gran parte sono ultracinquantenni, pochi quelli sui 40 anni”.

Gli operai in assemblea hanno votato per lo stato di agitazione

Uno stato di sofferenza che ha portato gli operai agricoli in assemblea a votare in maniera unitaria per lo stato di agitazione. “La nostra attività è importante e preziosa per l'ateneo palermitano e meritiamo che la politica tutta si assuma delle responsabilità – aggiungono i delegati della Flai –, ma soprattutto si attivi a trovare la migliore soluzione possibile, anche attingendo alle esperienze degli altri atenei sparsi in tutta Italia”.

Angelo operaio agricolo Palermo
Angelo operaio agricolo Palermo

La storia di Angelo, operaio agricolo all'Università di Palermo dal 2011

“Diciamo basta, e lo ribadiamo ancora più forte, perché, se non si attiva il percorso della stabilizzazione, saremo condannati alla povertà assoluta sia adesso che da pensionati”.

“Non riusciamo più a sostenere una vita dignitosa col salario che recuperiamo e neppure a far studiare i nostri figli, precludendo, così, un futuro migliore anche a loro”.