“Quando ho sentito delle nuove misure restrittive, ho temuto che il ristorante mi avrebbe licenziata. Ho un contratto a chiamata e fino a qualche giorno fa lavoravo tre sere a settimana, servendo ai tavoli. Venti ore tra venerdì e domenica, pagate quasi otto euro l'ora”. Così facendo, Giulia, iscritta al primo anno di Lingue e mediazione culturale dell'università di Padova, riusciva a pagarsi gli studi: "Il bando per le borse di studio è a settembre, ma i soldi arrivano a dicembre. Solo che i libri servono prima, quindi col lavoro da cameriera sono riuscita a comprarli già all'inizio del semestre”.

Soldi utili, quelli del ristorante, anche per permettersi un computer adatto alla didattica a distanza: “Quello che ho è vecchiotto, non ha la webcam e non supporta alcuni programmi. Perciò sto trovando pezzi nuovi che poi dovrò assemblare”. Con il nuovo Dpcm, sospeso il servizio serale, l'azienda ha proposto a Giulia di occuparsi delle consegne a domicilio. La paga oraria non cambia, ma “lavorerò molto di meno, quindi guadagnerò anche di meno. Userò la mia macchina, dovrebbero rimborsarmi 35 centesimi a chilometro”.

Il gestore del ristorante ha garantito che “è il tariffario più alto della zona. I rider delle piattaforme prendono molto meno. E poi io almeno ho un contratto, mentre tanti miei coetanei lavorano in nero. Sono più preoccupata per loro che per me”. Anche a Giulia è capitato di lavorare in nero: “È questa la realtà della ristorazione. Finché le aziende hanno le spalle coperte dai profitti, ti fanno un contratto, ma i ragazzi che lavorano nelle piccole trattorie, magari solo nel fine settimana o nelle festività, sono i più sfruttati”. Il suo, di contratto, scadrà a fine novembre, insieme all'ultimo Dpcm. A quel punto la proprietà dovrebbe decidere se farle un contratto a tempo determinato o di apprendistato. Però, se nel frattempo verranno introdotte norme più restrittive, “non so se investiranno su di me. Per ora non si espongono perché non sanno nemmeno loro come andranno le cose”.