Cuochi, camerieri, bagnini, addetti ai piani, ma anche concierge, hostess, addetti alle attrazioni e ai parchi divertimenti. Sono 650 mila gli stagionali in Italia, la maggior parte, ovvero il 51 per cento, è under 35 (Inps, 2022). Sebbene il nostro sia un Paese a vocazione turistica lavorano davvero poco, solo 4 mesi all’anno in media.

E di conseguenza guadagnano poco, a meno che non si trovino una seconda o una terza occupazione. I settori in cui sono impiegati sono per lo più alloggio e ristorazione (60 per cento), attività artistica, intrattenimento e divertimento (11 per cento), agenzie viaggi, noleggio, servizi alle imprese (7 per cento).

Diritti solo sulla carta

A questo mondo variegato e complesso è dedicato il focus della campagna “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, promossa dalla Cgil e dalle sue categorie. A questi lavoratori si applica un contratto particolare, che può essere stipulato solo per determinate attività che sono, appunto, legate alla stagionalità invernale ed estiva. A questa schiera di occupati a singhiozzo bisogna aggiungere un milione di agricoli, il cui lavoro è fortemente legato alla stagionalità del prodotto.

Ma che vuol dire essere uno stagionale? Significa che sei occupato a termine, per forza di cose, ma significa anche che se il contratto è a norma hai un diritto di precedenza sulle nuove assunzioni a tempo determinato del tuo datore di lavoro, cosa che garantisce la possibilità di ritrovare le stesse attività nella stessa azienda e con le medesime caratteristiche. Inoltre, hai diritto a un’indennità di disoccupazione, la Naspi.

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Irregolari nella realtà

“Il problema è che molti, moltissimi contratti sono irregolari – spiega Rossella Marinucci della Cgil -. Dal nero al grigio le percentuali sono elevatissime: questo risulta dalle ispezioni nei luoghi di lavoro, che sebbene siano poche a causa del numero esiguo del personale, mettono in evidenza come questo settore abbia un alto tasso di irregolarità.

La retribuzione diversa da quella prevista da contratto, riposi e ferie non rispettati, straordinari non pagati, orari flessibili: le norme vengono aggirate su tutto. È diffuso anche l’uso di contratti ancora più precari dello stagionale, l’intermittente per esempio. “Il sindacato continua a denunciare questa situazione, interviene con la contrattazione e la vertenzialità – dice Marinucci -, chiede attenzione, interventi mirati, controlli più ampi e diffusi per ricostruire una cultura della legalità”.

Poche ispezioni confermano

“È la ragione fondamentale per cui c’è una diffusa indisponibilità delle persone a svolgere questo tipo di lavori - aggiunge Marinucci -. Ogni anno all’inizio della stagione, tipicamente d’estate, leggiamo gli allarmi sulla mancanza di lavoratori. Il problema è proprio l’alto tasso di irregolarità. Nell’attività ispettiva del 2023, su 78 mila violazioni accertate, 50.663 sono state rilevate nei settori degli stagionali. Su 7.400 assistiti per violazione sull’orario di lavoro, 4.200 sono stagionali”.

Altro che mismatch!

E ancora: tra le aziende controllate dall’ispettorato nei settori turismo e pubblici esercizi, il 76 per cento è risultato irregolare, la stragrande maggioranza è al Sud. Qual è il tasso di lavoro nero rilevato? Il 26 per cento. “Il rifiuto dei lavoratori non è un rifiuto del lavoro – dice ancora la referente della Cgil -, ma dell’illegalità e dello sfruttamento. Altro che mismatch, altro che disequilibrio tra domanda e offerta! Non è vero che i giovani non hanno voglia di lavorare e di fare la gavetta. I giovani non vogliono essere sfruttati”.

Una Naspi piccola piccola

Tra un contratto e l’altro gli stagionali sono coperti da un’indennità di disoccupazione, la Naspi, che viene calcolata in base al periodo di lavoro svolto, a grandi linee la metà dei mesi lavorati: se sei occupato per quattro mesi, a occhio e croce maturi 2 mesi di disoccupazione.

Si tratta di un sistema poco tutelante modificato nel 2015 dal Jobs Act, che ha ridotto notevolmente la Naspi per gli stagionali. “Da un lato le stagioni che sono brevi, dall’altro il meccanismo più penalizzante dell’indennità, non consentono a questi lavoratori di avere un reddito tutto l’anno – afferma Marinucci -. E per avere una continuità devono mettere insieme più attività”.

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Agricoltura ovvero sfruttamento

Il fenomeno dello sfruttamento è radicato anche nell’agricoltura, settore dove la stagionalità la fa da padrone, a cui però si applica un altro contratto e norme diverse, volte a garantire una serie di diritti. Del milione di lavoratori censiti, 900 mila sono dipendenti a termine, gli extracomunitari sono un quinto, gli uomini il 68 per cento. Anche qui retribuzione, salute e sicurezza, tutele sono largamente disattese e l’illegalità è talmente diffusa da aver indotto i legislatori ad approvare norme specifiche, come l’importante conquista della legge di contrasto al fenomeno criminale del caporalato.

La lotta alla precarietà

“L’irregolarità nella corresponsione delle retribuzioni è diffusissima – precisa Rossella Marinucci della Cgil -. E anche l’uso di contrattare il compenso tra le parti senza rispettare i minimi previsti da contratto. Cosa succede? Ci sono i salari di piazza: i lavoratori si danno appuntamento in una determinata strada per andare nei campi, e là si stabiliscono le condizioni”.

Sia per gli stagionali che per gli agricoli la richiesta del sindacato è di contrastare queste forme di precarietà con il rispetto delle regole, delle leggi e dei contratti. Poi è necessario un aumento delle ispezioni e dei controlli. Solo investendo su un lavoro stabile, dignitoso, tutelato, sicuro come quello chiesto con i quattro referendum proposti dalla Cgil è possibile avere anche un turismo e un’agricoltura di qualità.