Con un emendamento al decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95, il cosiddetto “decreto economia”, attualmente in fase di conversione al Senato, il governo torna a mettere mano, e in peggio, alle regole sulla somministrazione di lavoro. A denunciarlo con preoccupazione sono Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil, e Andrea Borghesi, segretario generale di Nidil Cgil, che parlano di un “ulteriore intervento legislativo peggiorativo dopo i tanti già effettuati nel corso degli ultimi anni”.

Un nuovo strappo alla normativa

L’emendamento in questione, sottolineano i dirigenti sindacali, “modifica ulteriormente quanto realizzato con il Collegato Lavoro, anche in relazione ai chiarimenti interpretativi intervenuti, in merito alla durata massima dei rapporti presso lo stesso utilizzatore di lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle agenzie, ma inviati in missione a termine”. In sostanza, si apre la strada a un nuovo allungamento dei tempi entro i quali un lavoratore può essere mantenuto in somministrazione presso lo stesso datore, svuotando di fatto le tutele previste per i rapporti stabili.

Gabrielli e Borghesi spiegano che “l’emendamento prevede un allungamento dei periodi, con un ulteriore periodo di 36 o 48 mesi rispetto alla durata dei rapporti di lavoro a termine, in cui un lavoratore può essere utilizzato da un singolo utilizzatore senza causali e al di fuori delle percentuali previste per legge”. Un intervento che consolida la logica della flessibilità unilaterale, lasciando lavoratrici e lavoratori in balia delle esigenze aziendali e senza un quadro di garanzie.

Nessuna tutela, solo precarietà

“Per l’ennesima volta si interviene sulle regole della somministrazione di lavoro senza prevedere diritti e tutele – denunciano i due sindacalisti – che prevedano la stabilizzazione, senza norme che contrastino il turn over, senza un legame con le esigenze temporanee delle imprese, senza la possibilità per la contrattazione collettiva di governare la flessibilità lasciando le persone per anni in condizioni di ricattabilità e precarietà”.

Il problema non è solo normativo, ma culturale e politico: si continua a trattare il lavoro come una variabile da comprimere, una risorsa da utilizzare a tempo, senza riconoscere la dignità e la stabilità come elementi strutturali del diritto del lavoro. Si persevera nella costruzione di un mercato fondato su deroghe, eccezioni e scorciatoie, che minano la certezza del diritto.

Serve un cambio di rotta

Secondo Gabrielli e Borghesi, “servono norme che leghino i rapporti temporanei, anche in somministrazione, alle esigenze delle imprese e, qualora queste esigenze permangano, si preveda l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato con l’utilizzatore per dare diritti e certezze alle lavoratrici e lavoratori”. Invece si continua a complicare un sistema già ingarbugliato, dove il principio dell’eccezione diventa regola, e le persone che lavorano pagano il prezzo dell’instabilità.

Il sindacato non contesta solo il merito dell’emendamento, ma anche il metodo: “Si conferma, inoltre, la modalità d’intervento vista in questi anni: singoli e specifici interventi normativi, di grande rilevanza per gli effetti che si generano sulla condizione di lavoro delle persone, spesso agiti attraverso emendamenti a provvedimenti legislativi con un carattere estraneo e non coerente con le finalità delle norme proposte".

Un muro contro le proposte sindacali

La denuncia è netta: il Parlamento ignora le proposte che arrivano dal sindacato e dalla società civile, ma apre la strada a modifiche sostanziali quando arrivano da governo o relatori. “Il muro che viene sollevato di fronte alle proposte emendative, utili a risolvere questioni aperte e urgenti, che vengono avanzate nelle fasi di approvazione di leggi e decreti non vale quando gli emendamenti sono d’iniziativa dei relatori o del governo: anche questo dà evidenza del totale disinteresse alle sollecitazioni e alle proposte”.

Di fronte a uno scenario che rischia di peggiorare ulteriormente le condizioni di chi lavora in somministrazione, la Cgil e NIdil chiedono un atto di responsabilità: “L’unico atto serio che l’esecutivo deve assumere è quello di ritirare l’emendamento”.