È rottura sull’ex Ilva. Il secondo incontro nell’arco di una settimana tra governo, commissari e sindacati, che si è tenuto ieri (martedì 18 novembre) a Palazzo Chigi, si chiude con la decisione di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil di andare allo sciopero.

I sindacati accusano il governo di aver messo sul tavolo un piano di dismissione del siderurgico, con il ricorso alla cassa integrazione fino a 6 mila lavoratori. Da qui la proclamazione dello stop in tutti i siti del gruppo: l’obiettivo “è il ritiro del piano del governo e la ripresa della discussione sulle condizioni dei lavoratori e del futuro degli stabilimenti, coerentemente al piano di ripartenza condiviso con le organizzazioni sindacali”.

Sindacati: dal governo un piano di chiusura

“Il governo ha confermato il piano di chiusura dell’ex Ilva”. A dirlo è il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma: “Abbiamo chiesto all’esecutivo di sospendere la decisione e abbiamo chiesto che intervenisse la presidente del Consiglio. La risposta è stata la conferma del piano. Per questo abbiamo deciso di dichiarare lo sciopero, articolato in tutti gli stabilimenti”.

Leggi anche

Per il leader dei metalmeccanici Cgil è necessario che il governo “assicuri le risorse per dare continuità alle attività che in questo momento sono in una situazione drammatica di crisi”. De Palma così conclude: “Continuiamo a pensare che le condizioni per la gara non ci sono e che, invece, ci sia bisogno di un’azienda partecipata pubblica che possa gestire il processo di decarbonizzazione garantendo l’occupazione”.

“Dal primo marzo non ci saranno più 6 mila lavoratori in cassa integrazione, ma ci sarà la totalità dei lavoratori”. Così il segretario generale Uilm Uil Rocco Palombella: “Visto che questa cassa integrazione durerebbe fino a febbraio, abbiamo chiesto cosa succederà dal primo marzo. E loro non sono stati in grado di dircelo”. Per l’esponente sindacale, il governo “si assumerà una grande responsabilità: mettere sul lastrico più di 10 mila lavoratori. Questa è una sciagurata idea che porta alla chiusura dell’ex Ilva e anche di altri importanti siti siderurgici”.

Toni duri anche dalla Fim Cisl. “Il piano di fatto va a ridimensionare le attività, perché ferma tutte le aree a freddo. Questo è inaccettabile, con riflessi importanti su tutti gli stabilimenti, non solo su Taranto”, spiega il segretario generale Ferdinando Uliano: “C’è un ridimensionamento totale, nel piano non c’è nulla, neanche un disegno diverso rispetto a quello di esaminare potenziali acquirenti che di fatto oggi non ci sono. Abbiamo ribadito la necessità che lo Stato si faccia imprenditore, visto che questo è un asset strategico”.

Governo: saranno individuati percorsi di formazione

“Non ci sarà un’estensione ulteriore della cassa integrazione, accogliendo così la principale richiesta avanzata dai sindacati nel corso del precedente tavolo”. Così la nota dell’esecutivo, spiegando che in alternativa “saranno individuati adeguati percorsi di formazione in favore dei lavoratori, anche per coloro già in cassa integrazione”.

La formazione, si legge ancora nella nota, servirà a “far acquisire ai lavoratori le competenze necessarie alla lavorazione dell’acciaio prodotto con le nuove tecnologie green”. Il governo ha poi confermato “la piena volontà di concentrare le risorse sulla manutenzione degli impianti per mettere in sicurezza i lavoratori e, in prospettiva, aumentare la capacità produttiva”.

Palazzo Chigi è anche intervenuto sulla questione della cessione degli impianti siderurgici. Il secondo bando si è chiuso il 26 settembre: oltre ai fondi Bedrock Industries (che però, secondo indiscrezioni riportate sulla stampa, prevederebbe appena 2 mila occupati) e Flacks Group, c'è un altro pretendente con cui sono in corso contatti nel massimo riserbo. Nel corso della riunione, l’esecutivo ha “fatto il punto sullo stato delle trattative per la vendita del gruppo e ha manifestato la propria disponibilità a tenere aperto il confronto”.