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Pasqualino è davvero morto di lavoro. Lo hanno sostenuto familiari, legali, sindacato. Adesso c’è anche una sentenza del tribunale di Vicenza che lo certifica: è morto perché è stato esposto per tredici anni ai Pfas nello stabilimento Miteni/Rimar di Trissino, in provincia di Vicenza, dove queste molecole sono state prodotte e lavorate dal 1968.
Esposto per anni
È morto per un tumore, è morto perché si occupava della neutralizzazione delle acque nel reparto depurazione, è morto perché per anni è stato accanto alle sostanze perfluorurate (Pfoa e Pfos), in un ambiente contaminato e senza adeguati dispositivi di protezione.
Una sentenza storica e una grande vittoria non solo per i familiari di Pasqualino, a cui il giudice del lavoro ha riconosciuto il diritto alla rendita che dovrà essere pagata dall’Inail, ma anche per un territorio vastissimo a cavallo di tre province e per i suoi abitanti, che continuano a pagare per i danni ambientali, sociali e sanitari provocati dalla spregiudicatezza di un’azienda.
Nesso di causalità
“È una sentenza fondamentale perché è il primo caso in cui viene accertato e riconosciuto il nesso di causa tra le condizioni di lavoro in cui gli ex dipendenti della Miteni operavano – afferma il legale dell’Inca Cgil di Vicenza Adriano Caretta che ha istruito la causa –, la mancanza di adeguate protezioni e la malattia oncologica che ha colpito il lavoratore a distanza di tempo dalla cessazione del lavoro. Inoltre è la prima malattia professionale riconosciuta in capo all’Inail a essere ricondotta all’esposizione ai Pfas, Pfoa e Pfos”.
Il patronato Inca Cgil di Vicenza e del Veneto ha assistito i familiari, ha messo a disposizione un pool di medici e avvocati che hanno ricostruito la vicenda lavorativa e la storia clinica del lavoratore e hanno promosso la causa nel 2022.
Elevato grado di probabilità
La documentazione sanitaria e la consulenza tecnica medico-legale hanno dimostrato in tribunale “con elevato grado di probabilità” il nesso di causalità fra l’ambiente in cui il ricorrente ha prestato la propria attività e la patologia insorta, stabilendo che “l'esposizione alle sostanze Pfas ha avuto un ruolo concausale nello sviluppo della patologia e nel successivo decesso”.
Pasqualino ha lavorato nel sito produttivo della Miteni dal 1979 al 1992 ed è morto nel 2014 a causa di un carcinoma al rene, per il quale era stata presentata all’Inail nel 2019 la domanda di riconoscimento della malattia professionale, che però è stata respinta.
Lavoro di squadra
“Questa sentenza, frutto di un grande lavoro di squadra della Cgil di Vicenza e del Veneto, non riporta in vita un lavoratore, un marito, un padre – afferma Giampaolo Zanni, sindacalista della Cgil Veneto, che a Vicenza si è occupato della vicenda Pfas-Miteni fin dall’inizio -. Non riporta in vita una persona che una malattia causata da un lavoro ha strappato da questo mondo, ma almeno concede alle persone a lui care la ricostruzione di quanto accaduto e subito e un riconoscimento sociale, prima ancora che economico, che una società giusta e democratica deve sempre garantire a chi lavora”.
Pratiche aperte
Il lavoro di tutela non è concluso in Veneto, anzi. Ci sono altre denunce pendenti e pratiche di riconoscimento ancora aperte con l’Inail, per le quali le strutture dell’Inca e della Cgil aspettano riscontri.
“Abbiamo caparbiamente perseguito questo risultato, supportati dal lavoro scientifico dei nostri professionisti - afferma Silvana Fanelli, segretaria Cgil Veneto -, che sono riusciti a dimostrare, come noi avevamo sempre sostenuto e creduto, che l’esposizione a queste sostanze può portare a estreme conseguenze. Ci auguriamo anche che questa sentenza possa rivitalizzare percorsi di sorveglianza sanitaria per tutti coloro che ancora oggi vengono in contatto con queste sostanze, evitando facili sottovalutazioni delle conseguenze sulla salute umana”.