“Lo sciopero di venerdì 20 giugno, a distanza di quasi un anno dalla scadenza del contratto nazionale di lavoro di Federmeccanica e Assistal, testimonia la determinazione unitaria dei metalmeccanici a riconquistare il contratto collettivo”. Così il segretario nazionale Fiom Cgil Luca Trevisan presenta il nuovo stop di otto ore, con manifestazioni in tutta Italia, indetto assieme a Fim-Cisl e Uilm-Uil per la riapertura del tavolo di trattativa per il rinnovo dei Ccnl dei metalmeccanici.

Il contratto è scaduto da quasi un anno: ora in che fase siamo?

Una fase difficile, ma forti del consenso dei lavoratori siamo in grado di scioperare con manifestazioni e cortei in tutte le regioni. Dopo gli scioperi che nei mesi scorsi abbiamo realizzato prevalentemente nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro per incidere sull’organizzazione del lavoro, e penalizzare la produzione anche con il blocco di straordinari e flessibilità, la scelta ora è quella di tornare nelle piazze.

Perché questa decisione?

Lo slogan che abbiamo coniato con Fim e Uilm è: “Senza contratto il Paese si blocca”. Vogliamo quindi dare la giusta dimensione nazionale, anche pubblica, di un conflitto che vuole ovviamente riconfermare il diritto dei metalmeccanici a veder rinnovato il contratto. La stessa presenza, da Nord a Sud, dei segretari e dei dirigenti della Fiom conferma l'impegno di dare a questo conflitto la dimensione nazionale e di un’unità del mondo del lavoro che, mai come ora, sono necessarie per rinnovare il contratto e alzare i salari, ma anche per contrastare la crisi e difendere l’occupazione.

Si sono già tenute 40 ore di sciopero, eppure gli industriali non intendono riaprire la trattativa. Come spiegare un atteggiamento che, oltre a essere dannoso per le stesse imprese, a questo punto sembra irragionevole?

Siamo in presenza di un attacco alla contrattazione collettiva, oltre che al ruolo e alla funzione del contratto nazionale di lavoro come strumento di solidarietà e di uguaglianza dei lavoratori. Un attacco inaccettabile, che nega il diritto dei metalmeccanici di poter contrattare sulla base della propria piattaforma, approvata da oltre il 98 per cento dei lavoratori. Il rigetto dei contenuti della piattaforma da parte delle controparti è un attacco anche alle pratiche democratiche e di legittimazione delle organizzazioni sindacali nel rapporto con i lavoratori, che avviene con il voto sulle piattaforme e sugli accordi che si realizzano.

Cosa può “nascondere” questo atteggiamento di chiusura?

Questo attacco svela il tentativo della nostra controparte di ridurre ulteriormente il potere d’acquisto dei salari e i diritti dei lavoratori. Questo accade in una fase in cui è assolutamente necessario, anche con il contratto, aumentare le retribuzioni e redistribuire la quota parte dei profitti che le aziende metalmeccaniche hanno realizzato in modo ingente in questi anni.

A proposito di salari, in giugno le buste paga saranno un poco più pesanti…

Attualmente, a contratto scaduto, siamo in regime di ‘ultrattività’. I metalmeccanici in giugno vedranno un aumento che copre sostanzialmente l’inflazione registrata (l’Ipca-Nei) nel 2024, tuttavia insufficiente a rispondere alla grande questione salariale aperta tra i metalmeccanici e nel Paese. Ciò vale anche per le aziende medie e piccole aderenti a Unionmeccanica-Confapi, dove è meno sviluppata la contrattazione di secondo livello.

La crisi del nostro sistema industriale è ormai evidente: come se ne esce?

Occorre ridare centralità al lavoro e a un sistema industriale che può e deve competere con scelte di politica industriale e con gli investimenti e non con la compressione dei diritti, delle tutele e dei salari dei lavoratori. Rinnovare i contratti è un antidoto alla crisi per consolidare il sistema industriale italiano, con l’obiettivo di regolare la competizione tra imprese e fare quegli investimenti che sono la via necessaria per superare i problemi di alcuni settori, come l’automotive, la siderurgia o l’elettrodomestico, dando così risposte concrete ai lavoratori e al Paese.

Venendo ai contenuti della vostra piattaforma, quali sono gli elementi che la Fiom giudica necessari e irrinunciabili?

Lo sciopero serve anzitutto a riconquistare il tavolo di trattativa, che ormai da novembre è stato interrotto per responsabilità delle nostre controparti, avviando il negoziato su tutti i punti della piattaforma. Gli obiettivi sono la riconferma del modello contrattuale fondato su due livelli; l’aumento del salario, andando oltre l’inflazione e l’Ipca-Nei; il mantenimento della clausola di salvaguardia, ossia quella clausola che ci ha consentito, in vigenza di contratto, di adeguare gli aumenti concordati all’elevato andamento inflattivo di questi anni. Il contratto nazionale, mediante l’elemento perequativo, serve anche a rispondere a tutti quei metalmeccanici che non svolgono la contrattazione di secondo livello.

La vostra piattaforma presenta anche altri temi di fondamentale importanza, come la precarietà e la sicurezza…

C’è l’assoluta necessità di regolare l’utilizzo di tipologie contrattuali differenti dal contratto a tempo indeterminato per contrastare la precarietà e ridurre la competizione tra lavoratori. Occorre poi rafforzare le norme su salute e sicurezza, per rendere il lavoro più sicuro e soprattutto contrastare la piaga drammatica delle morti sul lavoro. C’è poi il tema dell’implementazione della tecnologia, della digitalizzazione della produzione, del cambiamento dei modelli organizzativi, ma anche dei prodotti, dei processi e della prestazione lavorativa: tutte situazioni che impongono scelte condivise per governare queste trasformazioni, compreso, in via sperimentale, l’obiettivo di ridurre l’orario di lavoro per meglio difendere l’occupazione.

In Italia ormai si è poveri pur lavorando. Mercoledì 11 giugno il rapporto dell’Ufficio parlamentare di bilancio ha rivelato che, per effetto del combinato disposto di fiscal drag e inflazione, le tasse sui lavoratori dipendenti, invece di diminuire, aumentano. Come si può intervenire per via contrattuale?

Aumentando salari oltre il recupero dell’inflazione, anzitutto, ma anche rivendicando scelte di politica fiscale. La denuncia dell’Ufficio parlamentare smaschera la propaganda governativa: se si vuole intervenire da subito, il governo detassi gli aumenti salariali derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale. Serve poi una riforma più generale del fisco che, a partire dalla reintroduzione della progressività fiscale e dall’equiparazione della tassazione tra diverse fonti di reddito, contrasti l'enorme evasione. Aumentare i salari, redistribuire la ricchezza che si produce, è una scelta di civiltà, perché si tratta, mai come ora, di impedire lo smantellamento del welfare e di ricostruire protezioni sociali adeguate, a partire dalle pensioni, dal diritto di essere curati e istruiti rafforzando il ruolo pubblico.