Premessa

Prima ancora di vagliare rapidamente quali siano i potenziali punti di impatto della cosiddetta digitalizzazione - da intendersi secondo il glossario Ilo come impiego di tecnologia digitale e di dati digitalizzati per influenzare le modalità di lavoro e trasformare l’interazione tra consumatori e imprese - sul lavoro autonomo occorre definirne l’ambito. Ciò nella consapevolezza che i confini di autonomia e subordinazione siano in realtà in costante evoluzione e sia, si è detto, oramai giunto il tempo di estendere, graduandole, le tutele previste a beneficio dei lavoratori eterodiretti a quanti si trovino in condizioni di dipendenza economica nei confronti del committente (Treu 2021; Perulli 2017; Perulli 2021), al di là dell’autonomia nello svolgimento della prestazione. Tale dibattito si è visto rinvigorito negli anni più recenti dall’impatto dirompente del c.d. lavoro, subordinato od autonomo, su piattaforma (Donini 2022) e dall’universalmente noto contenzioso c.d. sui rider. Anzi, si è osservato, che proprio in ragione della diffusione del “lavoro 4.0” la polarizzazione autonomia/subordinazione così come quella lavoro manuale/intellettuale sia destinata, piuttosto, ad essere superata (Cipriani, Gramolati, Mari, 2019).

Ci si limiterà qui, meno ambiziosamente, a dare atto di alcune criticità legate alla digitalizzazione del lavoro genuinamente autonomo ed in particolare del lavoro professionale tentando, come suggeriva Del Punta, di adottare la prospettiva della “grande speranza” anziché quella della “grande paura” (Del Punta 2021).

A quest’ultimo riguardo se sono già parte di un dibattito ancora vivo le possibili ricadute in termini occupazionali sull’ampia categoria del lavoro subordinato, soprattutto in caso di mansioni ripetitive più facilmente sostituibili (vedi Eurofound, Ilo), constato come è ancora contenuta o comunque disorganica la riflessione sull’incidenza della c.d. digitalizzazione sul lavoro di professionisti la cui prestazione sia squisitamente intellettuale o comunque non routinaria.

Professionisti e strumenti digitali

Le attività professionali di contenuto intellettuale, comprensive di lavoratori iscritti ad albi così come di freelance, costituiscono una species del modello codicistico (art. 2222 c.c.) ed un ambito in cui gli effetti della digitalizzazione sono già da tempo presenti e, oltre a dar vita a nuove figure lavorative (si pensi ai web content creator su cui v. Magnani 2021, Rota 2021), hanno mutato profondamente le professioni più tradizionali ed il loro rapporto con clienti e committenti. Gli entusiasti enfatizzano i benefici della oramai avvenuta implementazione di strumenti digitali nella quotidianità delle prestazioni lavorative, con significative variazioni in ragione della dimensione e della struttura dell’attività stessa (se individuale o resa nell’ambito di organizzazioni più complesse). Basti pensare al cambiamento che negli ultimi dieci anni ha interessato, nei vari settori, le attività di ricerca e studio, l’organizzazione del lavoro, il work life balance (con diffusione di spazi di coworking), il welfare (si pensi alle app di welfare per professionisti e lavoratori autonomi), la relazione con l’interlocutore pubblico (tribunali ed enti previdenziali), la fruizione di eventi formativi.

Certo, l’impatto è destinato ad essere variegato a seconda del tipo di lavoro intellettuale. Stando a quanto riportato nel parere del Comitato economico e sociale europeo (Cese) del 2020 (Parere Libere professioni 4.0) gli ambiti maggiormente coinvolti dall’intervenuta digitalizzazione oggi riguardano la consulenza legale, con la diffusione dei software giuridici e l’epocale trasformazione del processo telematico, sino alla crescente raffinazione di motori di ricerca e banche dati giuridiche; la medicina, in particolare nella specie della diagnostica medica e della telemedicina; l’architettura e l’ingegneristica edile, ad esempio tramite il Building Information Modelling; un metodo, ricorda lo stesso Cese, di “pianificazione, realizzazione e gestione in rete degli edifici” di importanza crescente, considerando che “molte valutazioni della sicurezza delle infrastrutture sono effettuate” proprio con l'ausilio dell'intelligenza artificiale. Ecco, il parere del Cese pare decisamente ottimista, per lo più intento a valorizzare il contributo che la tecnologia digitale già offre all’attività dei professionisti migliorando la qualità dei servizi resi, ben lontana dal costituire invece una minaccia.

Emerge, però, una qualche cautela dalla comprensibile enfasi assegnata al cosiddetto principio del controllo umano. Il Cese rammenta, infatti, come gli stessi professionisti siano gravati del delicato compito di individuare e valutare i pericoli connessi all’uso delle tecnologie digitali ed ad approntare adeguate misure di tutela dei dati loro forniti dai clienti, di fatto quale ennesimo corollario del vincolo fiduciario che li lega a questi ultimi così come ai pazienti o, più in generale, ai committenti. Le applicazioni, così come tutte le tecnologie digitali restano, insomma, meri strumenti di esecuzione di una prestazione specialistica resa da un professionista dotato di competenze tecniche peculiari, il quale dovrà sempre vigilare e conseguentemente sarà responsabile della correttezza del loro impiego nell’adempimento della propria obbligazione. Da tale premessa deriva la comprensibile invocazione, da parte del Cese, di un adeguamento di codici deontologici e professionali all’evoluzione digitale da parte degli stessi ordini e associazioni.

Professionisti e formazione digitale

In tale contesto cruciale diventa, quindi, la predisposizione di adeguati momenti di formazione che coinvolgano più competenze (informatici, esperti di privacy e proprietà intellettuale) e suscitino un confronto con gli stessi professionisti. Si tratterà infatti di occasioni da un lato essenziali ad adeguare il contenuto delle proprie prestazioni all’evoluzione digitale sì da garantire la sopravvivenza stessa di alcune attività, da un altro lato di iniziative necessarie a contrastare il comprensibile e non così raro timore nei confronti di strumenti sempre più sofisticati in grado, ad esempio nel settore giuridico, di combinare banche dati con l'intelligenza artificiale generativa asseritamente capaci, ad esempio, di redigere bozze di atti.

A comprova dell’importanza dell’adattamento delle competenze solo apparentemente accessorie rispetto al contenuto principale della prestazione, vi è la diffusione di corsi e convegni organizzati pressoché in tutte le categorie su temi quali la sanità digitale, l’organizzazione digitale dello studio, la digitalizzazione degli atti, la digitalizzazione nella progettazione edilizia, la datificazione dell’attività giornalistica, sino ad arrivare alla diffusione di vere e proprie linee guida (si veda ad esempio quella della Federation des Barreaux d’Europe di giugno 2023 su “gli avvocati europei nell’era di Chat Gpt”) volte ad orientare la condotta dei professionisti a tutela loro e dei loro clienti. Si tratta di iniziative che, tuttavia, dovrebbero essere accompagnate da investimenti tecnologici mirati come auspicato da alcune Confederazioni (v. audizione Confprofessioni presso le Commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato nel novembre 2023) nella forma di un vero e proprio «bonus digitalizzazione» che non sia limitato alle imprese ma sia esteso ai lavoratori autonomi.

Anche per il lavoratore autonomo, così come per quello subordinato, la formazione diventa, quindi, essenziale per poter affrontare adeguatamente la trasformazione in corso. Da qui la scelta di Consiglio e Parlamento europeo di inserire tra i diritti e i principi per il decennio digitale (eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023C0123(01)) il diritto di ogni persona all’istruzione, alla formazione e all’apprendimento permanente alla possibilità di acquisire tutte le competenze digitali di base e avanzate. Tale riconoscimento, specularmente, si traduce nell’impegno delle istituzioni europee a dare ad ognuno la possibilità “di adattarsi ai cambiamenti introdotti dalla digitalizzazione del lavoro attraverso il miglioramento delle competenze e la riqualificazione professionale”, senza alcuna circoscrizione sulla base della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro stesso.

Conclusioni. Un aiuto alla conciliazione tra vita lavorativa e vita personale

Occorre, infine, in queste brevi note, ricordare che sotto altri profili, in particolare legati a welfare e ad una miglior combinazione tra vita personale e vita lavorativa, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione abbiano manifestato con maggior evidenza il loro impatto benefico, anche sulla vita del lavoratore autonomo. Mi riferisco, in particolare, da un lato alla già riscontrata maggior diffusione di remote working anche per i professionisti (tradizionalmente invece ancorati ad una sorta di vincolo presenzialista, soprattutto in caso di giovani collaboratori di grandi studi), da un altro lato all’utilizzo, soprattutto da parte di free lance e lavoratori digitali di spazi di co-working. Lo svolgimento di attività lavorative, anche ascrivibili alle professioni tradizionali, in spazi condivisi senz’altro consente un abbattimento dei tempi di spostamento (così migliorando la qualità della vita dei co-worker) ma anche di aggregare e quindi di far circolare in un unico spazio “fisico” competenze tra loro diverse, così in parte soddisfacendo le già segnalate esigenze di formazione digitale. Infine, segnalo come il co- working, che non può che essere considerato elemento integrante del processo di digitalizzazione del lavoro, ben si presti anche ad una gestione più serena della genitorialità da parte degli stessi lavoratori autonomi, su questi aspetti destinatari di attenzioni e garanzie senz’altro inferiori rispetto ai subordinati. Lo dimostrano le – purtroppo ancora poche – esperienze di accostamento ai luoghi di lavoro di spazi di c.d. co baby, dedicati quindi a ludoteche o veri e propri nidi.

Marta Giaconi è avvocato e ricercatrice del diritto del lavoro all’UniBicocca di Milano


Bibliografia

Confprofessioni, Audizione-Confprofessioni-Legge-di-Bilancio-2024-AS-926_09_11_2023.pdf, 2023.

A. Cipriani, A. Gramolati, G. Mari (a cura di), Il lavoro 4.0 La Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, 2018 Firenze University Press;

R. Del Punta, Diritto del lavoro e economia digitale, in M. Barbera, C. Alessi, L. Guaglianone, M. de Serio (a cura di), Impresa, lavoro, non lavoro nell’economia digitale, Cacucci, 2019;

A.M., Donini, Piattaforme, in M. Novella – P. Tullini (a cura di), Lavoro digitale, Giappichelli, 2022;

Eurofound, Anticipating and managing the impact of change Digitisation in the workplace, 2021;

M. Magnani, Sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali, Bollettino ADAPT 19 luglio 2021, n. 28;

A. Perulli, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 341/2017;

A. Perulli, Oltre la subordinazione. La tendenza espansiva del diritto del lavoro, Giappichelli, 2021.

A. Rota, I creatori di contenuti digitali sono lavoratori?, LLI, 2/2021;

T. Treu, La digitalizzazione del lavoro: proposte europee e piste di ricerca, Conversazioni di San Cerbone, 2021.