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Rientrati e licenziati. Oggi, dopo cinque giorni di sciopero, i giornalisti del quotidiano La Città sono rientrati in redazione e per 4 di loro sono arrivate le lettere di licenziamento. Si tratta del caporedattore Maurizio D’Elia, del caposervizio Vito Bentivenga e di due redattori, Carlo Pecoraro e Clemy De Maio – rappresentante provinciale del Sugc, il sindacato dei giornalisti campania – che con D’Elia fanno parte anche del comitato di redazione. La vicenda del quotidiano salernitano, fondato nel 1996 e di proprietà fino al 2016 del gruppo Finegil editoriale, che faceva capo all’ingegnere Carlo De Benedetti, arriva così a un tristissimo epilogo.
La vertenza de La Città si era legata in queste ore a un’altra vertenza che sta tenendo con il fiato sospeso il territorio della provincia. Stiamo parlando del paventato licenziamento dei 67 dipendenti della Treofan Italy di Battipaglia, che fa capo al gruppo indiano Jindal, ma, fino al 2016 come per La Città, di proprietà proprio dell’ingegnere De Benedetti. La Treofan Italy – che ha uno stabilimento anche a Terni e uffici a Milano – fa parte della multinazionale tedesca, fondata nel 1969, leader mondiale nella produzione di un film di polipropilene biassalmente orientato (Bopp) utilizzato per imballaggi ed etichette per alimenti. Un’azienda sana, che ha tre siti in Europa: uno in Germania a Neunkirchen e due in Italia, uno a Terni e l’altro a Battipaglia, in provincia di Salerno, dove occupa 67 dipendenti, altamente specializzati.
Come detto, il ramo italiano era stato acquisito da De Benedetti, che nel 2016 lo vende per 500 mila euro alla multinazionale Jindal, la quale, a fine 2018, inspiegabilmente comunica l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo per tutti i dipendenti. Una doccia fredda che si abbatte sui due stabilimenti italiani e sui dipendenti degli uffici milanesi dell’azienda. Ma nel 2016 l’ingegnere compie anche un’altra operazione. Per portare a compimento la fusione tra La Repubblica e i due principali quotidiani di Torino e Genova senza incorrere nella scure dell’Antitrust, cede l’unico quotidiano a Sud di Roma di proprietà della Finegil editoriale, azienda del gruppo Espresso, La Città di Salerno. Costo dell’operazione: 250 mila euro, che vengono sborsati senza troppi problemi dall’imprenditore della sanità privata, con interessi nel calcio, Giovanni Lombardi e dal monopolista della distribuzione di giornali e riviste in provincia di Salerno, l’ebolitano Vito Di Canto, che costituiscono la Edizioni Salernitane Srl.
Un’operazione che, fin dal primo minuto, non convince il corpo redazionale. La direzione viene affidata ad Andrea Manzi, che nel 1996 aveva fondato il quotidiano. E subito cominciano i problemi. Ai 13 giornalisti e ai 4 poligrafici vengono subito chiesti i primi sacrifici economici, con tagli agli stipendi e contratti di solidarietà. La direzione di Manzi dura appena un anno. A gennaio 2017 arrivano le sue dimissioni dall’incarico. La primavera porta i primi spiragli di crisi. Il 29 aprile l’assemblea dei redattori, convocata in seduta straordinaria, “nel ribadire forte preoccupazione sul già contestato piano industriale” proclama lo stato di agitazione affidando al cdr un pacchetto di sette giorni di sciopero. Al fianco della redazione si schiera tutto il mondo culturale, politico e sociale della città. Lo sciopero dura cinque giorni. Il 5 maggio il quotidiano torna in edicola “per senso di responsabilità” dopo le rassicurazioni ricevute dall’azienda.
Ma passa appena un mese e lo scenario muta nuovamente. Il 22 maggio l’azienda comunica l’avvio delle procedure di riduzione del personale per licenziamento collettivo. Si parla di sette giornalisti su un organico di 13. Sette, come i mesi trascorsi dall’acquisizione del quotidiano. L’azienda fa di nuovo retromarcia ed annuncia di ritirare le procedure di licenziamento. Ma, come dimostreranno i fatti, è solo un diversivo per prendere tempo. Intanto continuano, da parte della proprietà, atteggiamenti quasi intimidatori. Un redattore viene sospeso a tempo indeterminato dal servizio senza apparente motivazione. I colleghi, supportati dall’Ordine dei giornalisti della Campania e dal Sugc – il Sindacato unitario dei giornalisti campani – bolla come illegittimo il provvedimento e ne chiede la revoca, che puntualmente arriva.
Ma, ancora una volta, è una calma apparente. Il vento di burrasca continua a soffiare sul quotidiano e i suoi redattori. A ottobre vengono proclamati altri tre giorni di sciopero “dopo la decisione dell’azienda di rispondere con la disdetta del tavolo sindacale sugli ammortizzatori sociali alla giornata di sciopero indetta per la condotta antisindacale della stessa. L’azienda – si legge in un comunicato dell’assemblea dei redattori – non ha comunicato, in violazione della normativa, né il mutamento della composizione societaria né la cessione della testata ad altra società totalmente partecipata da una fiduciaria e quindi con proprietà schermata”. In pratica, i giornalisti non sanno chi sono i loro reali proprietari. Una situazione paradossale, una scatola cinese. Nel mezzo, ci sono altre agitazioni per il mancato pagamento degli stipendi e dei contributi previdenziali.
E così si arriva al 28 dicembre scorso, quando l’azienda comunica il “riavvio” delle procedure di licenziamento. I redattori chiedono l’apertura di un tavolo di trattativa, ma le interlocuzioni non portano a nulla. Fino al 1 febbraio quando, contestualmente all’aumento del prezzo di copertina del giornale, viene comunicata la decisione di procedere al licenziamento di quattro giornalisti confermando così quello che l’assemblea dei redattori definisce in un comunicato sindacale "un piano preordinato volto allo smantellamento dell'attuale redazione composta da tredici giornalisti".
Oggi (7 febbraio), dopo cinque giorni di sciopero, una conferenza stampa al Comune di Salerno, la solidarietà della Fnsi, dell’Ordine dei giornalisti nazionale, l’incontro con il prefetto di Salerno e un tavolo di trattativa a Napoli con l’azienda, i giornalisti sono rientrati al lavoro in attesa dell’arrivo delle lettere di licenziamento. Ieri, ultimo atto – per ora – della protesta, la visita al presidio della Treofan di Battipaglia. Per unire e rafforzare il filo rosso che tiene insieme il destino di 71 famiglie.