I lavoratori della rete Sma Auchan sono oggi al Mise, rigidamente contingentati in un presidio a numero chiuso, in occasione dell’incontro tra Conad e le parti sociali. Sperano che porti finalmente un po’ di chiarezza, soprattutto per i 13.000 dipendenti diretti dell’azienda che non sono stati ancora acquisiti e sono in attesa di conoscere il loro destino. Che non sembra proprio roseo, a quanto ci raccontano, neanche per i 5.000 confermati, traghettati verso nuove gestioni in subappalto dei punti vendita dove hanno lavorato per 20, 30, 40 anni e dove niente sembra più come prima. A cominciare dai diritti, travolti dalla nuova, approssimativa, organizzazione del lavoro.
Abbiamo ascoltato Maria Giulia, Fabrizio, Alessandro e Francesca, addetti alla vendita e alla logistica in punti vendita e depositi romani.

Maria Giulia Sale

Non credo che l’opinione pubblica abbia ben chiara la nostra situazione. Auchan ha deciso di vendere perché i supermercati non producevano più reddito e quando il gruppo Conad si è proposto è passato come un salvatore. Ma non è così. Quello che abbiamo saputo e quello che stiamo vivendo ci hanno fatto capire che non siamo stati venduti, siamo stati svenduti. È un po’ come se la rete Sma e Auchan fosse stata una grande carcassa, con gli avvoltoi che le giravano intorno: Conad se l’è accaparrata con l’idea di tenersi i pezzi salvabili, e il resto al macero. Finché siamo stati parte del gruppo Rinascente il lavoro è andato in un certo modo – offerte giuste, pacchetti giusti –, ma con Auchan non è stato così, sono stati fatti degli errori di tipo commerciale e logistico, e nell’arco di dieci anni l’azienda si è ridotta in questo stato. È stato il frutto di una cattiva gestione e non dello scarso impegno dei dipendenti, come è stato tentato di dire. Non è andata così. Nella filiale dove lavoro, al Torrino, il personale è andato diminuendo negli ultimi sei anni: da 52 ci siamo trovati in 27, tra proposte di uscita e pensionamenti mai reintegrati. Speravano di risanare l’azienda in questo modo, ma non è successo. E poi hanno cancellato ruoli, assegnazioni ai reparti, tutti facevano tutto, senza avere la stessa capacità gestionale di chi si dedica esclusivamente a un settore. Ad oggi, io e i miei colleghi – 30 persone – non sappiamo ancora che fine faremo, potete immaginare come stiamo lavorando, senza sapere fino a quando. Di certo sappiamo che fino al 31 dicembre abbiamo un contratto integrativo che ci assicura, fino a quel giorno, alcune garanzie. Poi, chissà. Mio marito lavora nella stessa azienda, quindi ci troviamo nella stessa situazione: viviamo alla giornata, cominciamo a guardarci intorno, ma a 57 anni, con 40 anni di servizio, non ci sono grandi possibilità, andiamo avanti giorno per giorno cercando di non pensare al peggio, per non impazzire. E anche ammesso che i nuovi proprietari ci tengano, dobbiamo sperare di trovare persone corrette: si tratta per lo più di gestori di piccoli negozi di quartiere che si improvvisano imprenditori e dalle filiali che sono state già cedute arrivano racconti scoraggianti, storie di dequalificazione e scarso rispetto dell’esperienza maturata in decenni di lavoro. Il fatto è che proprio per questo siamo scomodi, costiamo. Quante volte ci siamo sentiti dire “avete 40 anni di servizio, ci costate”: sono entrata a lavorare a 17 anni, ho sempre lavorato con impegno e sacrificio, ho rinunciato a diritti conquistati nel tempo per aiutare a risanare l’azienda e dopo 40 anni mi sento dire che sono un costo. Basta pensare alla Conad di via Appia, dove i dipendenti sono tornati dalle ferie e hanno trovato la lettera di licenziamento, tutti, in blocco. Questo è il paradosso: mentre stanno acquisendo nuove proprietà chiudono i loro negozi e licenziano. Non c’è alcun riguardo per le persone. Mi auguro di essere accompagnata alla pensione dai nuovi proprietari, di essere mandata a casa così.

Fabrizio Zacchia

Lavoro nel gruppo da 34 anni, 24 al punto vendita e poi in logistica, come responsabile delle cauzioni, vale a dire tutto quello che serve per trasportare la merce. Tutti i comunicati parlano dei punti vendita, dove è concentrata la maggior parte dei dipendenti, ma non si parla mai di logistica, non si parla di uffici, e anche chiedendo ai capi zona e area non siamo riusciti a sapere nulla. Abbiamo notato che da quando hanno cominciato a girare le voci dell’acquisizione, da un anno circa a questa parte, c’è stata una diminuzione significativa del lavoro: prima lavoravamo con un milione e 300 mila-400 mila colli, adesso siamo scesi a 600 mila. Io lavoro nel deposito dello scatolame, ma anche quello dei freschi, a San Paolo, è nella stessa nostra situazione. Siamo in cinque, compreso il capo deposito. Oltre a noi dipendenti diretti c’è Ceva, con una ventina di persone, e una cooperativa, che prima impiegava 80 persone e adesso 40, perché la preparazione è diminuita. A volte è stata proprio questa cooperativa, in mancanza di comunicazioni ufficiali, a fornirci le notizie che si sono poi rivelate affidabili, dall’arrivo di Conad in poi. Quello che ci preoccupa è che il contratto di affitto del deposito scade ad aprile e non si parla di rinnovo, che di solito avveniva almeno un anno prima. Il contratto con i trasporti è scaduto ed è stato prorogato fino a febbraio, mentre per il deposito dei freschi il contratto scade a fine anno e neanche loro sanno se continueranno a lavorare oppure no.
Sono girate tante voci: prima che Conad fosse interessata al nostro deposito, poi che potesse interessare a Esselunga, che ha due grandi punti vendita a Roma, il deposito a Firenze e la prospettiva di aprire altri supermercati, ma abbiamo saputo che ha aperto un altro deposito a Roma, piccolo ma sufficiente. Lavoriamo svogliatamente, facciamo quello che dobbiamo fare, ma mentre prima eravamo impegnati per tutto l’orario di lavoro, adesso finiamo molto prima. Il nostro capo deposito dice di non sapere nulla, e ci crediamo, ma è difficile credere che il capo area – l’unico per tutta Italia – non sappia niente di quanto si sta preparando: la volontà dell’azienda è di non fare trapelare nulla. Probabilmente ci faranno arrivare sull’orlo del precipizio per poi chiederci se vogliamo fare un altro passo oppure accettare qualcosa e andare via: nessuno sceglierebbe il precipizio, accettiamo quello che ci danno ovviamente, compreso un eventuale dislocamento nel deposito di Fiano Romano, con i turni la mattina, il pomeriggio e la notte, perché lavorano 24 ore questo e l’altro deposito Conad, e con questi dicono di riuscire a rifornire anche i punti vendita acquisiti. Ma la verità è che sono tutte supposizioni, e che del nostro futuro non sappiamo niente.

Alessandro Rossoni

Ho 52 anni e circa 30 anni di servizio, prima nel gruppo Rinascente e poi Auchan. E adesso Conad, un mondo vastissimo, una specie di vaso di Pandora all’interno del quale l’azienda dispone degli strumenti necessari per disgregare la grande famiglia che viene da Auchan.
18.000 dipendenti, tra Auchan e Sma, a cui si aggiungono circa 4.000 lavoratori indiretti tra logistica, vigilanza e imprese di pulimento. Al momento le cessioni di ramo d’azienda sono state fatte per 106 punti vendita e dei 18.000 lavoratori, da adesso fino a marzo, ne verranno assorbiti solo 5.000: per gli altri non c’è ancora un piano industriale. Ma anche per i 5.000 che sono passati o passeranno entro marzo alla nuova proprietà ci sono problemi all’orizzonte. C’è stata una cessione di ramo d’azienda, in affitto, a una srl neocostituita, che a sua volta ha subaffittato a un’altra società neocostituita. La nostra preoccupazione è che vengano a mancare le tutele e i diritti acquisiti per migliaia di lavoratori: nei punti vendita con meno di 15 dipendenti non ci sarà più la tutela dell’articolo 18, al di sotto dei 50 non ci sarà la tutela degli ammortizzatori sociali. I nuovi proprietari subentrati nel punto vendita dove lavoro, ad esempio, hanno tolto la pausa garantita dal contratto integrativo, che avrebbero dovuto rispettare fino alla fine dell’anno. L’orario di lavoro di questa settimana ci è stato consegnato domenica mattina in una chat, con modalità del tutto diverse da quelle a cui eravamo abituati: prima il part time aveva un determinato orario, il full time l’obbligo di fare il turno di mattina una settimana e quello di pomeriggio la seguente, e questa programmazione ci dava la certezza di conciliare i tempi lavorativi con i tempi di vita. Il lavoro che potrebbe sembrare sicuro in realtà è molto incerto, perché domani il piccolo imprenditore potrebbe decidere di mandare tutti a casa, come è già capitato a Roma proprio sotto il marchio Conad. Il proprietario del punto vendita dove lavoro a far data dal 14 ottobre è una srl con un capitale di 10.000 euro: ho il timore che, se dovessero andare male le cose, non avrei nemmeno la possibilità di riprendere il mio tfr, io come i miei colleghi, tutte persone che hanno 25 o 30 anni di servizio. La nostra preoccupazione è di essere finiti in uno spezzatino, organizzato nei termini di legge ma destinato a trasformarsi in macinato. Si sta facendo un’acquisizione così vasta da fare in modo che la carne in trasformazione – restando nella metafora alimentare – sia quella umana. Conad, insieme a BDC, ha acquisito a prezzo scontatissimo Auchan: il 51% è stato acquisito da Conad e il restante 49%, che comprende tutta la parte immobiliare, da BDC, il che rafforza il nostro sospetto che i 5.600 che si stanno prendendo rappresentino la parte di valore. La nostra speranza è che il ministero, l’arbitro in campo, possa verificare la qualità del comportamento delle squadre. E in ogni caso, a questo punto, ci sono due possibilità: o ci danno delle garanzie concrete e certe per queste 18.600 famiglie, o si devono mettere in testa di cambiare lo spot pubblicitario, perché è una presa in giro, non è proprio più ammissibile.

Francesca Ciocchetti

Lavoro nel gruppo Sma da quasi 23 anni, quindi un bel pezzo della mia vita, della mia storia, si trova lì dentro. Sono spiazzata perché è un anno che Conad sta cercando di fare questa complicata e frammentata acquisizione e l’informazione a riguardo, la consapevolezza della gravità della situazione, è arrivata ai lavoratori soltanto da poco. Si sono resi conto tardi quale fosse la portata di questo cambiamento, che purtroppo è enorme: stiamo parlando di 18.000 posti di lavoro, al momento solo 5.000 sono stati acquisiti e in un modo discutibile, senza garanzie e certezze per il futuro. So che lavorano in condizioni molto precarie: la vecchia situazione lavorativa in cui sono cresciuta io non ci sarà più, e non so neanche se ci sarà un posto di lavoro per me, che al momento mi trovo tra quei 13.000 che non sono stati acquisiti. Non si parla più nemmeno di futuro incerto: qui non c’è certezza del presente. È un periodo molto difficile, per quanto mi riguarda un grosso pensiero, perché sono separata da due anni, ho tre figli e viviamo soltanto con il mio stipendio. Non è giusto che i miei figli paghino per un problema che non è il loro, e che non è neanche il mio, perché nel mio piccolo ho fatto sempre quello che una persona responsabile può fare. È difficile per persone come me, di 45 o 50 anni, trovarsi senza lavoro, fuori da una realtà che non ci considera più, perché la scelta della grande distribuzione cade sui giovani. Un piano industriale c’è, Conad sa già quali saranno le prossime acquisizioni e i prossimi passi, gioca da imprenditore, non ha fornito le garanzie che avevamo chiesto perché gli conveniva farlo, non c’è chiarezza, non c’è nulla di certo, perché anche le acquisizioni che sono state fatte non garantiscono un livello occupazionale pieno. Non so in che condizioni potremo lavorare: non ci saranno diritti sindacali, non si potrà discutere l’orario di lavoro, mamme che prima riuscivano a crescere i figli non sapranno più come organizzare la vita. Chi guarderà i miei figli se dovrò lavorare negli orari in cui loro sono a casa? Ci stiamo avvicinando a un punto di svolta, Conad dovrebbe finalmente rivelare cosa intende fare: speriamo in questo piano industriale e speriamo che faccia meno vittime di quante ho paura ce ne saranno, perché lo scenario è davvero molto preoccupante. Oggi, con questa manifestazione, vogliamo mandare un messaggio: chiunque abbia la possibilità di aiutarci e di fare chiarezza dovrebbe intervenire.